Capitolo 2: Principi e proprietà fisiche

2

Principi e proprietà fisiche

Traduzione: Stefano Viaroli (Italy) e Michele Lancia (Italy)
Revisione: Corrado Camera (Italy) e Daniela Valigi (Italy)

2.1 Legge di Darcy

La nascita dell’idrologia sotterranea come scienza quantitativa può esser fatta risalire all’anno 1856. Fu infatti in quell’anno che l’ingegnere idraulico francese Henry Darcy pubblicò un report sull’approvvigionamento idrico della città di Digione, in Francia. Nel report, Darcy descrisse un esperimento di laboratorio che aveva effettuato per analizzare il flusso dell’acqua attraverso delle sabbie. I risultati di quell’esperimento possono essere generalizzati nella legge empirica che ora porta il suo nome.

L’apparecchiatura sperimentale utilizzata da Darcy è riportata in Figura 2.1. Un cilindro con sezione trasversale A è riempito con sabbia, tappato alle estremità, e dotato di tubi di afflusso e deflusso e di un paio di manometri. L’acqua viene introdotta nel cilindro e lasciata fluire fino al momento in cui tutti i pori vengono riempiti di acqua e la portata in ingresso Q è uguale alla portata in uscita. Impostando una quota arbitraria di riferimento z = 0, le quote a cui sono istallati i manometri sono z1 e z2, i livelli del fluido corrispondono a h1 e h2. La distanza tra i due manometri corrisponde a Δl.

Figura 2.1 Apparecchiatura sperimentale per la dimostrazione della legge di Darcy.

La portata unitaria v attraverso il cilindro è definita come:

v = \frac{Q}{A} (2.1)

dove, Q è espressa in [L3/T], A in [L2] e v in [L/T].

Gli esperimenti condotti da Darcy hanno dimostrato come v sia direttamente proporzionale a h1h2 quando Δl è mantenuto costante, mentre è inversamente proporzionale a Δl quando h1h2 è mantenuto costante. Definendo Δh = h2h1 si ha v \propto \Delta h e v \propto 1/\Delta l. La legge di Darcy può quindi essere scritta come

v = -K\frac{\Delta h}{\Delta l} (2.2)

o in forma differenziale

v = -K\frac{dh}{dl} (2.3)

Nell’Eq. (2.3), h corrisponde al carico idraulico e dh/dl al gradiente idraulico. K identifica una costante di proporzionalità che deve essere una proprietà del terreno presente nel cilindro. Infatti, se il gradiente idraulico fosse mantenuto costante, la portata unitaria sarebbe sicuramente maggiore per alcuni terreni piuttosto che per altri. In altre parole, se dh/dl viene mantenuto costante, allora v \propto K. Il parametro K è noto come conducibilità idraulica e ha valori elevati per sabbia e ghiaia mentre ha valori bassi per l’argilla e la maggior parte delle rocce. Poiché Δh e Δl hanno entrambi dimensioni di lunghezza [L], una rapida analisi dimensionale dell’Eq. (2.2) mostra come K abbia le dimensioni di una velocità [L/T]. Nella Sezione 2.3 verrà mostrato che K non è funzione solo delle caratteristiche del mezzo, ma anche del fluido che scorre attraverso di esso.

Una versione alternativa della legge di Darcy può essere ottenuta sostituendo l’Eq. (2.1) nell’Eq. (2.3), ottenendo

Q = -K\frac{dh}{dl}A (2.4)

Questa equazione a volte è espressa in maniera ancora più compatta come

Q = KiA (2.5)

dove i corrisponde al gradiente idraulico.

La legge di Darcy è valida per il flusso delle acque sotterranee in qualsiasi direzione nello spazio. Per quanto riguarda la Figura 2.1 e l’Eq. (2.3), se il gradiente idraulico  e la conducibilità idraulica K sono mantenuti costanti, v è indipendente dall’angolo θ. Questo è vero anche per valori di θ superiori a 90°, quando il flusso attraverso il cilindro viene forzato verso l’alto, in direzione opposta alla gravità.

Come già evidenziato la portata unitaria v ha le dimensioni di una velocità, o di un flusso. Per questo motivo è talvolta nota come “velocità di Darcy” o “flusso di Darcy”. La portata unitaria (velocità di Darcy) è un concetto legato alla scala macroscopica ed è facilmente misurabile. Deve essere chiaramente differenziato dalle velocità microscopiche associate ai percorsi effettivi delle singole particelle di acqua che si snodano attraverso i grani di sabbia (Figura 2.2). Le velocità microscopiche sono reali, ma probabilmente impossibili da misurare. Nel resto del capitolo si farà riferimento esclusivamente a concetti di flusso a scala macroscopica. Nonostante la sua unità di misura, v non verrà menzionata in termini di velocità; verrà invece utilizzato il termine più corretto di portata unitaria.

Figura 2.2 Concettualizzazione dei flussi macroscopici e microscopici dell’acqua sotterranea.

Il paragrafo precedente può apparire innocuo, ma annuncia una decisione di importanza fondamentale. Quando si decide di analizzare il flusso delle acque sotterranee con l’approccio di Darcy, significa che si decide di assimilare l’effettivo insieme di grani di sabbia (o particelle di argilla o frammenti di roccia) che costituiscono il mezzo poroso ad un continuum rappresentativo, per il quale si possono definire parametri macroscopici, come la conducibilità idraulica, e utilizzare leggi di comportamento macroscopiche, quale la legge di Darcy, per fornire una descrizione macroscopica media del comportamento microscopico. Questa assunzione è concettualmente semplice e logica, tuttavia si basa su alcuni fondamenti teorici piuttosto complessi. Questi fondamenti sono discussi in dettaglio da Bear (1972), nei suoi studi avanzati sul flusso nei mezzi porosi. Nella Sezione 2.12, le interrelazioni tra le descrizioni microscopiche e macroscopiche del flusso delle acque sotterranee verranno ulteriormente approfondite.

La legge di Darcy è una legge empirica che si basa solo su prove sperimentali. Sono stati fatti molti tentativi per ricavare la legge di Darcy da leggi fisiche fondamentali, la maggior parte esaminati in dettaglio da Bear (1972). Gli approcci di maggior successo sono stati quelli che hanno tentano di applicare le equazioni di Navier-Stokes, che sono ampiamente conosciute nello studio della meccanica dei fluidi. Hubbert nel 1956 e Irmay nel 1958 furono i primi a tentare questo approccio.

Questo testo fornirà un’ampia prova della fondamentale importanza della legge di Darcy nell’analisi del flusso delle acque sotterranee. Vale la pena notare che essa è ugualmente importante anche in molte altre applicazioni che riguardano il flusso nei mezzi porosi come ad esempio gli studi sul flusso di umidità nel suolo ad opera di fisici del suolo, ingegneri agrari e specialisti della meccanica del suolo. La legge di Darcy descrive inoltre il flusso di petrolio e gas in formazioni geologiche profonde ed è utilizzato dagli analisti di giacimenti petroliferi. È utilizzata nella progettazione di filtri da ingegneri chimici e nella progettazione di ceramiche porose da parte di scienziati dei materiali. È stata persino usata per descrivere il flusso di fluidi corporei attraverso le membrane porose del corpo da bioscienziati.

La legge di Darcy è un’importante legge empirica e i suoi elementi costitutivi meritano la massima attenzione. Le due sezioni successive del capitolo forniranno approfondimenti sul significato fisico del carico idraulico h e della conducibilità idraulica K.

2.2 Carico idraulico e potenziale

L’analisi di un processo fisico che coinvolge un flusso richiede il riconoscimento di un gradiente di potenziale. Ad esempio, il calore si trasmette attraverso i solidi da temperature più elevate a più basse, mentre la corrente elettrica scorre attraverso i circuiti da tensioni più elevate verso tensioni meno elevate. Nei processi sopra illustrati, la temperatura e la tensione sono quantità potenziali e i tassi di flusso di calore e di elettricità sono proporzionali ai gradienti di potenziale. Per questo motivo è importante determinare il gradiente di potenziale che controlla il flusso dell’acqua attraverso i mezzi porosi.

Questo problema è stato attentamente esaminato da Hubbert nel suo trattato sul flusso delle acque sotterranee (Hubbert, 1940). Nella prima parte di questa sezione verrà presentata un’analisi dei concetti e delle conclusioni da lui proposti.

Analisi di Hubbert del potenziale

Hubbert (1940) definì il potenziale come “una grandezza fisica, che può essere misurata in ogni punto di un sistema di flusso, le cui proprietà siano tali che il flusso si verifica sempre da regioni in cui assume valori più elevati a regioni in cui assume valori più bassi, indipendentemente dalla direzione nello spazio “. Nell’esperimento di Darcy (Figura 2.1) il carico idraulico h, indicato dai livelli dell’acqua nei manometri, sembrerebbe soddisfare la definizione di Hubbert, il quale però sottolinea: “adottarla empiricamente senza ulteriori indagini sarebbe come leggere la lunghezza di una colonna di mercurio di un termometro senza sapere che la temperatura sia la quantità fisica indicata” (p. 795).

Al valore assunto dal potenziale si possono associare la quota e la pressione del fluido. Se l’apparato di Darcy (Figura 2.1) fosse stato installato con il cilindro posto in verticale (θ = 0), il flusso si sarebbe verificato verso il basso attraverso il cilindro in risposta alla gravità. D’altra parte, se il cilindro fosse stato collocato in una posizione orizzontale (θ = 90°) in modo che la gravità non abbia alcun ruolo, il flusso potrebbe essere indotto aumentando la pressione a un’estremità del cilindro e diminuendola all’altra. Singolarmente, né la quota né la pressione sono potenziali adeguati, ma sicuramente sono componenti della valore potenziale totale.

Il modo migliore per ricavare il potenziale di flusso è esaminare le relazioni energetiche durante il processo di flusso. In effetti, la definizione classica di potenziale come viene solitamente presentata dai matematici e dai fisici è espressa in termini di lavoro svolto durante il processo di flusso. Il lavoro svolto nello spostare una massa unitaria di fluido tra due punti qualsiasi in un sistema di flusso è una misura della perdita di energia della massa unitaria.

Il flusso dei fluidi attraverso i mezzi porosi è un processo meccanico, le forze agenti sul fluido devono superare le forze di attrito che si creano tra il fluido in movimento e i grani del mezzo poroso. Il flusso è quindi accompagnato da una trasformazione irreversibile dell’energia meccanica in energia termica dovuta alla resistenza prodotta dall’attrito. Il movimento del flusso nello spazio deve quindi avvenire da zone in cui l’energia meccanica per unità di massa del fluido è maggiore, verso zone in cui è minore. Questo è vero poiché l’energia meccanica per unità di massa in qualsiasi punto di un sistema di flusso può essere definita come il lavoro richiesto per spostare una massa unitaria di fluido da una condizione di riferimento scelta arbitrariamente, al punto finale. Questa quantità soddisfa sia la definizione di potenziale di Hubbert (in termini di direzione del flusso), sia la definizione classica (in termini di lavoro svolto). Il potenziale per il flusso attraverso il mezzo poroso è quindi l’energia meccanica per unità di massa del fluido.

Rimane ora da collegare questa quantità ai termini di quota e pressione citati in precedenza. Considerando un riferimento standard arbitrario (Figura 2.3) a quota z = 0 e pressione p = p0 (dove p0 è la pressione atmosferica), una massa unitaria di fluido di densità ρ0 occuperà un volume V0, dove V0 = 1/ρ0. Ora, si desidera calcolare il lavoro richiesto per sollevare una massa unitaria di fluido dalla quota di riferimento z = 0 ad un certo punto P nel sistema di flusso che si trova a quota z, dove la pressione del fluido corrisponde a p. Qui, una massa unitaria del fluido può avere densità ρ e quindi occuperà un volume V = 1/ρ. Inoltre, si consideri che il fluido abbia velocità v = 0 allo stato iniziale e velocità v nel punto P.

Figura 2.3 Dati per il calcolo dell’energia meccanica per unità di massa del fluido.

Ci sono tre componenti per il calcolo del lavoro:

il lavoro richiesto per sollevare la massa dalla quota z = 0 alla quota z:

w_1 = mgz (2.6)

il lavoro richiesto per accelerare il fluido dalla velocitàv = 0 alla velocità v:

w_2 = \frac{mv^2}{2} (2.7)

il lavoro svolto sul fluido per innalzare la pressione del fluido stesso da p = p0 a p:

w_3 = m \int^p_{p_0}\frac{V}{m}dp = m \int^p_{p_0}\frac{dp}{\rho} (2.8)

Nel caso in cui il fluido fluisca dal punto P a un punto arbitrario di riferimento, l’Eq. (2.6) rappresenta la perdita di energia potenziale, l’Eq. (2.7) la perdita di energia cinetica, e l’Eq. (2.8) la perdita di energia elastica, o lavoro p – V.

Il potenziale del fluido Φ (l’energia meccanica per unità di massa) è la somma di w1, w2 e w3. Per una massa unitaria di fluido, m = 1 nelle Eq. (2.6), (2.7) e (2.8), si ha quindi

\Phi = gz + \frac{v^2}{2}+\int^p_{p_0}\frac{dp}{\rho} (2.9)

Per il flusso nei mezzi porosi, le velocità sono estremamente basse, quindi il secondo termine può essere quasi sempre trascurato. Per fluidi incomprimibili (fluidi a densità costante, in modo che ρ non sia una funzione di p), l’Eq. (2.9) può essere ulteriormente semplificata

\Phi = gz + \frac{p-p_0}{\rho} (2.10)

Le precedenti ipotesi riguardanti le probabili componenti del potenziale sono quindi verificate. Il primo termine dell’Eq. (2.10) coinvolge la quota z e il secondo termine riguarda la pressione del fluido p.

Tornando al manometro di Darcy (Figura 2.4) è possibile relazionare questi termini al carico idraulico h. Nel punto P, la pressione p del fluido è data da

p = \rho g\psi + p_0 (2.11)

dove ψ è l’altezza della colonna di liquido sopra P e p0 è la pressione atmosferica o la pressione di riferimento. È quindi possibile riformulare l’Eq. (2.11) come

p = \rho g(h-z) + p_0 (2.12)

Figura 2.4 Carico idraulico h, carico di pressione ψ e altezza geometrica z per un manometro da laboratorio.

Sostituendo l’Eq. (2.12) nell’Eq. (2.10) si ottiene

\Phi = gz + \frac{[\rho g(h-z)+p_0]-p_0}{\rho} (2.13)

O, semplificando i termini,

\Phi = gh (2.14)

Il potenziale fluido Φ in un qualsiasi punto P in un mezzo poroso è semplicemente il carico idraulico nel punto moltiplicato per l’accelerazione di gravità. Poiché g è quasi costante in prossimità della superficie terrestre, Φ e h sono quasi perfettamente correlati. Richiamando la definizione di Hubbert, si può definire come una quantità fisica, misurabile, e il flusso si verifica sempre da punti in cui h ha valori più alti verso punti in cui è inferiore. Infatti, l’Eq. (2.14) mostra che, se Φ è energia per unità di massa, allora h è energia per unità di peso.

È comune nell’idrologia sotterranea impostare la pressione atmosferica p0 pari a zero e lavorare nelle pressioni relative (cioè pressioni oltre quella dell’atmosfera). In questo caso le Eq. (2.10) e (2.14) posso essere riscritte

\Phi = gz + \frac{p}{\rho} = gh (2.15)

Dividendo per g, si ottiene

h = z + \frac{p}{\rho g} (2.16)

Esplicitando l’Eq. (2.11)

p = \rho g \psi (2.17)

e quindi l’Eq. (2.16) diventa

h = z + \psi (2.18)

Il carico idraulico h è quindi descritto come la somma di due componenti: la altezza geometrica o quota del punto di misura z, e il carico di pressione ψ. Questa relazione è fondamentale per la comprensione del flusso delle acque sotterranee. La Figura 2.4 mostra la relazione per il manometro semplice di Darcy mentre la Figura 2.5 descrive un caso di misurazione sul campo.

Coloro che hanno familiarità con la meccanica dei fluidi potrebbero già aver riconosciuto l’Eq. (2.9) come l’equazione di Bernoulli, la formulazione classica della perdita di energia durante il flusso del fluido. Alcuni autori (Todd, 1959; Domenico, 1972) usano l’equazione di Bernoulli come punto di partenza per lo sviluppo dei concetti di potenziale fluido e carico idraulico.

Figura 2.5 Carico idraulico h, carico di pressione ψ e altezza geometrica z per un piezometro reale.

Se si esplicita l’Eq. (2.9) in termini di carico e si usa una forma semplificata, si ottiene

h_T = h_z + h_p + h_v (2.19)

dove, hz è il carico relativo alla quota, hρ il carico dovuto alla pressione e hv è il carico dato dalla componente di velocità. Nella formula precedente: hz = z, hp = ψ e hv = v2/2g. Il termine hT è chiamato carico totale, e per il caso speciale in cui h0 = 0, questo è uguale al carico idraulico h, e l’Eq. (2.18) viene confermata.

Dimensioni e unità di misura

Le dimensioni dei termini di carico h, ψ, z sono quelle di una lunghezza [L]. Solitamente sono espressi come “metri d’acqua” o “piedi d’acqua”. La specifica “d’acqua” sottolinea che le misurazioni del carico dipendono dalla densità del fluido come espresso dall’Eq. (2.17). Data la stessa pressione p del fluido nel punto P nella Figura 2.5, il carico idraulico h e il carico di pressione ψ avrebbero valori diversi se il fluido nei pori fosse costituito da olio anziché acqua. In questo testo, dove si ha sempre a che fare con l’acqua, i carichi sono riportati semplicemente in metri.

Per quanto riguarda gli altri termini descritti in questo capitolo, nel sistema internazionale (SI) [M/LT2], la pressione ha dimensioni [M/LT2] la densità ha dimensioni [M/L3], e il potenziale è una energia per unità di massa con dimensioni [L2/T2]. La Tabella 2.1 riepiloga le dimensioni e le unità comuni per tutti i parametri descritti finora. In questo testo sono utilizzate le unità metriche SI, ma nella Tabella 2.1 sono inclusi gli equivalenti di FPS. La Tabella A1.3 nell’appendice I fornisce fattori di conversione.

Si noti che nella Tabella 2.1 è indicata la peso di volume dell’acqua γ, definita da

\gamma = \rho g (2.20)

ed è un parametro più adatto della densità di massa ρ per il sistema di unità FPS, che ha la forza come una delle sue dimensioni fondamentali.

Tabella 2.1 Dimensioni e Unità dei principali parametri delle acquee sotterranee*

    Sistema Internazionale†
SI
  Sistema Foot-Pound-Second,‡
FPS
Parametro Simbolo Dimensione Unità di misura   Dimensione Unità di misura
Carico idraulico h [L] m   [L] ft
Carico di pressione ψ [L] m   [L] ft
Carico di quota z [L] m   [L] ft
Pressione del fluido p [M/LT2] N/m2 or Pa   [F/L2] lb/ft2
Potenziale del fluido Φ [L2/T2] m2/s2   [L2/T2] ft2/s2
Densità ρ [M/L3] kg/m3  
Peso di volume γ   [F/L3] lb/ft3
Portata unitaria

v [L/T] m/s   [L/T] ft/s
Conducibilità idraulica K [L/T] m/s   [L/T] ft/s
*Per dettagli si vedano le tabelle A1.1, A1.2 e A1.3 in Appendice I.
†Dimensioni fondamentali: lunghezza [L], massa [M] e tempo [T].
‡ Dimensioni fondamentali: lunghezza [L], forza [F] e tempo [T].

Piezometri e reti di flusso

Il dispositivo standard per la misurazione del carico idraulico è un tubo in cui è possibile misurare il livello dell’acqua. In laboratorio (Figura 2.4) il tubo è un manometro semplice; in campo (Figura 2.5) il tubo prende il nome di piezometro. Un piezometro deve essere generalmente sigillato lungo la sua lunghezza. Deve essere aperto al flusso d’acqua alla base e aperto all’atmosfera nella sua parte sommitale. L’afflusso avviene usualmente attraverso una sezione di tubo fenestrato. In ogni caso, un piezometro deve essere progettato per consentire l’afflusso dell’acqua ma non dei granelli di sabbia o particelle di argilla che costituiscono l’acquifero. Va sottolineato che il punto di misura in un piezometro è alla sua base, non al livello della superficie del fluido. Si può vedere il funzionamento del piezometro come quello di un termometro. È semplicemente lo strumento, se così può essere chiamato, utilizzato per determinare il valore di h in un qualche punto P all’interno di un acquifero. In anni recenti, per alcune applicazioni il semplice tubo piezometrico è stato rimpiazzato da sistemi più complessi che utilizzano trasduttori di pressione, celle pneumatiche e componenti elettroniche.

I piezometri vengono generalmente installati in gruppi in modo che possano essere utilizzati per determinare le direzioni del flusso delle acque sotterranee. Nella Figura 2.6 (a) i tre piezometri intercettano un acquifero. Considerando i valori misurati in ogni piezometro [Figura 2.6 (b)] è possibile definire la direzione del flusso, da destra (valori di h più elevati) verso sinistra (valori di h più bassi).

Figura 2.6 Determinazione dei gradienti idraulici dai dati ottenuti dall’istallazione di piezometri.

Qualora fosse nota la distanza tra i piezometri, si potrebbe calcolare il gradiente idraulico dh/dl. Se inoltre fosse nota anche la conducibilità idraulica K della formazione geologica, la legge di Darcy potrebbe essere utilizzata per calcolare la portata unitaria (o la portata del flusso attraverso qualsiasi sezione trasversale perpendicolare alla direzione del flusso).

A volte il gradiente verticale può essere di particolare interesse. In questi casi viene utilizzata una rete piezometrica, con due o più piezometri installati uno accanto all’altro (o eventualmente nello stesso foro), ciascuno con base ad una profondità diversa e possibilmente in una diversa formazione geologica. Le Figure 2.6 (c) e 2.6 (d) mostrano una rete piezometrica in un sito caratterizzato da un flusso di acquee sotterranee verso l’alto.

La distribuzione dei carichi idraulici in un acquifero è tridimensionale nello spazio. Gli esempi mostrati in Figura 2.6 dimostrano l’esistenza di componenti del flusso solo nelle direzioni indicate. Qualora fosse disponibile un gran numero di piezometri distribuito nell’acquifero, sarebbe possibile delineare le posizioni ad uguale carico idraulico. Nelle tre dimensioni, il luogo di questi punti forma una superficie equipotenziale. In qualsiasi sezione trasversale bidimensionale, che sia orizzontale, verticale o altrimenti orientata, le tracce delle superfici equipotenziali sulla sezione sono chiamate linee equipotenziali. Se l’andamento dei carichi idraulici è noto, in una sezione trasversale le linee di flusso possono essere costruite perpendicolarmente alle linee equipotenziali (nella direzione del gradiente massimo). L’insieme risultante di linee equipotenziali e linee di flusso è definito come reticolo di flusso. Il Capitolo 5 fornirà istruzioni dettagliate sulla costruzione dei reticoli di flusso e il Capitolo 6 mostrerà la loro utilità nell’interpretazione del flusso di acque sotterranee a scala regionale.

Flusso accoppiato

Esistono ora evidenze sia sperimentali sia teoretiche che mostrano come l’acqua può essere indotta a fluire attraverso mezzi porosi sotto l’influenza di gradienti anche diversi dal carico idraulico. Ad esempio, la presenza di un gradiente di temperatura (così come un flusso di calore) può causare un flusso di acque sotterranee anche in assenza di gradienti idraulici (Gurr et al., 1952; Philip e de Vries, 1957). Questa componente risulta essere molto importante ad esempio nella formazione di cunei di ghiaccio nel suolo (Hoekstra, 1966; Harlan, 1973).

Nel caso in cui siano applicate delle correnti in un terreno, un gradiente elettrico può innescare un flusso di acqua da una zona ad alta tensione a una a bassa tensione. Il meccanismo del flusso implica un’interazione tra gli ioni caricati nell’acqua e la carica elettrica associata ai minerali argillosi nel terreno (Casagrande, 1952). Il principio è usato nella meccanica del suolo per l’approccio elettrocinetico al drenaggio del suolo (Terzaghi e Peck, 1967).

I gradienti chimici possono creare un flusso di acqua (così come il movimento di costituenti chimici attraverso l’acqua) da regioni in cui l’acqua ha salinità superiore a regioni in cui ha una salinità inferiore, anche in assenza di altri gradienti. Il ruolo dei gradienti chimici nella formazione dei flussi d’acqua è relativamente poco importante, ma la loro influenza diretta sul movimento degli elementi chimici è di grande importanza nello studio della contaminazione delle acque sotterranee. Questi concetti verranno ripresi nei Capitoli 3, 7 e 9.

Poiché ognuno di questi gradienti ha un ruolo nella creazione del flusso, ne consegue che una legge del flusso più generale dell’Eq. (2.3) può essere scritta come

v = -L_1\frac{dh}{dl} - L_2\frac{dT}{dl} - L_3\frac{dc}{dl} (2.21)

dove h è il carico idraulico, T è la temperatura e c è la concentrazione chimica; L1, L2, L3 sono costanti di proporzionalità. Dal momento che, come spiegato l’effetto del gradiente chimico è trascurabile, è possibile assumere dc/dl = 0. Rimane una situazione in cui il flusso del fluido avviene in risposta sia a un gradiente idraulico sia a un gradiente di temperatura:

v = -L_1\frac{dh}{dl} - L_2\frac{dT}{dl} (2.22)

In generale, L1 dh/dl \gg dT/dl.

Se un gradiente di temperatura può innescare sia il flusso di un fluido sia il flusso di calore all’interno di un mezzo poroso, allora un gradiente idraulico può innescare un flusso di calore oltre che il flusso del fluido. Questa reciproca interdipendenza è il risultato del concetto termodinamico di flusso accoppiato. Se si pone dh/dl = i1 e dT/dl = i2, si può scrivere una coppia di equazioni basata sull’Eq. (2.22):

v_1 = -L_{11}i_1 - L_{12}i_2 (2.23)

v_2 = -L_{21}i_1 - L_{22}i_2 (2.24)

dove v1 è la portata unitaria di fluido attraverso il mezzo poroso, v2 è la portata unitaria di calore e le L corrispondono a coefficienti fenomenologici. Se L12 = 0 nell’Eq. (2.23), rimane la legge di Darcy sul flusso di acque sotterranee e L11 = 0 rappresenta la conducibilità idraulica. Se L21 = 0 nell’Eq. (2.24) rimane la legge del flusso di calore di Fourier e L22 rappresenta la conducibilità termica.

È possibile scrivere un set completo di equazioni accoppiate. L’insieme delle equazioni avrebbe la forma della (2.23) ma coinvolgerebbe tutti i gradienti riportati nell’Eq. (2.21) e forse altri. La teoria dei flussi accoppiati in mezzi porosi fu sviluppata per la prima volta da Taylor e Cary (1964). Olsen (1969) ha effettuato ricerche sperimentali significative. Bear (1972) fornì uno sviluppo più dettagliato dei concetti finora descritti. La descrizione termodinamica della fisica del flusso nei mezzi porosi è concettualmente potente, ma in pratica ci sono pochissimi dati sulla natura dei coefficienti che si trovano fuori dalla diagonale nella matrice dei coefficienti fenomenologici Lij. In questo testo si assume che il flusso delle acque sotterranee sia completamente descritto dalla legge di Darcy [Eq. (2.3)]; che il carico idraulico [Eq. (2.18)] sia una rappresentazione adeguata del carico totale; e che la conducibilità idraulica sia l’unico coefficiente fenomenologico importante nell’Eq. (2.21).

2.3 Conducibilità idraulica e permeabilità

Come sottolineato da Hubbert (1956), la costante di proporzionalità nella legge di Darcy, che è stata battezzata con il nome di conducibilità idraulica, è una funzione non solo del mezzo poroso ma anche del fluido che lo attraversa. Considerando l’apparato sperimentale di Darcy (Figura 2.1), se Δh e Δl sono mantenuti costanti in due esperimenti in cui si utilizza la stessa sabbia, ma nel primo caso viene usato come fluido l’acqua, mentre nel secondo caso la melassa, la portata unitaria ottenuta nel secondo caso risulta essere molto minore. Per questo motivo, sarebbe utile trovare un parametro che possa descrivere le proprietà conduttive del mezzo poroso indipendentemente dal fluido che lo attraversa.

A tal fine sono stati condotti diversi esperimenti utilizzando mezzi porosi ideali costituiti da perle di vetro uniformi di diametro d. Quando i vari fluidi di densità ρ e di viscosità dinamica μ vengono fatti passare attraverso l’apparecchio sotto un gradiente idraulico costante dh/dl, si osservano le seguenti relazioni di proporzionalità:

v \propto d^2

v \propto \rho g

v \propto \frac{1}{\mu}

Queste relazioni, insieme all’osservazione originale di Darcy v \propto - dh/dl, permettono di ottenere una nuova versione della legge di Darcy:

v = -\frac{Cd^2\rho g}{\mu}\frac{dh}{dl} (2.25)

dove il parametro C è un’altra costante di proporzionalità. Per i terreni reali deve includere l’influenza di altre proprietà del mezzo che influenzano il flusso, a parte il diametro del granulo medio: ad esempio, la distribuzione granulometrica, la sfericità e la rotondità dei grani, e la natura del loro impacchettamento.

Confrontando l’Eq. (2.25) con l’equazione di Darcy originale (2.3) si vede che

K = \frac{Cd^2\rho g}{\mu} (2.26)

In questa equazione, ρ e μ sono funzioni del fluido e Cd2 è una funzione del mezzo poroso. Se si definisce

k = Cd^2 (2.27)

allora

K = \frac{k\rho g}{\mu} (2.28)

Il parametro k è noto come permeabilità specifica o permeabilità intrinseca. K è chiamato conducibilità idraulica, mentre nell’uso comune è corretto riferirsi a k semplicemente come permeabilità. Questa è la convenzione che verrà seguita nel proseguo di questo testo sebbene possa creare della confusione, specialmente quando si fa riferimento a testi precedenti e report dove la conducibilità idraulica K è talvolta chiamata coefficiente di permeabilità.

Hubbert (1940) ha sviluppato l’Eq. (2.25) attraverso l’Eq. (2.28) basandosi su principi fondamentali, considerando le relazioni tra forze agenti e resistenti a scala microscopica durante il flusso attraverso mezzi porosi. Le considerazioni dimensionali inerenti alla sua analisi ci hanno fornito la prospettiva di includere la costante g nella relazione di proporzionalità che porta all’Eq. (2.25). In questo modo C emerge come una costante adimensionale.

La permeabilità k è una funzione solo del mezzo poroso e ha dimensioni [L2]. Il termine è largamente utilizzato nell’industria del petrolio, dove l’esistenza di gas, olio e acqua in un sistema di flusso multifase rendono l’utilizzo di un parametro di conduttanza indipendente dal fluido estremamente invitante. Di solito k è misurato in m2 o cm2, fornendo valori molto piccoli, per questo motivo gli ingegneri del petrolio hanno definito il darcy come unità di permeabilità. Se l’Eq. (2.28) è sostituito nell’Eq. (2.3), la legge di Darcy diventa

v = \frac{-k\rho g}{\mu}\frac{dh}{dl} (2.29)

Riferendosi all’Eq. (2.29), 1 darcy è definito come la permeabilità che consente una portata unitaria di 1 cm/s per un fluido con viscosità 1 cp (centi poiseuille), sotto un gradiente idraulico che rende il termine ρg dh/dl uguale a 1 atm/cm. Un darcy corrisponde approssimativamente a 10–8 cm2.

Nell’indiustria dei pozzi d’acqua, l’unità gal/day/ft2 è ampiamente utilizzata per la conducibilità idraulica. La sua rilevanza è chiara quando la legge di Darcy è formulata come l’Eq. (2.4):

Q = -K\frac{dh}{dl}A

Le prime informative fornite dal Servizio Geologico Americano riguardo a questa unità di misura distinguono tra un coefficiente di laboratorio e uno di campo. Tuttavia, un successivo aggiornamento (Lohman, 1972) ha permesso di scartare questa differenziazione formale. È sufficiente notare che le differenze di temperatura tra laboratorio e terreno possono influenzare i valori di conducibilità idraulica attraverso il termine di viscosità presente nell’Eq. (2.28). Di solito questo effetto è piccolo, quindi raramente vengono introdotti fattori di correzione. Resta comunque buona norma riportare se le misure di conducibilità idraulica sono state effettuate in laboratorio o sul terreno, perché i metodi di misura sono molto differenti e le interpretazioni fatte a partire dai valori proposti possono dipendere dal tipo di misura. Tuttavia, questa informazione riveste un’importanza principalmente pratica piuttosto che concettuale.

La Tabella 2.2 indica l’intervallo di valori di conducibilità idraulica e permeabilità per una vasta gamma di rocce e terreni, in cinque diverse unità di misura. La tabella è basata in parte sui dati riportati nel report di Davis (1969). La conclusione principale che si può trarre da questi dati è che la conducibilità idraulica varia su un intervallo molto ampio. Esistono molto pochi parametri fisici che coprono intervalli di valori superiori a 13 ordini di grandezza. In termini pratici, questa caratteristica indica che già la conoscenza dell’ordine di grandezza della conducibilità idraulica può essere di estrema utilità. Al contrario, la cifra riportata in terza posizione decimale all’interno di un valore di conducibilità idraulica avrà probabilmente bassa significatività.

La Tabella 2.3 fornisce un insieme di fattori di conversione per le più comuni unità di misura di k e K. Come esempio del suo utilizzo, si noti che un valore dik espresso in cm2 può essere convertito in ft2 moltiplicandolo per 1.08 × 10–3. Per la conversione inversa da ft2 a cm2, il fattore moltiplicativo è 9.29 × 102.

I vari metodi per la misurazione della conducibilità idraulica in laboratorio e sul campo sono descritti in dettaglio dalla Sezione 8.4 alla 8.6.

Tabella 2.2 Range di valori di conducibilità idraulica (K) e permeabilità (k)

Tabella 2.3 Fattori di conversione per le unità di misura di permeabilità (k) e conducibilità idraulica (K)

Permeabilità, k* Conducibilità idraulica, K
cm2 ft2 darcy m/s ft/s gal/day/ft2
cm2 1 1.08 × 10–3 1.01 × 108 9.80 × 102 3.22 × 102 1.85 × 109
ft2 9.29 × 102 1 9.42 × 1010 9.11 × 105 2.99 × 106 1.71 × 1012
darcy 9.87 × 10–9 1.06 × 10–11 1 9.66 × 10–6 3.17 × 10–5 1.82 × 101
m/s 1.02 × 10–3 1.10 × 10–6 1.04 × 105 1 3.28 2.12 × 106
ft/s 3.11 × 10–4 3.35 × 10–7 3.15 × 104 3.05 × 10–1 1 6.46 × 105
gal/day/ft2 5.42 × 10–10 5.83 × 10–13 5.49 × 10–2 4.72 × 10–7 1.55 × 10–6 1
*Per ottenere k in ft2, si deve moltiplicare k espresso in cm2per 1.08 × 10–3.

2.4 Eterogeneità e anisotropia della conducibilità idraulica

I valori di conducibilità idraulica di solito mostrano variazioni spaziali all’interno di una stessa formazione geologica. Possono inoltre mostrare variazioni con la direzione di misura ad ogni punto all’interno della formazione geologica. La prima proprietà è definita eterogeneità e la seconda anisotropia. L’evidenza che queste proprietà sono comuni si trova nella variabilità delle misure che vengono prodotte nella maggior parte delle campagne di campionamento sul terreno. La motivazione dietro la loro ampia diffusione è che queste proprietà derivano da diversi processi che portano alla formazione dei vari ambienti geologici.

Omogeneità ed eterogeneità

Se la conducibilità idraulica K è indipendente dalla posizione all’interno di una formazione geologica, la formazione è omogenea. Al contrario, se la conducibilità idraulica K è dipendente dalla posizione all’interno di una formazione geologica, la formazione è detta eterogenea. Se si imposta un sistema di coordinate xyz in una formazione omogenea si ha che K(x, y, z) = C, dove C è una costante; mentre in una formazione eterogenea, K(x, y, z) ≠ C.

In natura esistono probabilmente tant tipi di eterogeneità quanti sono gli ambienti geologici, ma è importante focalizzare sui tre tipi principali. La Figura 2.7 (a) riporta una sezione trasversale verticale che mostra un esempio di eterogeneità di strato, comune nelle rocce sedimentarie, nei depositi lacustri e marini non consolidati. Qui, i singoli livelli che compongono la formazione hanno ciascuno un proprio valore omogeneo di conducibilità K1, K2, .ecc., ma l’intero sistema può essere considerato come eterogeneo. L’eterogeneità di strato può risultare in contrasti di K che coprono quasi tutto il range di variabilità di 13 ordini di grandezza (Tabella 2.2), come, per esempio, tra depositi alternati di argilla e sabbia. Contrasti altrettanto grandi possono sorgere in caso di eterogeneità discontinua causata dalla presenza di faglie o caratteri stratigrafici a grande scala. Probabilmente, la più diffusa discontinuità è il contatto tra substrato roccioso e copertura. La Figura 2.7 (b) riporta una mappa che mostra un caso di eterogeneità direzionale. Le variazioni direzionali sono possibili in qualsiasi tipo di formazione geologica, ma sono particolarmente comuni nei depositi sedimentari come delta fluviali, conoidi alluvionali, e pianure glaciali. Gli orizzonti del suolo A, B e C mostrano spesso un trend verticale nei valori di conducibilità idraulica, così come lo mostrano rocce la cui conducibilità dipende principalmente dalla concentrazione di giunti e fratture. L’eterogeneità direzionale in grandi formazioni sedimentarie consolidate o non consolidate può portare a variazioni di 2-3 ordini di grandezza in pochi km.

Molti idrogeologi e geologi del petrolio hanno utilizzato distribuzioni statistiche per fornire una descrizione quantitativa del grado di eterogeneità di una formazione geologica. Al momento esistono numerose prove dirette a sostegno dell’affermazione che la funzione di densità di probabilità per la conducibilità idraulica sia lognormale. Warren e Price (1961) e Bennion e Griffiths (1966) scoprirono che tale è la distribuzione in rocce di giacimenti petroliferi; Willardson e Hurst (1965) e Davis (1969) notarono lo stesso anche per le formazioni acquifere non consolidate. La distribuzione log-normale di K è definita come Y = log K, dove Y è un parametro che mostra una distribuzione normale. Freeze (1975) fornì una tabella, basata su quanto descritto in precedenza, in cui è mostrato come la deviazione standard di Y (che è indipendente dall’unità di misura) sia di solito nell’intervallo 0.5–1.5. Ciò significa che i valori di K nella maggior parte delle formazioni geologiche mostrano variazioni eterogenee interne di 1–2 ordini di grandezza. L’eterogeneità direzionale all’interno di una formazione geologica può essere quindi considerata come il trend del valore medio della distribuzione di probabilità. La deviazione standard della conducibilità idraulica può essere evidente dalle misurazioni in diverse punti nella formazione, ma il trend dei valori medi porta ad una crescita dell’intervallo complessivo di valori osservato per la formazione.

Figura 2.7 Eterogeneità stratificata ed eterogeneità di trend.

Greenkorn e Kessler (1969) hanno fornito una serie di definizioni di eterogeneità che sono coerenti con le osservazioni statistiche. Infatti, evidenziarono che dal momento che tutte le formazioni geologiche mostrano variazioni spaziali in K, allora in termini di definizioni classiche non esiste una formazione omogenea. Essi ridefinirono quindi una “formazione omogenea” come quella in cui la funzione di densità di probabilità della conducibilità idraulica è unimodale, cioè mostra variazioni in K, ma mantiene una K media costante nello spazio. Al contrario, una formazione eterogenea è definita come una formazione in cui la funzione di densità di probabilità è multimodale. Per descrivere un mezzo poroso che soddisfi la definizione classica di omogeneità (K costante ogni punto, come nell’esperimento con sfere di vetro di diametro d) viene usato il termine uniforme. Per adattare le definizioni date all’inizio di questa sezione alla realtà, si può aggiungere l’aggettivo “medio” e rivedere le definizioni originali in termini di conducibilità idraulica media.

Isotropia e anisotropia

Se la conducibilità idraulica K è indipendente dalla direzione di misura in un qualsiasi punto di una formazione geologica, la formazione è definita isotropa in quel punto. Al contrario, se la conducibilità idraulica K varia con la direzione della misura, la formazione geologica è anisotropa nel punto di misura.

Considerando una sezione verticale bidimensionale di una formazione anisotropa, e prendendo θ come l’angolo tra l’orizzontale e la direzione di misurazione di un valore K; allora K = K(θ). Le direzioni nello spazio corrispondenti all’angolo θ in cui K raggiunge i suoi valori massimo e minimo sono note come direzioni principali dell’anisotropia. Queste sono sempre perpendicolari tra loro. Nello spazio in tre dimensioni, se un piano è preso perpendicolare ad una delle direzioni principali, le altre due direzioni principali sono le direzioni del massimo e del minimo K su quel piano.

Impostando un sistema di coordinate xyz in modo che gli assi coincidano con le direzioni principali dell’anisotropia, i valori di conducibilità idraulica nelle direzioni principali possono essere specificati come Kx, Ky, Kz. In qualsiasi punto (x, y, z), una formazione isotropa avrà Kx = Ky = Kz mentre una formazione anisotropa avrà KxKyKz. Se KxKyKz, come è comune nei depositi sedimentari stratificati orizzontalmente, si dice che la formazione sia trasversalmente isotropa.

Per descrivere in modo completo la conducibilità idraulica in una formazione geologica, è necessario utilizzare due aggettivi, uno che si riferisca all’eterogeneità e uno all’anisotropia. Ad esempio, per un sistema isotropo omogeneo in due dimensioni: Kx(x, z) = Kz(x, z) = C per tutti i punti (x, z), dove C è una costante. Per un sistema omogeneo e anisotropo, Kx(x, z) = C1 per tutti i punti (x, z) e Kz(x, z) = C2 per tutti i punti (x, z) ma C1C2. La Figura 2.8 illustra le quattro possibili combinazioni di eterogeneità e anisotropia. La lunghezza dei vettori delle frecce è proporzionale ai valori di Kx e Kz nei due punti (x1, z1) e (x2, z2).

La causa principale dell’anisotropia a piccola scala è l’orientamento dei minerali argillosi nelle rocce sedimentarie e nei sedimenti non consolidati. Campioni di argille e argilliti mostrano un rapporto tra anisotropia orizzontale e verticale di solito inferiore a 3:1, solo molto raramente questo rapporto risulta essere superiore a 10:1.

Su scala più ampia, può essere mostrato che esiste una relazione tra eterogeneità di strato e anisotropia (Maasland, 1957, Marcus ed Evenson, 1961). Ogni strato della formazione in Figura 2.9 è omogeneo ed isotropo con valori di conducibilità idraulica K1, K2, . . . , Kn; il sistema nel suo complesso si comporta come un singolo strato omogeneo e anisotropo.

Figura 2.8 Quattro possibili combinazioni di eterogeneità e anisotropia.
Figura 2.9 Relazione tra eterogeneità stratificata e anisotropia.

Il flusso, nel sistema analizzato, viene considerato perpendicolare alla stratificazione e la portata unitaria v deve essere la stessa sia in ingresso che in uscita dal sistema. Sia Δh1 la perdita di carico attraverso il primo strato, Δh2 attraverso il secondo strato e così via. La perdita totale di carico è quindi definita Δh = Δh1 + Δh2 + . . . + Δhn e dalla legge di Darcy si può scrivere,

v = \frac{K_1\Delta h_1}{d_1} = \frac{K_2\Delta h_2}{d_2} = ... = \frac{K_n\Delta h_n}{d_n} = \frac{K_z\Delta h}{d} (2.30)

dove Kz, rappresenta la conducibilità idraulica verticale equivalente per il sistema stratificato. Risolvendo l’Eq. (2.30) per Kz e utilizzando le relazioni interne per Δh1, Δh2, . . . , otteniamo

K_z = \frac{vd}{\Delta h} = \frac{vd}{\Delta h_1 + \Delta h_2 + ... \Delta h_n} =  \frac{vd}{vd_1/K_1+vd_2/K_2+...+vd_n/K_n}

che conduce a

K_z = \frac{d}{\sum_{i=1}^n\frac{d_i}{K_i}} (2.31)

Ora si consideri invece il flusso parallelo alla stratificazione. Sia Δh la perdita di carico lungo una distanza orizzontale l. La portata Q attraverso uno spessore unitario del sistema stratificato è la somma delle portate attraverso gli strati. La portata unitaria v = Q/d è quindi data da

v = \displaystyle\sum_{i=1}^n \frac{K_id_i}{d}\frac{\Delta h}{l} = K_x\frac{\Delta h}{l}

dove Kx è la conducibilità idraulica orizzontale equivalente. Semplificando si ha

K_x = \sum_{i=1}^n\frac{K_id_i}{d} (2.32)

Le Eq. (2.31) e (2.32) forniscono i valori Kx e Kz per una singola formazione omogenea ma anisotropa, idraulicamente equivalente al sistema stratificato costituito da formazioni geologiche isotrope e omogenee mostrato in Figura 2.9. Con alcune elaborazioni algebriche su queste due equazioni, è possibile mostrare che Kx > Kz per tutti i possibili set di valori di K1, K2, . . . , Kn. Infatti, se si considera un insieme di accoppiamenti ciclici K1, K2, K1, K2, . . . con K1 = 104 e K2 = 102, risulta che Kx/Kz = 25. Nel caso in cui K1= 104 e K2= 1, Kx/Kz = 2500. Sul terreno, non è raro che l’eterogeneità di strato porti a valori di anisotropia regionale nell’ordine di 100:1 o addirittura superiori.

Snow (1969) ha dimostrato che anche le rocce fratturate si comportano anisotropicamente a causa delle variazioni direzionali dell’apertura e della spaziatura delle discontinuità. In questo caso, è abbastanza comune che Kz > Kx.

La legge di Darcy in tre dimensioni

Per il flusso nelle tre dimensioni dello spazio, in un mezzo che può essere anisotropo, è necessario generalizzare la forma unidimensionale della legge di Darcy [Eq. (2.3)] presentata precedentemente. In tre dimensioni la velocità v è un vettore con componenti vx, vy e vz, e la generalizzazzione più semplice risulta essere

v_x =-K_x\frac{\partial h}{\partial x}

v_y =-K_y\frac{\partial h}{\partial y} (2.33)

v_z =-K_z\frac{\partial h}{\partial z}

dove Kx, Ky e Kz sono i valori di conducibilità idraulica nelle direzioni x, y e z. Poiché h in questo caso è funzione di x, y e z, le derivate devono essere parziali.

In questo testo si assume che le Eq. (2.33) siano una descrizione adeguata del flusso tridimensionale, anche se le tre componenti della velocità possono essere descritte con un set di equazioni più generiche come

v_x = -K_{xx}\frac{\partial h}{\partial x} - K_{xy}\frac{\partial h}{\partial y} - K_{xz}\frac{\partial h}{\partial z}

v_y = -K_{yx}\frac{\partial h}{\partial x} - K_{yy}\frac{\partial h}{\partial y} - K_{yz}\frac{\partial h}{\partial z} (2.34)

v_x = -K_{zx}\frac{\partial h}{\partial x} - K_{zy}\frac{\partial h}{\partial y} - K_{zz}\frac{\partial h}{\partial z}

Da questa serie di equazioni si evince come in realtà la conducibilità idraulica abbia nel caso più generale nove componenti. Queste componenti, presentate in forma di matrice, formano un tensore simmetrico di secondo ordine noto come tensore di conducibilità idraulica (Bear, 1972). Per il caso speciale in cui Kxy = Kyx = Kyz = Kzx = Kzy = 0, le nove componenti si riducono a tre e l’Eq. (2.33) risulta quindi essere un’adeguata generalizzazione della legge di Darcy. La condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione dell’Eq. (2.33) anziché della (2.34) è che le direzioni principali dell’anisotropia coincidano con gli assi delle coordinate x, y e z. Nella maggior parte dei casi è possibile scegliere un sistema di coordinate che soddisfi questo requisito, tuttavia possono esistere sistemi eterogenei e anisotropi in cui le direzioni principali dell’anisotropia variano da una formazione all’altra e per questi sistemi la scelta di assi adeguati è impossibile.

Ellissoide della conducibilità idraulica

Si consideri una linea di flusso arbitraria nel piano xy, in un mezzo omogeneo, anisotropo con conducibilità idraulica principale Kx e Kz, [Figura 2.10 (a)].

Figure 2.10 (a) Portata unitariavs in una direzione arbitraria del flusso. (b) ellisse di conducibilità idraulica.

Lungo la linea di flusso si ha

v_s = - K_s\frac{\partial h}{\partial s} (2.35)

dove il valore di Ks è sconosciuto, anche se presumibilmente si trova nell’intervallo KxKz. È possibile separare vs nelle sue componenti vx e vz, dove

v_x = -K_x\frac{\partial h}{\partial x} = v_s \cos \theta
(2.36)

v_z = -K_z\frac{\partial h}{\partial z} = v_s \sin \theta

Dal momento che h = h(x, z),

\frac{\partial h}{\partial s} = \frac{\partial h}{\partial x} \cdot \frac{\partial x}{\partial s} + \frac{\partial h}{\partial z} \cdot \frac{\partial z}{\partial s}(2.37)

Geometricamente, ∂x/∂s = cos θ e ∂z/∂s = sin θ. Sostituendo queste relazioni con le Eq. (2.35) e (2.36) all’interno dell’Eq. (2.37) e semplificando i termini si ottiene

2.38

\frac{1}{K_s} = \frac{\cos^2 \theta}{K_x} + \frac{\sin^2 \theta}{K_z} (2.38)

Questa equazione mette in relazione le componenti principali della conducibilità Kx e Kz con il Ks risultante, in qualsiasi direzione angolare θ. Se si pone l’Eq. (2.38) in coordinate rettangolari, impostando x = r cos θ e z = r sin θ, si ottiene

\frac{r^2}{K_s} = \frac{x^2}{K_x} + \frac{z^2}{K_z} (2.39)

che corrisponde all’equazione di un’ellisse con gli assi maggiori \sqrt{K_x} e \sqrt{K_z} [Figura 2.10 (b)]. In tre dimensioni, diventa un ellissoide con assi principali \sqrt{K_x}, \sqrt{K_y} e \sqrt{K_z}, ed è noto come ellissoide della conducibilità idraulica. Nella Figura 2.10 (b), il valore di conducibilità Ks in qualsiasi direzione del flusso in un mezzo anisotropo può essere determinato graficamente se Kx e Kz sono noti.

Nella Sezione 5.1, verrà discussa la costruzione dei reticoli di flusso in mezzi anisotropi, e verrà mostrato che, contrariamente ai mezzi isotropi, le linee di flusso non sono perpendicolari alle linee equipotenziali nei mezzi anisotropi.

2.5 Porosità e l’indice dei vuoti

Separando l’unità di volume totale VT di un terreno o di una roccia in volume della porzione solida Vs e in volume dei vuoti Vv, la porosità n è definita come n = Vv/VT e di solito è espressa come frazione decimale o percentuale.

La Figura 2.11 mostra la relazione tra le varie tessiture di rocce e terreni e la porosità. È importante distinguere tra la porosità primaria, che è dovuta alla matrice del terreno o della roccia [Figura 2.11 (a), (b), (c), (d)], e la porosità secondaria, che può essere dovuta a fenomeni di dissoluzione secondaria [Figura 2.11 (e)] o a un sistema di fratturazione a controllo regionale [Figura 2.11 (f)].

Figura 2.11 Relazione tra tessitura e porosità. (a) Deposito sedimentario ben classato con alta porosità; (b) deposito sedimentario scarsamente classato a bassa porosità; (c) deposito sedimentario ben classato costituito da ciottoli a loro volta porosi, nell’insieme il deposito ha una porosità molto elevata; (d) deposito sedimentario ben classato la cui porosità è stata ridotta dalla deposizione di mineralizzazioni negli interstizi; (e) roccia resa porosa per dissoluzione; (f) roccia resa porosa dalla fratturazione (dopo Meinzer, 1923).

La Tabella 2.4, basata in parte su dati riassunti da Davis (1969), elenca intervalli di porosità rappresentativi per vari materiali geologici. In generale, le rocce hanno porosità più basse dei terreni; ghiaie, sabbie e limi, che sono costituiti da particelle angolari e arrotondate, hanno porosità più basse dei terreni ricchi di minerali argillosi stratificati; un deposito scarsamente classato [Figura 2.11 (b)] ha porosità minori rispetto ai depositi ben classati [Figura 2.11 (a)].

Tabella 2.4 Range di valori di porosità per rocce e terreni

n(%)
Depositi non consolidati
Ghiaia da 25 a 40
Sabbia da 25 a 50
Silt da 35 a 50
Argilla da 40 a 70
Rocce
Basalti fratturati da 5 a 50
Calcari carsificati da 5 a 50
Arenaria da 5 a 30
Calcari e dolomie da 0 a 20
Shale da 0 a 10
Rocce cristalline fratturate da 0 a 10
Rocce cristalline da 0 a 5
Fonte: Davis, 1969.

La porosità n può avere un importante controllo sulla conducibilità idraulica K. Nelle campagne di campionamenti effettuate all’interno di depositi di sabbia ben classata o in formazioni rocciose fratturate, i campioni con maggiore n generalmente hanno anche valori di K più elevati. Questa considerazione non può essere invece applicata a scala regionale in cui si può trovare un ampio spettro di rocce e terreni. I terreni ricchi di argilla, ad esempio, hanno solitamente porosità più elevate dei terreni sabbiosi o ghiaiosi, ma conducibilità idrauliche inferiori. Nella Sezione 8.7 verranno presentate tecniche per la stima della conducibilità idraulica da porosità e da analisi granulometriche.

La porosità n è strettamente correlata all’indice dei vuoti e, ampiamente usato in meccanica dei terreni. L’indice dei vuoti è definito come e = Vv/Vs, ed e è correlato a n da

e = \frac{n}{1-n} \hspace{1cm} \text{or} \hspace{1cm} n = \frac{e}{1+e} (2.40)

I valori di e solitamente rientrano nell’intervallo 0–3.

La misura della porosità sui campioni di terreno in laboratorio è trattata nella Sezione 8.4.

2.6 Flusso nella zona insatura e superficie di falda

Finora, la legge di Darcy e i concetti di carico idraulico e conducibilità idraulica sono stati sviluppati per un mezzo poroso saturo, ossia un mezzo in cui tutti i vuoti sono riempiti di acqua. È chiaro che alcuni terreni, specialmente quelli prossimi alla superficie del suolo, sono saturi solo raramente. I loro vuoti sono solitamente solo parzialmente riempiti d’acqua, mentre il resto dei pori viene occupato dall’aria. Il flusso d’acqua in tali condizioni è definito come flusso insaturo o parzialmente saturo. Storicamente, lo studio del flusso nell’insaturo è stato il dominio dei fisici del suolo e degli ingegneri agrari, ma recentemente sia gli scienziati del suolo che gli idrogeologi hanno riconosciuto la necessità di mettere insieme le diverse competenze e di sviluppare un approccio integrato allo studio del flusso sotterraneo, sia per il saturo che per l’insaturo.

In questa sezione verrà discussa l’idraulica del flusso d’acqua nel non saturo mentre non verranno trattati né il trasporto della fase vapore né le interazioni tra acqua presente nel terreno e piante. Questi ultimi argomenti sono di particolare interesse nell’ambito delle scienze agrarie e giocano un ruolo importante nell’interpretazione della geochimica dei terreni. Una considerazione più dettagliata della fisica e della chimica del trasferimento dell’umidità nei suoli insaturi può essere trovata a livello introduttivo in Baver et al. (1972) e ad un livello più avanzato in Kirkham e Powers (1972) e Childs (1969).

Contenuto di umidità

Se il volume unitario totale VT di un suolo o di una roccia è diviso nel volume della parte solida Vs, il volume dell’acqua Vw e il volume dell’aria Va, il contenuto volumetrico di umidità θ è definito come θ = Vw/VT. Come la porosità n, viene solitamente riportata come frazione decimale o percentuale. Nel caso di un flusso nel saturo, θ = n; per flusso nell’insaturo, θ < n.

Superficie di falda

La configurazione più semplice delle condizioni saturo e insaturo è quella in cui si ha una zona insatura a ridosso del piano campagna e una zona satura in profondità [Figura 2.12 (a)]. Si pensa comunemente che la superficie di falda sia il confine tra le due zone, ma va tenuto in considerazione che esiste una frangia capillare al di sopra della superficie piezometrica. In considerazione di questo tipo di complicazione, è bene provvedere un insieme coerente di definizioni per i vari concetti saturo-insaturo.

La superficie di falda (o superficie piezometrica) è definita come la superficie su cui la pressione del fluido p nei pori di un mezzo poroso è esattamente uguale a quella atmosferica. La posizione di questa superficie è rivelata dal livello in cui si trova l’acqua all’interno in un pozzo completamente filtrato, abbastanza profondo da raggiungere acqua libera al proprio fondo. Se p viene misurato tramite un manometro, si avrà che in corrispondenza della superficie di falda p = 0. Ciò implica ψ = 0, e poiché h = ψ + z, il carico idraulico in qualsiasi punto della superficie di falda deve essere uguale alla quota z della superficie di saturazione in quel punto. Sulle figure si indica spesso la posizione della superficie piezometrica tramite un piccolo triangolo capovolto, come nella Figura 2.12 (a).

Figura 2.12 Stato dell’acqua sotterranea in prossimità del piano campagna. a) Zone sature e insature; (b) profili di contenuto di umidità rispetto alla profondità; (c) relazioni carico di pressione e carico idraulico; dettagli: ritenzione idrica sotto carico di pressione inferiore (in alto) e maggiore (in basso) di quello atmosferico; (d) profilo del carico di pressione rispetto alla profondità; (e) profilo del carico idraulico rispetto alla profondità.

Carichi di pressione negativi e tensiometri

Si è visto che ψ > 0 (come indicato dalle misure piezometriche) nella zona saturata e che ψ = 0 in corrispondenza della superficie di falda. Ne consegue che ψ < 0 nella zona insatura. Ciò dipende dal fatto che l’acqua nella zona insatura è trattenuta nei pori del terreno sotto l’azione di forze di tensione superficiali. Un’ispezione microscopica rivelerebbe un menisco concavo che si estende da grano a grano attraverso ciascun poro, come mostrato nell’inserto circolare superiore in Figura 2.12 (c). Il raggio di curvatura su ciascun menisco riflette la tensione superficiale su quell’interfaccia microscopica aria-acqua. In riferimento a questo meccanismo fisico di ritenzione idrica, i fisici del suolo chiamano spesso il carico di pressione ψ, quando ψ < 0, come carico di tensione o carico di suzione. In questo testo però, sulla base del fatto che un concetto necessita di un solo nome, verrà usato il termine carico di pressione per indicare sia valori di ψ positivi che negativi.

Indipendentemente dal segno di ψ, il carico idraulico h è ancora uguale alla somma algebrica di ψ e z. Tuttavia, sopra la superficie di saturazione, dove ψ < 0, i piezometri non sono più uno strumento adatto per la misura di h. Contrariamente, h deve essere ricavato indirettamente da misure di ψ ottenute tramite tensiometri. Kirkham (1964) e S. J. Richards (1965) hanno fornito descrizioni dettagliate riguardo la progettazione e l’utilizzo di questi strumenti. Un tensiometro è costituito da una coppa porosa attaccata a un tubo ermetico riempito d’acqua. La coppa porosa viene inserita nel terreno alla profondità desiderata, dove viene a contatto con l’acqua del suolo e raggiunge l’equilibrio idraulico. Il processo di equilibrio comporta il passaggio di acqua attraverso la coppa porosa dal tubo nel terreno. Il vuoto che si crea nella parte superiore del tubo ermetico è una misura del carico di pressione nel terreno. Di solito viene misurato tramite un vacuometro collegato al tubo e posto sopra la superficie del terreno, ma si può pensare che agisca come il manometro invertito mostrato nel punto 1 nel profilo del terreno della Figura 2.12 (c). Per ottenere il carico idraulico h, il valore ψ negativo indicato dal vacuometro di un tensiometro deve essere aggiunto algebricamente alla quota z del punto di misurazione. Nella Figura 2.12 (c), lo strumento schematizzato al punto 1 è un tensiometro; quello al punto 3 è un piezometro. Il disegno è chiaramente schematico. In pratica il tensiometro sarebbe un tubo con un manometro e una coppa porosa alla base; il piezometro sarebbe un tubo aperto con una sezione filtrante alla base.

Curve caratteristiche dei parametri idraulici nell’insaturo

Esiste un’ulteriore complicazione per l’analisi del flusso nella zona insatura. Sia il contenuto di umidità θ e la conducibilità idraulica K sono funzioni del carico di pressione ψ. Pensandoci, la prima di queste condizioni non dovrebbe risultare una sorpresa. Infatti, in un terreno l’umidità è trattenuta tra i grani, sotto le forze di tensione superficiali che si riflettono nel raggio di curvatura di ciascun menisco, quindi un contenuto più elevato di umidità porterebbe a maggiori raggi di curvatura, minori forze di tensione superficiali e minori carichi di tensione (ossia carichi di pressione meno negativi). Inoltre, è stato osservato sperimentalmente che la relazione tra θψ mostra un comportamento di isteresi; ha una forma diversa quando i terreni si bagnano rispetto a quando si stanno seccando. La Figura 2.13 (a) mostra la relazione d’isteresi tra θ e ψ per un terreno sabbioso presente in natura (Liakopoulos, 1965a). In un campione di questo terreno inizialmente saturo e a una pressione superiore a zero, diminuendo gradualmente la pressione, fino a raggiungere livelli molto inferiori a quelli atmosferici (\psi \ll \theta), il contenuto di umidità diminuisce seguendo la curva di essiccamento (o curva di drenaggio) riportata in Figura 2.13 (a).Qualora venisse aggiunta progressivamente acqua al terreno asciutto, i carichi di pressione seguirebbero il percorso corrispondente alla curva di umidificazione (o curva di imbibizione). Le linee interne sono chiamate curve intermedie e mostrano il corso che θ e ψ avrebbero seguito se il terreno fosse stato solo parzialmente bagnato o essiccato.

Alla luce di quanto enunciato in precedenza si è portati a ritenere che il contenuto di umidità θ sia uguale alla porosità n per tutti i valori ψ > 0. Questo è verificato per i terreni a grana grossolana, mentre per i terreni a grana fine questa relazione si può considerare vera su un intervallo leggermente più ampio di valori ψ > ψa, dove ψa corrisponde a un piccolo carico di pressione negativo [Figura 2.13 (a)] noto come potenziale d’ingresso dell’aria. La pressione corrispondente pa è detta pressione di ingresso dell’aria o pressione di degassamento.

La Figura 2.13 (b) mostra le curve d’isteresi relative alla relazione tra conducibilità idraulica K e il carico di pressione ψ per lo stesso terreno. Per ψ > ψa, K = K0, dove K0 è definita come conducibilità idraulica satura. Poiché K = K(ψ) e 0 = 0(ψ), è quindi anche vero che K = K(θ). Le curve riportate in Figura 2.13 (b) illustrano che la conducibilità idraulica di un terreno insaturo aumenta con l’aumentare del contenuto di umidità. Se si riscrive la legge di Darcy per il flusso insaturo nella direzione x in un terreno isotropico come

v_x = -K(\psi)\frac{\partial h}{\partial x} (2.41)

Si nota che l’esistenza della relazione K(ψ) implica che, dato un gradiente idraulico costante, la portata unitaria v aumenta all’aumentare del contenuto di umidità.

Figura 2.13 Curve caratteristiche che mettono in relazione la conducibilità idraulica e il contenuto di umidità con il carico di pressione per un terreno sabbioso presente in natura (da Liakopoulos, 1956a).

In realtà, sarebbe impossibile mantenere costante il gradiente idraulico aumentando il contenuto di umidità. Infatti, poiché h = ψ + z e θ(ψ), anche il carico idraulico h è influenzato dal contenuto di umidità. In altre parole, il gradiente del carico idraulico induce un gradiente di pressione (eccetto che nel flusso puramente gravitativo), e questo a sua volta induce un gradiente del contenuto di umidità. Nella Figura 2.12, sono riportati schematicamente i profili verticali di queste tre variabili in un ipotetico caso di infiltrazione verso il basso dal piano campagna. Il flusso deve essere verso il basso perché i carichi idraulici riportati nella Figura 2.12 (e) decrescono in quella direzione. I grandi valori positivi di h suggeriscono che |z| \gg |\psi|. In altre parole, il livello di riferimento z = 0 si trovi ad una certa profondità. In un caso reale, questi tre profili sarebbero quantitativamente interconnessi attraverso le curve θ(ψ) e K(ψ) proprie del terreno in sito. Ad esempio, se per un terreno fosse nota la curva θ(ψ) e fosse misurato in campo il profilo θ(z) sarebbe possibile calcolare il profilo ψ(z) e quindi il profilo h(z).

La coppia di curve θ(ψ) e K(ψ) mostrate nella Figura 2.13 sono caratteristiche per ogni terreno. Misure effettuate su campioni estratti dallo stesso terreno omogeneo mostrerebbero solo usuali variazioni statistiche associate alla distanza dei punti di campionamento. Le curve sono spesso chiamate curve caratteristiche. Nella zona satura esistono due parametri idraulici fondamentali K0 e n; nella zona insatura queste sono sostituite dalle relazioni funzionali K(ψ) e θ(ψ). Più sinteticamente,

\theta = \theta(\psi) \hspace{1cm} \psi < \psi_a
(2.42)

\theta = n \hspace{1cm} \psi \geq \psi_a

K = K(\psi) \hspace{1cm} \psi < \psi_a
(2.43)

K = K_0 \hspace{1cm} \psi \geq \psi_a

La Figura 2.14 mostra alcune curve caratteristiche ipotetiche a valore singolo (cioè senza isteresi) realizzate per evidenziare l’effetto della tessitura del terreno sulla forma delle curve. Per una descrizione più completa sulla fisica della ritenzione dell’umidità nei terreni insaturi, si consiglia di consultare White et al. (1971).

Figura 2.14 Curve caratteristiche a valore singolo per tre terreni ipotetici. a) sabbia uniforme; (b) sabbia siltosa; (c) argilla siltosa.

Zone sature, insature e frangia capillare

Giunti a questo punto, è opportuno riassumere le principali proprietà della zona satura e della zona insatura che sono state spiegate precedentemente. Per la zona satura, si può affermare che:

  1. Si verifica sotto la superficie di falda.
  2. I pori del terreno sono riempiti con acqua, e il contenuto di umidità θ è uguale alla porosità n.
  3. La pressione del fluido p è maggiore di quella atmosferica, quindi il carico di pressione ψ (misurato come pressione nel manometro) è maggiore di zero.
  4. Il carico idraulico h deve essere misurato attraverso un piezometro.
  5. La conducibilità idraulica K è una costante; non è una funzione del carico di pressione ψ.

Per la zona insatura (o, come viene talvolta chiamata, zona di aerazione o zona vadosa):

  1. Si verifica sopra la zona satura e sopra la frangia capillare.
  2. I pori del terreno sono solo parzialmente riempiti con acqua; il contenuto di umidità θ è inferiore alla porosità n.
  3. La pressione del fluido p è inferiore a quella atmosferica; il carico di pressione ψ è inferiore a zero.
  4. Il carico idraulico h deve essere misurato con un tensiometro.
  5. La conducibilità idraulica K e il contenuto di umidità θ sono entrambi funzione del carico di pressione ψ.

In sintesi, per il flusso nel saturo, ψ > 0, θ = n e K = K0; mentre per flusso insaturo, ψ < 0, θ = θ(ψ) e K = K(ψ).

La frangia capillare non è assimilabile a nessuno dei due gruppi descritti sopra. I pori infatti sono saturi, ma il carico di pressione è inferiore a quello atmosferico. Un nome più descritto che sta prendendo piede ultimamente è zona satura a tensione. Una spiegazione delle sue proprietà apparentemente anomale può essere individuata nella Figura 2.13. È l’esistenza del carico di pressione di ingresso dell’aria ψa < 0 riconoscibile nelle curve caratteristiche che è responsabile della creazione della frangia capillare. ψa è il valore di ψ che esiste al limite superiore della zona satura a tensione, come è mostrato da ψA per il punto A in Figura 2.12 (d). Poiché ψa ha valori negativi maggiori nei terreni argillosi rispetto alle sabbie, i terreni fini sviluppano zone di frangia capillare più spesse rispetto ai terreni più grossolani.

Alcuni autori considerano la frangia capillare come parte della zona satura, ma in questo caso la superficie di falda non sarebbe più il confine tra le due zone. Da un punto di vista fisico è probabilmente meglio mantenere distinte tutte e tre le zone – satura, insatura, di risalita capillare – per una descrizione più completa del sistema idrologico.

C’è un ulteriore concetto che deriva direttamente da quanto discusso in precedenza e che merita una menzione specifica. Nel caso in cui un fluido si trovi ad una pressione inferiore a quella atmosferica, ossia nel caso dell’esistenza di un’interfaccia che metta direttamente a contatto una zona insatura o di risalita capillare e l’atmosfera, non può esserci fuoriuscita naturale di questo fluido verso atmosfera. L’acqua può essere trasferita dalla zona insatura all’atmosfera solo per evaporazione e traspirazione, mentre le flussi naturali, come le sorgenti o gli afflussi nei pozzi, devono provenire obbligatoriamente dalla zona satura. Il concetto di una interfaccia di filtrazione satura verrà introdotto nella Sezione 5.5 e la sua relazione con l’idrologia del pendio verrà enfatizzata nella Sezione 6.5.

Falde sospese e invertite

La configurazione idrologica considerata fino ad ora, con un’unica zona insatura al di sopra di un corpo idrico sotterraneo principale, è la più comune. È la regola dove depositi geologici omogenei si estendono fino ad una certa profondità. D’altra parte, assetti geologici più complessi possono portare a condizioni saturo-insaturo più complicate. La presenza di uno strato di argilla a bassa permeabilità in una formazione di sabbia ad alta permeabilità, per esempio, può portare alla formazione di una lente satura discontinua, con condizioni insature esistenti sia al di sopra che al di sotto di essa. Considerando la linea ABCDA in Figura 2.15 come l’isobara ψ = 0, è possibile riferirsi alla porzione ABC come a una falda sospesa e ADC come a una falda invertita. EF invece rappresenta la superficie di falda vera e propria.

Figure 2.15 Saturazione sospesa (ABC); invertita (ADC) e saturazione principale (EF).

Le condizioni di saturazione possono essere discontinue nel tempo e nello spazio. Forti piogge possono portare alla formazione di una zona satura temporanea in prossimità della superficie del suolo, il cui limite inferiore è rappresentato da una falda invertita al di sotto della quale si trovano condizioni insature. Zone saturate di questo tipo si dissipano con il tempo sotto l’influenza della percolazione verso il basso e dell’evaporazione dalla superficie. Nel Capitolo 6 verranno esaminate più dettagliatamente le interazioni tra pioggia e infiltrazioni nei sistemi saturi-insaturi.

Flusso multifase

L’approccio al flusso insaturo descritto in questa sezione è quello usato quasi universalmente dai fisici del suolo, ma è un metodo approssimativo. Il flusso insaturo è in realtà un caso particolare di flusso multifase attraverso mezzi porosi, con le due fasi, aria e acqua, che coesistono nei canali dei pori. È possibile distinguere θw il contenuto volumetrico di umidità (precedentemente indicato con θ) e θa il contenuto volumetrico di aria, definito in modo analogo a θw. Esistono ora due pressioni del fluido da considerare: pw per la fase acquosa e pa per la fase gassosa; e due carichi di pressione, ψw e ψa. In questo modo, ogni terreno possiede due curve caratteristiche di contenuto del fluido rispetto al carico di pressione, una per l’acqua, θw(ψw) e una per l’aria, θa(ψa).

In queste situazioni, è preferibile lavorare con la permeabilità k [Eq. (2.28)] piuttosto che con la conducibilità idraulica K, poiché k è indipendente dal fluido, mentre la conducibilità idraulica K non lo è. I parametri di flusso kw e ka sono chiamati permeabilità effettive del mezzo all’acqua e all’aria. Ogni terreno ha due curve caratteristiche di permeabilità effettiva rispetto al carico di pressione, una per l’acqua, kw(ψw) e una per l’aria, ka(ψa).

L’approccio monofasico al flusso nell’insaturo richiede tecniche di analisi che sono sufficientemente accurate per quasi tutti gli scopi pratici, ma ci sono alcuni problemi in cui il flusso multifasico di aria e acqua deve essere considerato. Questi problemi comunemente implicano casi dove la crescita progressiva della pressione dell’aria che rimane intrappolata all’interfaccia con il fronte di avanzamento umido influenza il tasso di propogazione del fronte umido stesso attraverso il terreno. Wilson e Luthin (1963) riscontrarono gli effetti di questa situazione sperimentalmente, mentre Youngs e Peck (1964) ne fornisco una discussione teorica e McWhorter (1971) ne presenta un’analisi completa. Come verrà mostrato nella Sezione 6.8, l’intrappolamento dell’aria influenza anche le fluttuazioni della superficie di saturazione. Bianchi e Haskell (1966) discutono i problemi di intrappolamento dell’aria in un contesto di terreno, e Green et al. (1970) descrivono un’applicazione di campo di un approccio multifase all’analisi di un sistema di flusso sotterraneo.

La maggior parte delle ricerche sul flusso multifase attraverso i mezzi porosi fu originariamente sviluppata dalle industrie petrolifere. L’ingegneria dei giacimenti petroliferi implica infatti l’analisi di un fluido a trifasico olio, gas, acqua. Pirson (1958) e Amyx et al. (1960) sono riferimenti classici nel campo. Stallman (1964) fornisce una revisione interpretativa dei contributi multifase legati al petrolio per quello che riguarda l’idrologia delle acque sotterranee.

L’analisi del flusso bifasico nell’insaturo è un esempio dispostamento simultaneo immiscibile; ossia, i fluidi si spostano reciprocamente senza mescolarsi e c’è un’interfaccia ben distinta tra i due fluidi all’interno di ciascun poro. Il flusso simultaneo di due fluidi che sono solubili l’uno nell’altro è definito spostamento miscibile, e in tali casi non esiste un’interfaccia distinta tra i due fluidi. Bear (1972) fornisce un trattamento teorico avanzato riguardo lo spostamento sia miscibile che immiscibile nei mezzi porosi. In questo testo, gli unici esempi presenti di spostamento immiscibile sono quelli che sono stati discussi in quest sotto-sezione. Nel resto del testo, il flusso nell’insaturo verrà trattato come un problema monofasico, utilizzando i concetti e l’approccio presentati nella prima parte di questo capitolo. Gli esempi più comuni di spostamento miscibile nell’idrologia delle acque sotterranee sono legati alla miscelazione di acque con diversa composizione chimica (come acqua di mare e acqua dolce, o acqua pura e acqua contaminata). I processi di trasporto associati allo spostamento miscibile e le tecniche di analisi della contaminazione delle acque sotterranee saranno discussi nel Capitolo 9.

2.7 Gli acquiferi e gli acquitardi

Tra tutte le parole del lessico idrologico, probabilmente nessuna ha più sfumature del termine acquifero. La parola acquifero assume diversi significati a seconda delle persone che lo utilizzano e, forse, pure significati differenti per la stessa persona in tempi successivi. Ci si riferisce ad un acquifero per indicare singoli livelli geologici, intere formazioni e addirittura gruppi di formazioni. Il termine deve essere sempre visto in riferimento alla scala e al contesto di utilizzo.

Acquiferi, acquitardi e acquicludi

La migliore definizione di acquifero è un’unità geologica permeabile e satura che può permettere il flusso di significative quantità di acqua se sottoposta a ragionevoli gradienti idraulici. Un acquicludo è un’unità geologica satura che è incapace di lasciar fluire significative quantità di acqua se sottoposta a ragionevoli gradienti idraulici.

Una coppia di definizioni alternative, di ampio utilizzo nel settore dei pozzi per acqua, afferma che un acquifero è un mezzo abbastanza permeabile da garantire l’estrazione di una quantità di acqua economicamente significativa da un pozzo, mentre l’acquicludo no.

Recentemente, il termine acquitardo è stato coniato per descrivere livelli meno permeabili di una sequenza stratigrafica. Questi livelli possono essere abbastanza permeabili da permettere un flusso d’acqua in quantità che sono significative per studi a scala regionale ma la loro permeabilità non è sufficiente per permettere un loro sfruttamento attraverso pozzi di produzione. La maggior parte dei corpi geologici possono essere classificati come acquiferi o acquitardi; molte poche formazioni geologiche rispettano la definizione classica di acquicludo. Pertanto, i primi due termini sono molto più diffusi del terzo.

Gli acquiferi più comuni sono quelli che hanno valori di conducibilità idraulica nella metà superiore del range osservato (Tabella 2.2): sabbie e ghiaie non consolidate, rocce sedimentarie permeabili come arenarie e calcari, e rocce intrusive e vulcaniche con alto grado di fratturazione. I più comuni acquitardi sono rappresentati da argille, argilliti e rocce intrusive massive. Nel Capitolo 4, i principali tipi di acquiferi e acquitardi saranno descritti accuratamente all’interno di una discussione sugli effetti della geologia sulla circolazione idrica sotterranea.

Per quanto riguarda la correlazione con la conducibilità idraulica, le definizioni di acquiferi e acquitardi sono imprecise di proposito. Questo lascia aperta la possibilità di usare i termini in senso relativo. Per esempio, in una sequenza di stratificazione sabbia-limo, i limi possono essere considerati acquitardi, al contrario in un sistema limo-argilla, sono considerati acquiferi.

Gli acquiferi sono spesso chiamati con i loro nomi stratigrafici. Per esempio, l’Arenaria del Dakota deve la sua fama geologica principalmente alla valutazione che Meinzer (1923) delle sue proprietà come quelle di un acquifero. Due altri famosi acquiferi Nord Americani sono l’Arenaria di St. Peter in Illinois e il Calcare dell’Ocala in Florida. Una descrizione dei principali acquiferi degli Stati Uniti può essere trovata in McGuinnes (1963) e Maxey (1964), i quali sfruttarono i precedenti lavori di Meinzer (1923), Tolman (1937) e Thomas (1951). In Brown (1967) sono riportate informazioni sui principali acquiferi del Canada.

In situazioni ideali, come spesso assunto nelle sezioni descrittive di questo libro, gli acquiferi tendono ad essere concettualizzati come formazioni omogenee ed isotrope, con spessori costanti e geometrie semplificate. Si spera che il lettore tenga bene a mente che il mondo reale è un’altra cosa. Gli idrogeologi hanno continuamente a che fare con sistemi acquifero-acquitardo complessi, caratterizzati da formazioni eterogenee e anisotrope, e non con situazioni ideali quali quelle presentate nei testi. Spesso sembrerà che i processi geologici cospirato maliziosamente per massimizzare le difficoltà analitiche e interpretative in campo idrogeologico.

Acquiferi confinati e non confinati

Si definisce confinato un acquifero interposto tra due acquitardi. Al contrario, un acquifero non confinato o libero è delimitato superiormente dalla superficie di falda. Una lente satura delimitata da una falda sospesa (Figura 2.15) è un caso speciale di acquifero non confinato. Questi acquiferi sono chiamati anche con il nome di sospesi.

Figure 2.16 Acquifero non confinato con superfice piezometrica e acquifero confinato con la superfice potenziometrica.

In un acquifero confinato, il livello piezometrico in corrispondenza di un pozzo si trova generalmente al di sopra del limite superiore dell’acquifero stesso. In questo caso, il pozzo e l’acquifero si definiscono in pressione. Se il livello piezometrico si colloca al di sopra del piano campagna, si parla di pozzo artesiano fluente e l’acquifero si trova in condizioni artesiane fluenti. Nella Sezione 6.1, le condizioni di artesianità verranno messe in relazioni con le caratteristiche topografiche e geologiche del bacino. Al contrario, il livello dell’acqua in un acquifero non confinato coincide con la superfice piezometrica (di falda).

Superfice potenziometrica

Per acquiferi confinati molto sfruttati da pozzi per approvvigionamento idrico, si è sviluppato un concetto poco preciso ma allo stesso tempo molto radicato nella pratica. Se i livelli di falda nei pozzi che intercettano livelli confinati sono riportati in carta e correlati tra loro, la risultante è chiamata superficie potenziometrica e non è altro che una mappa del carico idraulico lungo l’acquifero. La carta potenziometrica fornisce un’indicazione delle direzioni del flusso idrico sotterraneo all’interno dell’acquifero.

Il concetto di superfice potenziometrica è valido a tutti gli effetti solo per flussi orizzontali in acquiferi tabulari. Questa condizione di flusso orizzontale si verifica solo in acquiferi con conducibilità idrauliche che sono decisamente più elevate di quelle dei livelli confinanti ad essi associati. Alcune relazioni idrogeologiche contengono carte della superfice potenziometrica basata su livelli di falda misurati in pozzi che terminano grossomodo alla stessa quota ma che non sono associati ad un acquifero confinato ben definito. Questo tipo di superfice piezometrica è essenzialmente una carta del carico idraulico su un piano orizzontale presa attraverso l’andamento tridimensionale del carico idraulico che esiste nel sottosuolo in quell’area. Tuttavia, se ci sono componenti verticali del flusso, come di solito avviene, i calcoli e le interpretazioni basate su questo tipo di superficie potenziometrica possono rivelarsi molto fuorvianti.

È anche possibile assimilare una superfice potenziometrica con una superfice piezometrica nelle aree dove acquiferi confinati e liberi coesistono. La Figura 2.16 schematicamente distingue i due. In generale, come si vedrà dai reticoli di flusso riportati nel Capitolo 6, le due superfici non coincidono.

2.8 Flusso stazionario e transitorio

Le condizioni diflusso stazionario si verificano in qualsiasi punto di un bacino quando l’intensità e la direzione del flusso idrico sotterraneo sono costanti nel tempo. Il flusso transitorio (o flusso non-stazionario) si verifica quando l’intensità e la direzione del flusso cambiano nel tempo.

La Figura 2.17 (a) mostra una condizione di flusso stazionario (le linee tratteggiate indicano le equipotenziali, le continue il flusso) attraverso un deposito alluvionale permeabile posto al di sotto di una diga di cemento. Lungo la linea AB, il carico idraulico hAB = 1000 m e corrisponde alla quota della superficie di invaso al di sopra di AB. In analogia, hCD = 900 m (la quota dello sfioro a valle dell’invaso al di sopra di CD). Il salto idraulico Δh all’interno del sistema è pari a 100 m. Se il livello d’acqua nell’invaso al di sopra della linea AB e il livello d’acqua nel lago di sfioro al di sopra di CD non cambiano nel tempo, anche il reticolo di flusso al di sotto del corpo diga non cambierà nel tempo. Per esempio, il carico idraulico in corrispondenza del punto E sarà hE = 950 m e rimarrà costante. Date queste condizioni, anche la velocità  rimarrà costante nel tempo. In condizioni stazionarie la velocità del flusso può variare da punto a punto nel dominio ma non varierà nel tempo ad uno specifico punto.

Figure 2.17 Condizioni stazionarie e transienti di un flusso idrico sotterraneo al di sotto di una diga.

Si consideri adesso il problema di flusso transitorio mostrato schematicamente in Figura 2.17 (b). Al tempo t0 il reticolo di flusso al di sotto della diga sarà identico a quello riportato in Figura 2.17 (a) e hE sarà 950 m. Se si permette al livello di invaso di scendere nel periodo tra t0 e t1, finché i livelli idrici a monte e a valle del corpo diga non siano identici al tempo t1, le condizioni ultime al di sotto del corpo diga saranno statiche, senza flusso da monte verso valle. In corrispondenza del punto E, il carico idraulico hE subirà una variazione tempo-dipendente da un valore di hE = 950 m del tempo t0 al valore finale di hE = 900 m. Potrebbero tuttavia esserci dei ritardi in un sistema di questo tipo per cui hE non raggiungerà necessariamente il valore di hE = 900 m, fino ad un certo tempo successivo al momento in cui t = t1.

Un importante differenza tra sistemi stazionari e transitori sta nella relazione tra le loro linee di flusso e traiettorie. Le linee di flusso indicano la direzione istantanea del flusso attraverso un sistema (in ogni momento per un sistema stazionario o in un determinato istante per un sistema transitorio). Inoltre, devono essere ortogonali alle linee equipotenziali lungo tutto il dominio ed in ogni momento. Le traiettorie descrivono il percorso che una singola particella segue lungo il dominio, durante un moto di filtrazione di tipo stazionario o transitorio. In caso di flusso stazionario, una particella d’acqua che entra nel sistema attraverso una sezione di afflusso raggiungerà la sezione di deflusso spostandosi lungo una traiettoria coincidente con una linea di flusso, come mostrato in Figura 2.17 (a). Al contrario, in un sistema transitorio le traiettorie non coincidono con le linee di flusso transitorio. Sebbene possa essere costruito un reticolo di flusso per descrivere il moto idrico sotterraneo in ogni istante, le linee di flusso mostrate in un’istantanea sono rappresentative solo delle direzioni di movimento in quel determinate istante. Cambiando la configurazione delle linee di flusso nel tempo, le linee di flusso stesse non possono descrivere il percorso completo di una particella d’acqua che attraversa il sistema. Tuttavia, il delineare traiettorie transitorie ha una vitale importanza per lo studio del trasporto di contaminanti nelle acque sotterranee.

Un idrogeologo deve assimilare le tecniche di analisi per i moti di filtrazione sia in condizioni stazionarie che transitorie. Nelle sezioni finali di questo capitolo le equazioni del flusso verranno sviluppate per ogni tipo di flusso, in condizioni sature e non sature. La metodologia pratica che è presentata nei capitoli successivi è spesso basata sulle equazioni teoriche ma spesso non è necessaria un’approfondita conoscenza matematica per la pratica idrogeologica. Le tecniche di analisi stazionarie sono applicate maggiormente per l’analisi del flusso sotterraneo a scala regionale. Una conoscenza del flusso transitorio è invece richiesta per l’analisi dell’idraulica dei pozzi, della ricarica degli acquiferi e molte applicazioni di natura geochimica e geotecnica.

2.9 Compressibilità e Sforzi Efficaci

Per l’analisi di un flusso transitorio è necessario introdurre il concetto dicompressibilità. La compressibilità è una proprietà di un materiale che ne descrive la variazione di volume, o la sua deformazione, a seguito dell’applicazione di uno sforzo. Nell’approccio elastico classico, il modulo di elasticità è il parametro più utilizzato. Si definisce come il rapporto tra la variazione dello sforzo dσ e la risultante variazione della deformazione . La compressibilità è semplicemente l’inverso del modulo di elasticità. Si definisce come il rapporto deformazione/sforzo, /, anzichè sforzo/deformazione, /. Il termine è utilizzato sia per materiali elastici sia per materiali non-elastici. Per iI flusso in mezzi porosi, è necessario definire due termini di compressibilità, uno per l’acqua e uno per il mezzo poroso.

Compressibilità dell’acqua

Lo sforzo si propaga in un fluido attraverso la pressione p. Un incremento di pressione dp porta alla diminuzione del volume di una massa d’acqua. La compressibilità dell’acqua è quindi definita come

\beta = \frac{-dV_w/V_w}{dp} (2.44)

Il segno negativo è necessario se si desidera esprimere β come un entità positiva.

L’Eq. (2.44) implica una relazione elastica lineare tra la deformazione volumetrica dVw/Vw e lo sforzo indotto nel fluido dal cambio di pressione dp. La compressibilità β è quindi il coefficiente angolare della retta che correla la deformazione allo sforzo per l’acqua e questo coefficiente angolare non cambia all’interno dell’intervallo di variazione delle pressioni dei fluidi che si riscontrano nel campo dell’idrogeologia (compreso le pressioni inferiori a quella atmosferica che si osservano nella zona insatura). Le variazioni di temperatura che si osservano nelle acque sotterranee hanno un’influenza ridotta su β cosicché nella pratica questo parametro può essere considerato costante. Le unità di misura della β sono l’inverso di quelle utilizzate β per la pressione o lo sforzo. Il suo valore può essere approssimato a 4.4 × 10–10m2/N (o Pa–1).

Per una massa d’acqua, è possibile riscrivere l’Eq. (2.44) nella forma seguente:

\beta = \frac{dp/p}{dp} (2.45)

dove ρ è la densità del fluido. Integrando l’Eq. (2.45), si ottiene l’equazione di stato per l’acqua.

\rho = \rho_0 \text{exp}[\beta(p - p_0)] (2.46)

dove ρ0 è la densità del fluido alla pressione di riferimento p0. Per la pressione atmosferica p0, l’Eq. (2.46) può essere riscritta in termini di pressioni manometriche come:

\rho = \rho_0 e^{\beta p} (2.47)

Un fluido è incomprimibile se β = 0 e sia ρ = ρ0 costante.

Sforzi efficaci

Si consideri la compressibilità di un mezzo poroso e si assuma che uno sforzo sia applicato ad un’unità di massa di sabbie sature. Ci sono tre meccanismi per i quali si può giungere ad una riduzione di volume: (1) attraverso la compressione dell’acqua nei pori, (2) per la compressione dei singoli clasti di sabbia, oppure (3) per una riorganizzazione dello scheletro solido secondo una configurazione più efficiente. Il primo di questi meccanismi è controllato dalla compressibilità del fluido β. Si assuma invece che il secondo meccanismo sia trascurabile, ossia che il mezzo solido sia incompressibile. Lo scopo di questo paragrafo è definire un termine di compressibilità che sia esplicativo del terzo meccanismo considerato.

Per raggiungere l’obiettivo, bisogna invocare il principio delle sforzi efficaci. Questo concetto fu proposto per la prima volta da Terzaghi (1925) ed è stato analizzato in dettaglio da Skempton (1961). La maggior parte dei testi di meccanica delle terre, come Teraghi e Peck (1967) e Scott (1963), forniscono un’ampia trattazione del problema.

Si consideri lo sforzo di equilibrio su di un piano arbitrato che attraversa una formazione geologica satura in profondità (Figura 2.18). σT rappresenta lo sforzo totale che agisce verso il basso sul piano ed è dato dal peso dell’acqua e della roccia sovrastanti. Questo sforzo è sopportato in parte dallo scheletro solido del mezzo poroso ed in parte dalla pressione p dell’acqua che si trova nei pori. La porzione dello sforzo totale che non è sopportata dal fluido è definita sforzo efficace σe. È questo sforzo che è effettivamente applicato ai grani del mezzo poroso. La riorganizzazione dello scheletro solido e i cedimenti ad essa associati sono causati dalla variazione degli sforzi efficaci e non dalle variazioni degli sforzi totali. I due termini sono legati da una semplice relazione:

\sigma_T = \sigma_e + p (2.48)

che può essere espressa anche in termini di variazione:

d\sigma_T = d\sigma_e + dp (2.49)

Figura 2.18 Tensioni totali, sforzi efficaci e pressioni del fluido lungo un piano arbitrario di un mezzo saturo poroso.

Molti dei problemi di flusso transitorio che devono solitamente essere analizzati non coinvolgono variazioni degli sforzi totali. Il peso di roccia e acqua al di sopra di ogni punto del sistema rimane essenzialmente costante nel tempo. Per cui, T = 0 e

d\sigma_e = -dp (2.50)

Se la pressione del fluido aumenta, gli sforzi efficaci diminuiscono in egual misura; e analogamente se la pressione del fluido diminuisce, gli sforzi efficaci aumentano della stessa quantità. Per i casi in cui gli sforzi totali non variano nel tempo, gli sforzi efficaci in un qualsiasi punto del sistema e le risultanti deformazioni volumetriche, sono controllate dalla pressione del fluido nel punto considerato. Dal momento che p = ρgψ e ψ = h – z (con z costante nel punto considerato), le variazioni in termini di sforzi efficaci nel punto sono governate dalle variazioni del carico idraulico:

d\sigma_e = -\rho g \hspace{1mm} d\psi = -\rho g \hspace{1mm} dh (2.51)

Compressibilità di un mezzo poroso

La compressibilità di un mezzo poroso si definisce come:

\alpha = \frac{-dV_T/V_T}{d\sigma_e} (2.52)

dove VT è il volume totale di una massa solida e e è la variazione degli sforzi efficaci.

Si ricordi che VT = VS + Vv, dove VS è il volume del solido e Vv è il volume dei vuoti saturi d’acqua. Un incremento degli sforzi efficaci e produce una riduzione del volume totale dVT della massa analizzata. Per un materiale granulare, questa riduzione avviene quasi interamente per la riorganizzazione dei grani. È vero che i singoli clasti possono essere compressibili ma l’effetto viene solitamente considerato trascurabile. In generale, la relazione dVT = dVS + dVv è valida; ma per i propositi di questo libro si può considerare dVS = 0, per cui dVT = dVv.

Si consideri un campione di terreno saturo posizionato all’interno di una cella di pressione, come mostrato in Figura 2.19 (a). Lo sforzo totale σT = L/A può essere applicato al campione tramite pistoni. Il campione è confinato lateralmente dalle pareti della cella e l’acqua interstiziale può fuoriuscire solo attraverso degli sfiati presenti nei pistoni e quindi confluire in una vasca di raccolta, posta a pressione costante. La riduzione volumetrica del campione di terreno è misurata per differenti valori di L, di pari passo con i suoi incrementi che avvengono a gradini. Per ogni gradino, l’incremento di sforzo totale T è inizialmente sostenuto dall’acqua per l’accrescimento della pressione del fluido; il drenaggio dell’acqua dal campione verso la vasca di raccolta lentamente trasferisce lo sforzo dall’acqua allo scheletro solido. Questo processo transitorio è noto come consolidazione, e il tempo richiesto per il processo di consolidazione per raggiungere l’equilibrio idraulico a ogni step di carico L può essere considerevole. Una volta raggiunto l’equilibrio, comunque, è noto che all’interno del campione dp = 0 e dall’Eq. (2.49) si ottiene che e = T = dL/A. Partendo da un indice dei vuoti iniziale e0 (dove e = Vv/VS e un’altezza originale b [Figura 2.19 (a)], assumendo che dVT = dVv, l’Eq. (2.52) può essere riscritta come segue:

\alpha = \frac{-db/b}{d\sigma_e} = \frac{-de(1+e_0)}{d\sigma_e} (2.53)

La compressibilità α si determina generalmente come la pendenza della curva sforzo-deformazione, espressa come e rispetto ad σe. La curva AB di Figura 2.19 (b) si riferisce alla fase di carico (incremento di σe), BC alla fase di scarico (decremento di σe). In generale, la relazione esistente tra sforzo e deformazione non è né elastica né lineare. Infatti, per cicli di carico-scarico, numerosi terreni a grana fine mostrano proprietà di isteresi [Figura 2.19 (c)]. La compressibilità del suolo α, a differenza della compressibilità del fluido β, non è una costante; è funzione dello sforzo applicato e dipende dalla precedente storia di carico.

Figura 2.19 (a) Schema di prova edometrica; (b), (c) e (d) curva rappresentate la relazione tra il volume dei vuoti e sforzo efficace.

La Figura 2.19 (d) fornisce un confronto schematico delle curve per argilla e sabbia. La minor pendenza della curva della sabbia implica una minore eσe, e la sua linearità implica un valore di α che rimane costante per un ampio intervallo di σe. In un sistema idrogeologico, le fluttuazioni tempo-dipendenti di σe sono spesso piuttosto piccole, così che persino per le argille una α costante può avere un qualche significato. La Tabella 2.5 indica intervalli di valori di compressibilità che sono stati misurati per differenti materiali geologici.

Tabella 2.5 Intervalli di valori di compressibilità di materiali geologici*

  Compressibilità, α (m2/N o Pa–1)
Argilla 10–3–10–8
Sabbia 10–7–10–9
Ghiaia 10–8–10–10
Roccia fratturata 10–8–10–10
Roccia integra 10–9–10–11
Acqua (β) 4.4 × 10–10
*Vedi la Tabella A1.3, Appendice I, per la conversione delle unità di misura.

I dati di compressibilità riportati provengono da Domenico e Mifflin (1965) e Johnson et al. (1968). Le dimensioni di α, come quelle di β, sono l’inverso di quelle utilizzate per lo sforzo. Nel SI (Sistema Internazionale) sono espresse come m2/N o Pa–1. Si noti come la compressibilità dell’acqua presenti lo stesso ordine di grandezza della compressibilità del meno comprimibile tra i geomateriali.

Come si può osservare in Figura 2.19 (b) e (c), la compressibilità di alcuni suoli in espansione (espandibilità) è molto minore che in compressione. Per le argille, il rapporto tra le due α è di solito nell’ordine di 10:1; per le sabbie invece è vicino a 1:1. Per i terreni che hanno valori di compressibilità significativamente minori in espansione che in compressione, le deformazioni volumetriche che avvengono in risposta all’incremento degli sforzi efficaci [probabilmente dovuto al decremento dei carichi idraulici come suggerito dall’Eq. (2.51), sono per la maggior parte irreversibili. Queste deformazioni non vengono recuperare quando, in momenti successivi, gli sforzi efficaci diminuiscono. In un’alternanza di sabbie e argille costituenti un sistema acquifero-acquitardo, l’alta compattazione che può avvenire nei setti argillosi (dovuta agli alti valori di α) è per la maggior parte irrecuperabile; al contrario, le piccole deformazioni che avvengono negli acquiferi sabbiosi (dovute a bassi valori di α) sono per la maggior parte elastiche.

Compressibilità dell’acquifero

Il concetto di compressibilità illustrato nell’Eq. (2.53) e nelle Figure 2.18 e 2.19 è mono dimensionale. In sito, in profondità, l’approccio mono dimensionale ha significato solo se si assume che i terreni e gli ammassi rocciosi siano interessati solo da sforzi lungo la direzione verticale. Lo sforzo verticale totale σT in ogni punto è dato dalla somma dei pesi dell’acqua e della roccia sovrastanti; il materiale localizzato all’intorno offre il confinamento orizzontale. Lo sforzo efficace verticale σe è uguale a σTp. In queste condizioni, la compressibilità dell’acquifero α è definita dalla prima uguaglianza dell’Eq. (2.53), dove b è lo spessore dell’acquifero piuttosto che lo spessore del campione. Il parametro α è la compressibilità verticale. Nel caso in cui la si voglia determinare attraverso l’utilizzo di un apparato di laboratorio come quello di Figura 2.19 (a), il campione di terreno dovrà essere orientato verticalmente e il carico applicato con la giusta angolazione ad ogni strato orizzontale. All’interno di un acquifero, α può variare con la posizione orizzontale, ossia a può essere eterogenea con α = (x, y).

Per la maggior parte dei casi, bisogna tenere a mente che il campo di sforzi esistente in profondità non è monodimensionale ma tridimensionale. In questo caso, la compressibilità dell’acquifero deve essere considerata come un parametro anisotropo. La compressibilità verticale α è quindi riconducibile alla variazione della componente verticale dello sforzo efficace. In analogia, la compressibilità orizzontale è riconducibile alla componente orizzontale dello sforzo efficace. L’applicazione dei concetti di analisi di sforzi tridimensionale in rapporto al flusso di un fluido in un mezzo poroso è un argomento avanzato che esula gli scopi di questo capitolo. Fortunatamente, per molti casi pratici, le variazioni delle tensioni orizzontali nei terreni sono molto piccole e per la maggior parte delle analisi si può assumere che siano trascurabili. Per gli scopi del libro, è sufficiente pensare alla compressibilità dell’acquifero α come ad un singolo parametro isotropo ma bisogna tenere a mente che corrisponde alla compressibilità verticale, e che questa è l’unica direzione lungo cui si prevedono grandi variazioni degli sforzi efficaci.

Per spiegare la natura delle deformazioni che possono avvenire in acquiferi comprimibili, si consideri un acquifero di spessore b, come quello mostrato in Figura 2.20. Se il peso del materiale sovrastante rimane costante e il carico idraulico nell’acquifero viene ridotto di un valore –dh, l’incremento dello sforzo efficace e è dato dall’Eq. (2.51) come ρg dh e a compattazione dell’acquifero, dall’Eq. (2.53) è

db = -\alpha b \hspace{1mm} d\sigma_e = -\alpha b \hspace{1mm} \rho g \hspace{1mm} dh (2.54)

Il segno meno indica che il decremento del carico produce una riduzione dello spessore dell’acquifero b.

Figura 2.20 Compattazione dell’acquifero provocato dal pompaggio.

Un modo in cui il carico idraulico può essere diminuito in un acquifero è per pompaggio da un pozzo. Il pompaggio induce nell’acquifero gradienti idraulici orizzontali verso il pozzo, e come risultato il carico idraulico diminuisce in ogni punto nelle vicinanze del pozzo. In risposta, in questi punti le tensioni efficaci aumentano e ne risulta una compattazione dell’acquifero. Al contrario, il pompaggio di acqua all’interno di un acquifero aumenta il carico idraulico, diminuisce gli sforzi efficaci e causa un’espansione dell’acquifero. Se la compattazione di un sistema acquifero-acquitardo dovuto al pompaggio di acqua sotterranea si propaga fino alla superficie topografica prende il nome di subsidenza. Nella Sezione 8.12 questo argomento verrà trattato in dettaglio.

Tensioni efficaci nel non-saturo

La prima uguaglianza dell’Eq. (2.51) indica che la relazione tra lo sforzo efficace σe e il carico di pressione ψ dovrebbe essere lineare. Questa relazione, e il concetto espresso in Figura 2.18 sulla quale è basata, è valida nella zona satura ma ci sono numerose evidenze che suggeriscono che non è valida nella zona insatura (Narasimhan, 1975). Per flussi in mezzi non saturi, Bishop e Blight (1963) suggeriscono di modificare l’Eq. (2.51) nel modo seguente:

d\sigma_e = -\rho g\chi \hspace{1mm} d\psi (2.55)

dove il parametro χ dipende dal grado di saturazione, dalla struttura del terreno e dai cicli di saturazione-non saturazione che questo ha subito. La curva ABC in Figura 2.21 mostra questa relazione schematicamente. Per ψ > 0, χ = 1; per ψ < 0, χ ≤ 1; e per \psi \ll 0, χ = 0.

Figure 2.21 La relazione tra sforzo efficace e pressione idraulica nelle zone sature e non sature (modificata da Narasiimhan, 1975).

L’approccio attraverso il parametro χ è empirico e il suo utilizzo riflette il fatto che ancora non si è compresa a fondo la capacità delle pressioni del fluido minori della pressione atmosferica di supportare una parte dello sforzo totale in situazione di flusso insaturo. Ad una prima approssimazione, è ragionevole supporre che a tali pressioni il fluido non abbia queste capacità, come suggerito dalla curva ABD in Figura 2.21. Assumendo ciò, per ψ < 0, χ = 0, e = T, e variazioni dei carichi di pressione (o del contenuto di umidità) nella zona insatura non portano a variazioni in termini di sforzi efficaci.

La definizione della compressibilità di un mezzo poroso nella zona non satura è ancora data dall’Eq. (2.52), così come nella zona satura, ma l’influenza della pressione del fluido sullo sforzo efficace si considera essere zero o non esistente.

2.10 Trasmissività e coefficiente di immagazzinamento

Esistono sei proprietà fisiche basilari per i fluidi e i mezzi porosi che devono essere acquisite per descrivere gli aspetti idraulici dei flussi idrici sotterranei saturi. Queste sei proprietà sono già state tutte introdotte. Sono, per l’acqua, la densità ρ, la viscosità μ, e la compressibilità β; per il mezzo poroso, la porosità n (o l’indicedei vuoti e), la permeabilità k e la compressibilità α. Tutti gli altri parametri usati per descrivere le proprietà idrogeologiche di rocce e terreni sono derivate da queste sei. Per esempio, si osservi come dall’Eq. (2.28) la conducibilità idraulica satura K è una combinazione di k, ρ e μ. In questa sezione, si introdurranno i concetti di immagazzinamento specifico Ss, coefficiente di immagazzinamento S, e trasmissività T.

Immagazzinamento specifico

L’immagazzinamento specifico Ss di un acquifero saturo è definito come il volume di acqua che un’unità di volume di acquifero rilascia per una variazione unitaria del carico idraulico. Nella Sezione 2.9 si è osservato come da un decremento nel carico idraulico h deriva un decremento della pressione del fluido p e un incremento dello sforzo efficace σe. L’acqua viene rilasciata per il decremento del carico idraulico h a causa di due meccanismi: (1) la compattazione dell’acquifero per l’incremento di σe, e (2) l’espansione dell’acqua causata dal decremento di p. Il primo di questi due meccanismi è controllato dalla compressibilità dell’acquifero α e il secondo dalla compressibilità del fluido β.

Si consideri dapprima l’acqua prodotta dalla compattazione dell’acquifero. Il volume di acqua fuoriuscito dall’unità di volume dell’acquifero durante la compattazione sarà uguale alla riduzione di volume dell’unità di volume dell’acquifero stesso. La variazione volumetrica dVT sarà negativa ma la quantità di acqua prodotta dVw sarà positiva, per cui dall’Eq. (2.52) risulta che:

dV_W = -dV_T = \alpha V_Td\sigma_e (2.56)

Considerando un volume unitario, VT = 1, e dall’Eq. (2.51), deriva che e = ρg dh. Per un decremento unitario del carico idraulico, dh = -1, si ha che:

dV_W = \alpha \rho g (2.57)

Ora si consideri il volume di acqua prodotto dall’espansione dell’acquifero. Dall’Eq. (2.44),

dV_W = -\beta V_W dp (2.58)

Il volume di acqua Vw nell’intera unità di volume considerata VT è nVT, dove n è la porosità. Con VT e dp = ρg dψ = ρg d(h – z) = ρg dh, l’Eq. (2.58) diventa, per dh = –1,

dV_W =\beta n \rho g (2.59)

Il coefficiente di immagazzinamento specifico Ss è la somma dei due termini espressi dalle Eq. (2.57) e (2.59):

S_s = \rho g (\alpha + n\beta) (2.60)

Un’analisi dimensionale di questa equazione mostra come Ss ha una dimensione particolare di [L]–1. A questa si giunge anche se si pensa alla definizione di Ss come volume su volume per perdita di una unità di carico.

Trasmissività e coefficiente di immagazzinamento di un acquifero confinato

Per un acquifero confinato di spessore b, la trasmissività (o trasmittibilità) T si definisce come

T = Kb (2.61)

e il coefficiente di immagazzinamento S come

S = S_sb (2.62)

Se sostituiamo l’Eq. (2.60) nell’Eq. (2.62), la definizione più generale di Srisulta essere:

S = \rho gb(\alpha + n\beta) (2.63)

Il coefficiente di immagazzinamento di un acquifero confinato saturo di spessore b può essere definito a parole come il volume di acqua che l’acquifero rilascia per unità di superficie per ogni unità di decremento del carico idraulico nella direzione normale alla suddetta superficie. Il carico idraulico per un acquifero confinato è generalmente raffigurato nella forma di una superficie potenziometrica e la Figura 2.22 (a) illustra il concetto di coefficiente di immagazzinamento in questa prospettiva.

Figura 2.22 Rappresentazione schematica del coefficiente di immagazzinamento in un acquifero (a) confinato e (b) non confinato (modificato da Ferris et al., 1962).

Avendo la conducibilità idraulica K dimensioni [L/T], è chiaro dall’Eq. (2.61) che la transmissività T ha dimensioni [L2/T]. Nel sistema metrico SI l’unità è m2/s. T e S sono termini ampiamente utilizzati dalle compagnie di pozzi per acqua del Nord America e spesso vengono espressi in unità FPS (sistema Foot-Pound-Second). Se K è espressa in gal/day/ft2 allora T ha l’unità di gal/day/ft. Il campo di valori di T può essere calcolato moltiplicando il valore pertinente di K dalla Tabella 2.2 per lo spessore dell’acquifero stimato in maniera ragionevole, per esempio 5–100 m. Le trasmissività maggiori di 0.015 m2/s (or 0.16 ft2/s or 100,000 gal/day/ft) rappresentano buoni acquiferi per lo sfruttamento tramite pozzi. Il coefficiente di immagazzinamento è adimensionale. In acquiferi confinati, il range di valori varia da 0.005 a 0.00005. Facendo riferimento alla definizione di S e all’intervallo di variazione dei suoi valori, si evince come sia necessaria una grande variazione del carico, indotta su di una vasta area, per produrre un deflusso di quantità di acqua significative dagli acquiferi confinati.

La trasmissività e il coefficiente di immagazzinamento possono essere specificati per gli acquiferi come per gli acquitardi. Tuttavia, nella maggior parte delle applicazioni, la conducibilità idraulica verticale di un acquitardo è più significativa della sua trasmissività. Si può anche notare come in acquitardi argillosi, dove \alpha \gg \beta, il termine  per la definizione del coefficiente di immagazzinamento [Eq. (2.63)] e dell’immagazzinamento specifico [Eq. (2.60)] diventi trascurabile.

Per una formazione è possibile definire un singolo parametro che accoppia le proprietà di trasmissione, T o K, e le proprietà di immagazzinamento, S o Ss. La diffusività idraulica D si definisce come:

D = \frac{T}{S}=\frac{K}{S_s} (2.64)

Tuttavia, il termine non è molto usato nella pratica idrogeologica.

I concetti di trasmissività T e coefficiente di immagazzinamento S sono stati sviluppati principalmente per l’analisi dell’idraulica dei pozzi in acquiferi confinati. Per un flusso bidimensionale, orizzontale, in direzione di un pozzo localizzato in un acquifero confinato di spessore b, i termini sono ben definiti; tuttavia questi perdono il loro significato in numerose altre applicazioni idrogeologiche. Se un problema idrogeologico è tridimensionale, è meglio ritornare all’uso della conducibilità idraulica K e all’immagazzinamento specifico Ss; o ancora meglio, ai parametri fondamentali di permeabilità K, porosità n, e compressibilità α.

Trasmissività e porosità efficace in acquiferi non confinati

In un acquifero non confinato, la trasmissività non è ben definita come negli acquiferi confinati, ma il termine può ancora essere usato. La trasmissività si definisce con la stessa equazione [Eq. (2.61)], ma b rappresenta lo spessore saturo dell’acquifero o l’altezza del livello di falda al di sopra dell’acquitardo sottostante che lo delimita.

Il termine di immagazzinamento è conosciuto come specific yield Sy (questo in letteratura anglosassone, in letteratura italiana prende il nome di porosità efficace ne, n.d.t) Si definisce come il volume di acqua che un acquifero non confinato rilascia per unità di superficie e per unità di abbassamento del livello di falda. Qualche volta è chiamato immagazzinamento non confinato. La Figura 2.22 (b) illustra il concetto in maniera schematica.

L’introduzione dello specific yield serve per visualizzare meglio l’interazione tra il saturo e il non saturo. La Figura 2.23 mostra il livello di falda e il profilo verticale del contenuto di umidità in funzione della profondità all’interno della zona insatura ai tempi t1 e t2. L’area tratteggiata rappresenta il volume d’acqua rilasciato dalla colonna di terreno, per unità d’area. Se la variazione del livello di falda rappresenta un’unità di abbassamento, l’area evidenziata rappresenta lo specific yield.

Figura 2.23 Il concetto di specific yield visto in termini di variazione del contenuto di umidità della porzione non satura.

Gli specific yield di acquiferi non confinati sono molto maggiori dei coefficienti di immagazzinamento di  acquiferi confinati. L’intervallo di valori di Sy varia da 0.01–0.30. Questi maggiori valori riflettono il fatto che il rilascio di acqua in acquiferi non confinati rappresenta un vero e proprio svuotamento dei pori nel terreno, mentre il rilascio di acqua in acquiferi confinati rappresenta effetti secondari di espansione del fluido e compattazione dell’acquifero, causati da variazioni della pressione del fluido. Le favorevoli condizioni di immagazzinamento degli acquiferi non confinati li rendono più efficienti in termini di sfruttamento tramite pozzi. Facendo un paragone con gli acquiferi confinati, la stessa produzione d’acqua può essere ottenuta con variazioni più piccole del carico idraulico su aree meno estese.

Immagazzinamento nella zona insatura

In un terreno non saturo, variazioni del contenuto di umidità θ, come quelli mostrati in Figura 2.23, sono accompagnate da cambiamenti nel carico di pressione ψ, attraverso la relazione θ(ψ) mostrata sulla curva caratteristica di Figura 2.13 (a). La pendenza di questa curva rappresenta la proprietà  di immagazzinamento non saturo di un terreno. È chiamata capacità specifica di umidità (o capacità di ritenzione idrica, n.d.t.) C e si definisce come:

C = \frac{d\theta}{d\psi} (2.65a)

Un incremento del carico di pressione  (si assuma una variazione da –200 cm a –100 cm in Figura 2.13) deve essere accompagnato da un incremento dell’umidità nel terreno non saturo. Dal momento che θ(ψ) ha un comportamento non lineare e isteretico, lo stesso accade per C. Non è una costante; è una funzione del carico di pressione ψ : C = C(ψ). Nella zona satura, per tutte le condizioni in cui ψ > ψa, il contenuto di umidità θ è uguale alla porosità n, una costante, così che C = 0. Una formulazione alternativa dell’Eq. (2.42) per il parametro C è

C = C(\psi) \hspace{1cm} \psi < \psi_a
(2.65b)

C = 0 \hspace{1cm} \psi \geq \psi_a

La trasmissività e le proprietà di immagazzinamento di un terreno insaturo sono completamente specificate dalla curva caratteristica K(ψ) e da una delle due curve θ(ψ) o C(ψ). In maniera analoga all’Eq. (2.64), la diffusività acqua-terreno può essere definita come

D(\psi) = \frac{K(\psi)}{C(\psi)} (2.66)

2.11 Equazioni del flusso per le acque sotterranee

In quasi tutti i campi delle scienze e dell’ingegneria, le tecniche di analisi sono basate sulla comprensione dei processi fisici e, nella maggior parte dei casi, è possibile descrivere questi processi matematicamente. Il flusso idrico sotterraneo non fa eccezione. La legge basilare del flusso è la legge di Darcy e quando viene associata all’equazione di continuità che descrive la conservazione della massa di un fluido durante il flusso attraverso un mezzo poroso, ne deriva un’equazione differenziale alle derivate parziali del flusso stesso. In questa sezione, saranno presentati brevemente gli sviluppi dell’equazione del flusso per (1) flusso stazionario in condizioni sature, (2) flusso transitorio in condizioni sature, e (3) flusso transitorio in condizioni insature. Tutte e tre le equazioni del flusso sono conosciute ai matematici e tecniche matematiche per la loro applicazione sono disponibili e di uso comune nella scienza e nell’ingegneria. Generalmente, l’equazione del flusso appare come una componente di un problema del valore limite, per cui nell’ultima parte di questa sezione questo concetto verrà discusso accuratamente.

Molte tecniche di analisi standard in idrogeologia sono basate su problemi del valore limite che richiedono l’uso di equazioni differenziali alle derivate parziali. Perciò, sarebbe utile avere delle conoscenze di base riguardo queste equazioni, per aiutarsi nell’apprendimento delle diverse tecniche di carattere idrogeologico. Fortunatamente, non è un prerequisito assolutamente necessario. In molti casi, le tecniche possono essere spiegate ed comprese senza una trattazione matematica completa. Nel campo della ricerca l’idrogeologo deve lavorare con le equazioni di flusso ogni giorno, mentre nella pratica il libero professionista può solitamente evitare la matematica avanzata se lo desidera.

Flusso stazionario in mezzi saturi

Si consideri un’unità di volume di materiale poroso come quello mostrato in Figura 2.24. Questo elemento è generalmente chiamato volume elementare di controllo.

Figura 2.24 Volume elementare di controllo per il flusso in un mezzo poroso.

La legge di conservazione della massa per un flusso stazionario  attraverso un messo poroso saturo richiede che la massa di fluido che entra nel volume elementare di controllo debba essere uguale alla massa di fluido che ne esce. L’equazione di continuità che traduce in termini matematici questo concetto può essere scritta, con riferimento alla Figura 2.24, come

-\frac{\partial(\rho v_x)}{\partial x} -\frac{\partial(\rho v_y)}{\partial y} -\frac{\partial(\rho v_z)}{\partial z} = 0 (2.67)

Un veloce analisi dimensionale dei termini ρv mostra come questi abbiano la dimensione di una portata di massa lungo una sezione unitaria del volume elementare di controllo. Se il fluido è incomprimibile, ρ(x, y, z) è una costante e le ρ possono essere rimosse dall’Eq. (2.67). Anche se il fluido è comprimibile e ρ(x, y, z) ≠ non è costante, può essere mostrato che i termini di forma ρ ∂vx/∂x sono molto più grandi dei termini di forma vx ∂ρ/∂x, entrambi i quali appaiono quando l’Eq. (2.67) è sviluppata utilizzando la regola della catena. Per entrambi i casi l’Eq. (2.67) si semplifica nel seguente modo:

-\frac{\partial v_x}{\partial x} -\frac{\partial v_y}{\partial y} -\frac{\partial v_z}{\partial z} = 0 (2.68)

La sostituzione della legge di Darcy per vx, vy e vz nell’Eq. (2.68) da luogo all’equazione di flusso in condizioni stazionarie per un mezzo poroso anisotropo:

\frac{\partial}{\partial x}\left(K_x \frac{\partial h}{\partial x}\right) + \frac{\partial}{\partial y}\left(K_y \frac{\partial h}{\partial y}\right) + \frac{\partial}{\partial z}\left(K_z \frac{\partial h}{\partial z}\right) = 0 (2.69)

Per un mezzo isotropo, Kx = Ky = Kz e se il mezzo è anche omogeneo allora K(x, y, z) è pari ad un valore constante. L’Eq. (2.69) si riduce quindi all’equazione di flusso per condizioni stazionarie attraverso un mezzo poroso omogeneo e isotropo:

\frac{\partial^2h}{\partial x^2} + \frac{\partial^2h}{\partial y^2} + \frac{\partial^2h}{\partial z^2} = 0 (2.70)

L’Eq. (2.70) è una delle più fondamentali equazioni differenziali alle derivate parziali conosciute in matematica. È chiamata equazione di Laplace. La soluzione dell’equazione è una funzione h(x, y, z) che descrive i valori del carico idraulico h in ogni punto in un campo di flusso tridimensionale. Una soluzione dell’Eq. (2.70) permette di produrre una carta delle linee equipotenziali h, e con l’aggiunta delle linee di flusso, un reticolo di flusso.

In condizioni stazionarie, per un flusso saturo in due dimensioni, come può essere il piano xy, il termine centrale dell’Eq. (2.70) decade e la soluzione è una funzione di h(x, z).

Flusso transitorio in un mezzo saturo

La legge di conservazione della massa per un flusso transitorio in un mezzo saturo e poroso richiede che il tasso netto di massa fluida che entra il volume elementare di controllo sia uguale alla variazione nel tempo dell’immagazzinamento di massa fluida all’interno dell’elemento. In riferimento alla Figura 2.24, l’equazione di continuità assume la seguente forma:

-\frac{\partial(\rho v_x)}{\partial x} -\frac{\partial(\rho v_y)}{\partial y} -\frac{\partial(\rho v_z)}{\partial z} = \frac{\partial(\rho n)}{\partial t} (2.71)

O espandendo la parte destra,

-\frac{\partial(\rho v_x)}{\partial x} -\frac{\partial(\rho v_y)}{\partial y} -\frac{\partial(\rho v_z)}{\partial z} = n\frac{\partial \rho}{\partial t} + \rho\frac{\partial n}{\partial t} (2.72)

Il primo termine della parte destra dell’Eq. (2.72) è la portata di massa d’acqua prodotta dall’espansione dell’acqua per la variazione della sua densità ρ. Il secondo termine è la portata di massa d’acqua prodotta dalla compattazione del mezzo poroso, che a sua volta riflette una variazione della porosità n. Il primo termine è controllato dalla compressibilità del fluido β e il secondo termine dalla compressibilità dell’acquifero α. I criteri necessari per semplificare i due termini a destra dell’Eq. (2.72) sono già stati discussi in precedenza (Sezione 2.10). Si sa che la variazione della densità del fluido ρ la variazione della porosità n sono entrambi prodotti da una variazione del carico idraulico h, e che il volume di acqua prodotto dai due meccanismi per una diminuzione unitaria del carico è pari a Ss, dove Ss è l’immagazzinamento specifico dato da SS = ρg(α + ). La portata di massa di acqua prodotta (tasso temporale di variazione dell’immagazzinamento idrico) è ρSS ∂h/∂t, e l’Eq. (2.72) diventa

-\frac{\partial(\rho v_x)}{\partial x} -\frac{\partial(\rho v_y)}{\partial y} -\frac{\partial(\rho v_z)}{\partial z} = \rho S_s\frac{\partial h}{\partial t} (2.73)

Espandendo il termine a sinistra e riconoscendo che i termini nella forma ρ ∂vx/∂x sono molto più grandi dei termini vx∂ρ/∂x permette di eliminare ρ da entrambi i lati dell’Eq. (2.73). Inserendo la legge di Darcy, si ottiene che

\frac{\partial}{\partial x}\left(K_x \frac{\partial h}{\partial x}\right) + \frac{\partial}{\partial y}\left(K_y \frac{\partial h}{\partial y}\right) + \frac{\partial}{\partial z}\left(K_z \frac{\partial h}{\partial z}\right) = S_s\frac{\partial h}{\partial t} (2.74)

Questa equazione esprime il flusso transitorio attraverso un mezzo poroso anisotropo. Se il mezzo è omogeneo e isotropo, l’Eq. (2.74) si riduce a

\frac{\partial^2h}{\partial x^2} + \frac{\partial^2h}{\partial y^2} + \frac{\partial^2h}{\partial z^2} = \frac{S_s}{K}\frac{\partial h}{\partial t} (2.75)

o espandendo il valore Ss,

\frac{\partial^2h}{\partial x^2} + \frac{\partial^2h}{\partial y^2} + \frac{\partial^2h}{\partial z^2} = \frac{\rho g(\alpha+n\beta)}{K}\frac{\partial h}{\partial t} (2.76)

L’Eq. (2.76) è nota come equazione della diffusione. La soluzione h(x, y, z, t) descrive il valore del carico idraulico in ogni punto e istante del dominio di flusso. Una soluzione richiede la conoscenza dei tre parametri idrogeologici fondamentali K, α e n, e i parametri del fluido ρ e β.

Per il caso particolare di un acquifero orizzontale confinato di spessore b, S = Ssb e T = Kb, e l’Eq. (2.75) in due dimensioni diventa:

\frac{\partial^2h}{\partial x^2} + \frac{\partial^2h}{\partial y^2}  = \frac{S}{T}\frac{\partial h}{\partial t} (2.77)

La soluzione h(x, y, t) descrive l’andamento del carico idraulico in ogni punto lungo un piano orizzontale di un acquifero orizzontale, ad ogni momento. La soluzione richiede una conoscenza dei parametri dell’acquifero S e T.

L’equazione per un flusso transitorio saturo [per ogni forma data dalla combinazione delle Eq. (2.74) e (2.77) si basa sulla legge di Darcy (1856), sul concetto di potenziale idraulico di Hubbert (1940), sull’elasticità dell’acquifero di Meinzer (1923) e sulla teoria degli sforzi efficaci di Terazaghi (1925). Lo sviluppo classico è stato innanzitutto formulato da Jacob (1940) ed è riportato in forma completa in Jacob (1950). Lo sviluppo presentato in questa sezione, insieme ai concetti di immagazzinamento presentati precedentemente, è essenzialmente quello di Jacob.

Più recentemente, la forma classica è stata rivalutata. Biot (1955) ha riconosciuto che in acquiferi soggetti a consolidazione è necessario trattare la legge di Darcy in termini di velocità relative del fluido rispetto ai grani; Cooper (1966) ha invece sottolineato la contraddizione di assumere come riferimento un volume di controllo elementare fisso in un mezzo soggetto a deformazione. Cooper ha dimostrato come lo sviluppo classico di Jacob è corretto se la velocità è considerata relativa e il sistema di coordinate deformabile. Inoltre, ha dimostrato come il tentativo di De West (1966) di risolvere questo problema (che appare anche in Davis e De Wiest, 1966) non è corretto. L’Appendice II contiene una presentazione più rigorosa dello sviluppo di Jacob-Cooper di quello mostrato qui.

Lo sviluppo classico, attraverso l’uso del concetto di compressibilità verticale dell’acquifero, assume che gli sforzi e le deformazioni in un acquifero in compattazione avvengano solo lungo la direzione verticale. L’approccio combina un campo di flusso tridimensionale e un campo di sforzi monodimensionale. L’approccio più generale, che accoppia un campo di flusso tridimensionale e un campo di sforzi tridimensionale, è stato considerato per la prima volta da Biot (1941, 1955). Verruijt (1969) fornisce un ottimo riassunto di questo approccio.

Per quasi tutti gli usi pratici, non è necessario considerare le velocità relative, coordinate deformabili, o campi di sforzi tridimensionale. Le equazioni classiche del flusso presentate in questo paragrafo sono sufficienti.

Flusso transitorio in un mezzo non saturo

Si definisca il grado di saturazione θ’ come θ’ = θ/n, dove θ è il contenuto di umidità e n la porosità. Per un flusso attraverso un volume elementare di controllo che potrebbe essere solo parzialmente saturo, l’equazione di continuità deve descrivere il tasso di variazione del contenuto di umidità nel tempo così come il tasso di variazione dell’immagazzinamento dovuto all’espansione dell’acqua e alla compattazione dell’acquifero. Il termine ρn nell’Eq. (2.71) deve diventare ρnθ’ e l’Eq. (2.72) diventa

-\frac{\partial(\rho v_x)}{\partial x} -\frac{\partial(\rho v_y)}{\partial y} -\frac{\partial(\rho v_z)}{\partial z} = n\theta' \frac{\partial \rho}{\partial t} + \rho\theta' \frac{\partial n}{\partial t} + n\rho \frac{\partial \theta '}{\partial t} (2.78)

Per un flusso non saturo, i primi due termini del lato destro dell’Eq. (2.78) sono molto più piccoli del terzo. Scartando questi primi due termini, annullando le ρ da entrambi i lati nel solito modo, inserendo la forma non satura della legge di Darcy [Eq. (2.41)], e riconoscendo che n dθ’ = , si può scrivere la seguente equazione

\frac{\partial}{\partial x}\left[K(\psi)\frac{\partial h}{\partial x}\right] + \frac{\partial}{\partial y}\left[K(\psi)\frac{\partial h}{\partial y}\right] + \frac{\partial}{\partial z}\left[K(\psi)\frac{\partial h}{\partial z}\right] = \frac{\partial \theta}{\partial t}
(2.79)

È comune mettere l’Eq. (2.79) in una forma dove la variabile indipendente è o θ o ψ. Nell’ultimo caso, è necessario moltiplicare il numeratore e il denominatore del membro destro per ∂ψ. Poi, richiamando la definizione di capacità di umidità specifica C [Eq. (2.65)] e considerando che h = ψ + z, si ottiene che

\frac{\partial}{\partial x}\left[K(\psi)\frac{\partial \psi}{\partial x}\right] + \frac{\partial}{\partial y}\left[K(\psi)\frac{\partial \psi}{\partial y}\right] + \frac{\partial}{\partial z}\left[K(\psi)(\frac{\partial \psi}{\partial z}+1)\right] = C(\psi)\frac{\partial \psi}{\partial t}
(2.80)

L’Eq. (2.80) è l’equazione per il flusso transitorio attraverso un mezzo poroso non saturoespressa in termini di ψ. Spesso è chiamata equazione di Richards, in onore del fisico del terreno che per primo l’ha proposta (Richards, 1931). La soluzione ψ(x, y, z, t) descrive il campo del carico di pressione in un campo di flusso per ogni momento. Può essere facilmente convertita in una soluzione espressa in termini di carico idraulico h(x, y, z, t) per mezzo della relazione h = ψ + z. La soluzione richiede la conoscenza delle curve caratteristiche K(ψ) e C(ψ), o in alternativa θ(ψ).

L’accoppiamento delle equazioni per il mezzo saturo e non saturo, rispettivamente Eq. (2.74) ed Eq.(2.80), è stato proposto da Freeze (1971a) e da Narasimhan (1975). Miglioramenti della teoria alla base dei sistemi saturo-insaturo devono passare da una migliore comprensione dei principi delle tensioni efficaci nella zona insatura.

Problemi del valore limite

Un problema del valore limite è un modello matematico. La tecnica di analisi che si desume da questo ultimo termine è un processo a quattro fasi che implica: (1) l’esame del problema fisico, (2) la sostituzione del problema fisico con un problema matematico equivalente, (3) la soluzione del problema matematico con tecniche accettate dalla comunità scientifica e (4) l’interpretazione del risultato matematico nei termini del problema fisico. I modelli matematici basati sulla fisica del flusso prendono di solito la forma di problemi del valore limite del tipo sperimentato dagli sviluppatori della teoria dei campi potenziali e applicati in fisica a problemi quali la conduzione del calore nei solidi (Carslaw e Jaeger, 1959).

Per definire completamente un problema del valore limite transitorio per il flusso sotterraneo, è necessario conoscere: (1) la dimensione e la forma della regione di flusso, (2) l’equazione di flusso all’interno della regione, (3) le condizioni al contorno ai bordi della regione, (4) le condizioni iniziali nella regione, (5) la distribuzione spaziale dei parametri idrogeologici che controllano il flusso, e (6) un metodo di risoluzione matematica. Se il problema del valore limite si riferisce ad un sistema in condizioni stazionarie, il punto (4) viene eliminato.

Si consideri il semplice problema di flusso illustrato in Figura 2.25 (a). Il dominio ABCD contiene un mezzo poroso, omogeneo, isotropo con una conducibilità idraulica K1. I contorni AB e CD sono impermeabili; i carichi idraulici lungo AD e BC sono rispettivamente h0 e h1. Assumendo un flusso stazionario e condizioni come h0 = 100 m e h1 = 0 m, sarà così possibile vedere tramite un’indagine di verifica che il carico idraulico nel punto E sarà pari a 50 m. Apparentemente, è stato fatto un uso implicito delle proprietà (1), (3) e (5) elencate sopra; il metodo di risoluzione adottato (6) è stato quello dell’indagine di verifica. Non è chiaro però che fosse necessario conoscere l’equazione del flusso all’interno del dominio. Se si passa ad un problema più complesso come quello mostrato in Figura 2.25 (b) (una diga in terra appoggiata su una superficie di base inclinata), il valore del carico idraulico al punto F non è ricavabile immediatamente. Qui bisogna richiamare un metodo di risoluzione matematico che richiede la conoscenza dell’equazione del flusso.

Figura 2.25 Due problemi del valore limite in condizioni stazionarie sul piano x-y.

I metodi di risoluzione possono essere raggruppati a grandi linee in cinque classi: (1) soluzione per indagine di verifica, (2) soluzione basata su tecniche grafiche, (3) soluzione basata su modello analogico, (4) soluzione basata su tecniche matematichedi carattere analitico e (5) soluzione basata su tecniche matematichedi carattere numerico. Sopra si è osservato un esempio di soluzione per indagine di verifica. I metodi di costruzione del reticolo di flusso presentati nel Capitolo 5 possono essere annoverati tra le soluzioni grafiche dei problemi del valore limite. Modelli analogici elettrici sono discussi nelle sezioni 5.2 e 8.9. Le soluzioni numeriche sono la base delle moderne tecniche di simulazione informatizzata come descritto nelle Sezioni 5.3 e 8.8.

L’approccio più diretto alla soluzione dei problemi del valore limite, è quello delle soluzioni analitiche. Molte delle tecniche standard per lo studio delle acque sotterranee presentate in questo testo sono basate su soluzioni analitiche, perciò è rilevante esaminare un semplice esempio. Si consideri, di nuovo, il problema del valore limite di Figura 2.25 (a). La soluzione analitica è

h(x, y) = h_0 - (h_0 - h_1)   \frac{x}{x_L} (2.81)

Questa equazione rappresenta una serie di linee equipotenziali che attraversano il dominio ABCD, parallelamente ai bordi AD e BC. Dal momento in cui le equipotenziali sono parallele all’asse y, h non è funzione di y e y non appare nella parte destra dell’Eq. (2.81). Nel punto E, x/xL = 0.5, e se h0 = 100 m e h1 = 0 m come prima, allora hE dall’Eq. (2.81) è 50 m, come era lecito aspettarsi. Nell’Appendice III, la tecnica della separazione delle variabili è usata per ottenere la soluzione analitica dell’Eq. (2.81) ed è mostrato come la soluzione soddisfi l’equazione del flusso e le condizioni al contorno.

2.12 Limitazioni dell’approccio di Darcy

La legge di Darcy fornisce una descrizione accurata del flusso idrico sotterraneo in quasi tutti i contesti idrogeologici. In generale, la legge di Darcy è valida per (1) flusso in mezzi saturi e non saturi, (2) condizioni di flusso stazionarie e transitorie, (3) per flussi in acquiferi e acquitardi, (4) per flussi in sistemi omogenei ed eterogenei, (5) per flussi in mezzi isotropi e anisotropi e (6) per flussi sia in roccia sia in terreni granulari. In questo testo, si assume che la legge di Darcy sia valida per le analisi quantitative proposte.

Malgrado la confortevole rassicurazione, oppure proprio a causa di essa, è importante esaminare i limiti pratici e teorici dell’approccio di Darcy. È necessario dare uno sguardo alle assunzioni su cui si basa la definizione qui proposta di continuo; esaminare i concetti di flusso macroscopico e microscopico; capire i limiti superiori e inferiori della legge di Darcy; e considerare i problemi particolari associati al flusso in ammassi rocciosi fratturati.

Mezzo continuo darciano e volume elementare rappresentativo

Nel Sezione 2.1, si è notato come la definizione della legge di Darcy richieda la sostituzione del reale insieme dei grani che compongono un mezzo poroso con un continuo equivalente. È stato successivamente affermato che questo approccio continuo è effettuato alla scala macroscopica piuttosto che a quella microscopica. Se la legge di Darcy è una legge macroscopica, ci deve essere un limite inferiore nella dimensione di un singolo elemento del mezzo poroso (della singola particella, n.d.t.) per il quale la legge è valida. Hubbert (1940) ha affrontato questo problema. Egli ha definito il termine macroscopico con l’aiuto della Figura 2.26. Questo diagramma è un’ipotetica rappresentazione grafica della porosità di un mezzo misurata su campioni di volume crescente V1, V2, . . ., in corrispondenza di un punto P.

Figura 2.26 Domini macroscopico e microscopico e il volume elementare rappresentativo V3(modificato da Hubbert, 1956; Bear 1972).

Bear (1972) definisce il volume V3 in Figura 2.26 come volume elementare rappresentativo. Inoltre, Bear fa osservare come tale volume debba essere più grande di quello dei singoli pori. Infatti, deve includere un numero sufficiente di pori da permettere il calcolo di una media statistica significativa, come richiesto dall’approccio continuo. Al di sotto di questo volume, non esiste un singolo valore che può rappresentare la porosità nel punto P. In tutto questo testo, i valori di porosità, conducibilità idraulica e compressibilità si riferiscono a misure che potrebbero essere eseguite su campioni più grandi del volume elementare rappresentativo. In pratica, ci si riferisce a valori che possono essere misurati su carote di terreno di dimensioni standard. Se la scala di indagine coinvolge volumi, come nel caso di V5 in Figura 2.26, che potrebbero includere più di uno strato in mezzi eterogenei, talvolta la scala è definita megascopica.

Lo sviluppo di ognuna delle equazioni di flusso presentate nel Sezione 2.11 richiamano la legge di Darcy. Deve essere riconosciuto, quindi, che i metodi di analisi che sono basati sui problemi del valore limite e coinvolgono queste equazioni si applicano ad una scala macroscopica, cioè alla scala del mezzo darciano continuo. Ci sono alcuni fenomeni idrogeologici, come il movimento di un tracciante attraverso un mezzo poroso, che non possono essere analizzati a questa scala. È perciò necessario esaminare le interrelazioni che esistono tra la velocità darciana (o portata unitaria) definita per il continuo macroscopico darciano e le velocità microscopiche che esistono nella fase liquida del mezzo poroso.

Portata unitaria, velocità macroscopica e velocita microscopica

In accordo con Bear (1972), la trattazione sarà più rigorosa se prima si differenzia la porosità volumetrica, n, definita nella Sezione 2.5, e la porosità areale, nA, che può essere definita per sezione trasversale attraverso un’unità di volume come nA = Av/AT, dove Av è l’area occupata dai vuoti mentre AT è l’area totale. Come suggerito in Figura 2.27 (a), sezioni diversa all’interno di una definita unità di volume possono mostrare differenti porosità areali nA1, nA2, . . . La porosità volumetrica, n, è una media delle varie possibili porosità areali, nAi.

Figura 2.27 Concetto di (a) porosità areale e (b) velocità lineare media.

Per ogni sezione A, la portata unitaria, v, si definisce dall’Eq. (2.1) come

v = \frac{Q}{A}

Considerando che in questa relazione il flusso volumetrico Q è diviso per l’intera area della sezione trasversale (che comprende la matrice solida e i vuoti), la velocità che se ne deriva è identificata come pertinente all’approccio continuo macroscopico. In effetti, il flusso passa attraverso la sola parte della sezione occupata dai vuoti. Per la sezione A1, si può definire una velocità che rappresenta il flusso volumetrico, diviso per l’area della sezione trasversale attraverso cui avviene effettivamente il flusso. Per tutte le sezioni A1, A2, . . . è possibile definire \bar{v}_1, \bar{v}_2, . . . . Considerando la loro media pari a \bar{v}, allora

\bar{v} = \frac{Q}{nA} = \frac{v}{n} = -\frac{-K}{n}\frac{\partial h}{\partial l}
(2.82)

La velocità \bar{v} è nota sotto diversi nomi. Nel testo le si farà riferimento come alla velocità media lineare. Q, n e A sono termini macroscopici misurabili, allo stesso modo lo è \bar{v}. Dovrebbe essere sottolineato come \bar{v} non rappresenta la velocità media delle particelle d’acqua che viaggiano attraverso i pori. Queste reali velocità microscopiche sono generalmente più grandi di \bar{v} perché le particelle d’acqua devono viaggiare lungo percorsi irregolari che sono più lunghi dei percorsi lineari rappresentati da \bar{v}. Questo è mostrato schematicamente in Figura 2.27 (b). Tuttavia, le velocità microscopiche reali che esistono nei pori sono raramente di interesse, ed è una fortuna perché queste sono per lo più indeterminabili. Per tutte le situazioni che verranno trattate nel testo, la velocità di Darcy v e la velocità media lineare \bar{v} saranno sufficienti.

Come base per ulteriori spiegazioni riguardo a \bar{v}, si consideri un esperimento dove un tracciante è usato per determinare quanto tempo è richiesto alle acque sotterranee per muoversi lungo una breve ma significativa distanza AB lungo una linea di flusso. \bar{v} è quindi definita come il rapporto tra la distanza percorsa e il tempo impiegato, dove la distanza percorsa è definita come la distanza lineare da A a B e il tempo impiegato è la quantità di tempo presa dal tracciante per muoversi da A a B. Fatta questa concettualizzazione di \bar{v}, Nelson (1968) ha suggerito una versione lievemente differente dell’Eq. (2.82)

\bar{v} = \frac{Q}{\epsilon nA} = \frac{v}{\epsilon n}(2.83)

dove ε è una costante empirica che dipende dalle caratteristiche del mezzo poroso. I dati ottenuti da prove di laboratorio da Ellis et al. (1968) usando sabbie relativamente uniformi indicano valori di ε nell’intervallo di 0.98-1.18. Valori di ε per sabbie non unifromi e altri materiali non esistono attualmente in letteratura. In studi di tracciamento e contaminazione di acque sotterranee la quasi universale non esplicitata assunzione è che ε = 1. Per i mezzi granulari, probabilmente questa assunzione introduce un errore piccolo. Nei mezzi fratturati questa assunzione potrebbe avere minor validità (errori maggiori, n.d.t.).

Limite superiore e inferiore della Legge di Darcy

Anche se ci si limita a considerare la portata unitaria ad una scala macroscopica attraverso il continuo darciano, ci potrebbero essere delle limitazioni sull’applicazione della legge di Darcy. La legge di Darcy è una legge lineare. Se fosse universalmente valida, un grafico della portata unitaria v rispetto al gradiente idraulico dh/dl mostrerebbe una linea retta per ogni gradiente tra 0 a ∞. Per il flusso attraverso materiali granulari ci sono almeno due situazioni per cui la validitàdi questa relazione lineare è in dubbio. Il primo riguarda il flusso attraverso sedimenti a bassa permeabilità sotto gradienti molto bassi e il secondo riguarda flussi copiosi in sedimenti molto permeabili. In altre parole, ci potrebbero esistere sia un limite superiore sia un limite inferiore all’intervallo di validità della legge di Darcy. È stato suggerito che una forma più generale della legge di flusso attraverso un mezzo poroso possa essere

v = -K\left(\frac{dh}{dl}\right)^m(2.84)

Se m = 1, come nelle situazioni di uso comune, la legge del flusso è lineare e prende il nome di legge di Darcy; se m ≠ 1 la legge che riguarda il flusso non è lineare e non dovrebbe essere chiamata legge di Darcy.

Per materiali fini a bassa permeabilità, è stato suggerito sulla base di evidenze sperimentali che potrebbe esserci un valore soglia del gradiente idraulico al di sotto della quale il flusso non avviene. Swartzendruber (1962) e Bolt e Groenevelt (1969) hanno raccolto queste evidenze e riassunto le varie ipotesi che sono state formulate per spiegare il fenomeno. Al momento, non c’è un accordo sul meccanismo e le evidenze sperimentali lasciano aperti alcuni dubbi. In ogni caso, il fenomeno ha un’importanza pratica molto bassa; per tutti i gradienti considerati come possibili soglie, i flussi sono estremamente piccoli in ogni caso.

Al contrario, di grande importanza è il limite di validità superiore della legge di Darcy. Da molti anni è stato riconosciuto e accettato (Rose, 1945; Hubbert, 1956) che per grandi flussi, la legge di Darcy non è rispettata. Le evidenze sperimentali sono state esaminate nel dettaglio da Todd (1959) e Bear (1972). Il limite superiore è identificato solitamente con l’aiuto del numero di Reynolds Re; un numero adimensionale che esprime il rapporto tra le forze inerziali e viscose durante il flusso. Il parametro è ampiamente utilizzato in meccanica dei fluidi per distinguere il flusso laminare e il flusso turbolento che avvengono rispettivamente a basse velocità e ad alte velocita. Il numero di Reynolds per il flusso nei mezzi porosi si definisce come

R_e = \frac{\rho vd}{\mu}(2.85)

dove ρ e μ sono la densità del fluido e la viscosità, v la portata unitaria e d una lunghezza rappresentativa per il mezzo poroso, che può essere differentemente assunta come una dimensione media dei pori, un diametro medio dei grani, o una qualche funzione della radice quadrata della permeabilità k. Bear (1972) riassume le evidenze sperimentali con la seguente affermazione: “la legge di Darcy è valida finché il numero di Reynolds calcolato in base alla dimensione media dei grani non supera un valore compreso tra 1 e 10” (p. 126). Per questo intervallo di valori del numero di Reynolds, tutti i flussi attraverso mezzi granulari hanno un moto laminare.

I flussi che superano il limite superiore della legge di Darcy sono comuni per importanti formazioni rocciose quali calcari e dolomie carsiche, e vulcaniti cavernose. Al contrario, il limite superiore non è quasi mai superato da flussi in rocce non dure e materiali granulari. Le rocce fratturate (nel testo verrà utilizzato questo termine come riferimento a rocce rese molto permeabili da giunti, fessure, fratture, o spaccature di qualsiasi origine genetica) costituiscono un caso speciale che merita una trattazione separata.

Il flusso in ammassi rocciosi fratturati

L’analisi del flusso in ammassi rocciosi fratturati può essere svolta o attraverso l’approccio continuo che è stato enfatizzato fino ad ora in questo testo, oppure attraverso un approccio non continuo basato sull’idraulica del flusso nelle singole fratture. Così come già osservato per i mezzi porosi, l’approccio continuo richiede la sostituzione del mezzo fratturato con continuo rappresentativo equivalente, in cui valori spazialmente definiti di conducibilità idraulica, porosità e compressibilità possono essere assegnati. Questo approccio è valido fintanto che la spaziatura delle fratture è abbastanza densa per cui il mezzo fratturato ha un comportamento simile a quello di un mezzo granulare poroso. Sebbene il volume elementare rappresentativo sia considerevolmente più grande per i mezzi fratturati che per i mezzi granulari, il modello concettuale rimane identico. Se la spaziatura è irregolare per una data direzione, il mezzo fratturato non è omogeneo. Se la spaziatura delle fratture è differente in una direzione piuttosto che in un’altra, il mezzo è anisotropo. Snow (1968, 1969) ha mostra che numerosi problemi di flusso in mezzi fratturati possono essere risolti applicando tecniche standard per i mezzi porosi utilizzando la legge di Darcy e un tensore anisotropo della conducibilità.

Se la densità di fratturazione è molto bassa, potrebbe essere necessario analizzare il flusso nei singoli giunti. Questo approccio è stato utilizzato in applicazioni geotecniche (e geomeccaniche, n.d.t.) dove analisi di meccanica delle rocce forniscono indicazioni su pendii o aperture in roccia che possono arrivare a rottura sulla base delle pressioni fluide che si creano in singole fratture critiche. I metodi di analisi sono basati sui principi della meccanica dei fluidi, contenuti nelle equazioni di Navier-Stokes. Questi metodi non saranno descritti in questa sede. Wittke (1973) ne fornisce una presentazione introduttiva.

Se si limitasse la discussione all’approccio continuo, ci sarebbero due problemi che dovrebbero essere affrontati nell’analisi dei flussi attraverso gli ammassi rocciosi fratturati. Il primo problema riguarda il flusso non darciano in fratture caratterizzate da una grande apertura. Sharp e Maini (1972) presentano dati di laboratorio che supportano un comportamento non lineare del flusso in mezzi rocciosi fratturati. Wittke (1973) suggerisce che vengano specificate separate leggi di flusso per un intervallo laminare-lineare (intervallo di Darcy), un intervallo laminare-non lineare, e un intervallo turbolento. La Figura 2.28 esprime questi concetti attraverso una curva schematica che mette in relazione la portata unitaria con il gradiente idraulico. In fratture con una ampia apertura, le portate unitarie e i numeri di Reynolds sono alti, i gradienti idraulici sono solitamente minori di 1, e l’esponente m dell’Eq. (2.84) è maggiore di 1. Queste condizioni portano ad una inflessione verso il basso della curva in Figura 2.28.

Figura 2.28 Intervallo di validità della legge di Darcy.

Il secondo problema riguarda l’interazione tra il campo di sforzi tridimensionale e il campo del flusso tridimensionale nell’ammasso roccioso. I requisiti teorici generali richiesti per l’accoppiamento di questi due campi è stata discussa brevemente nella Sezione 2.11, richiamando i lavori classici di Biot (1941, 1955) per il flusso nei mezzi porosi. Per le rocce fratturate, comunque, c’è un’ulteriore complicazione. Poiché la porosità nei mezzi fratturati è molto bassa, l’espansione e la contrazione delle aperture delle fratture che avviene per variazioni degli sforzi, influenzano la conducibilità idraulica K. L’interazione tra la pressione del fluido p(x, y, z, t), o il carico idraulico h(x, y, z, t) e le tensioni efficaci σe(x, y, z, t) è quindi complicata dal fatto che deve essere rappresentata da una funzione, K(σe). L’analisi di questi sistemi, e la determinazione sperimentale della natura della funzione K(σe), è continuamente oggetto di ricerche nei campi della meccanica delle rocce e dell’idrogeologia.

Molti ricercatori coinvolti nell‘applicazione della teoria idrogeologica nel campo della meccanica delle rocce hanno proposto delle formule che mettono in relazione la porosità da frattura nf e la conducibilità idraulica K degli ammassi rocciosi fratturati alla geometria delle fratture. Snow (1968) spiega come per una serie di fratture planari parallele di apertura b, con N giunti per unità di distanza lungo la faccia della roccia considerata, nf = Nb, e

K = \left(\frac{\rho g}{\mu}\right) \left(\frac{Nb^3}{12}\right)(2.86)

k = \frac{Nb^3}{12}(2.87)

Dove k è la permeabilità della roccia. N e b hanno rispettivamente dimensioni di 1/L e L, per cui k risulta avere unità di L2, come dovrebbe. L’Eq. (2.86) si basa sull’idrodinamica di un flusso attraverso una famiglia di fratture planari. L’equazione regge nel campo lineare e laminare dove la legge di Darcy è valida. Inoltre, deve essere applicata ad un blocco di roccia di una dimensione sufficiente perché il blocco stesso si comporti come un continuo darciano. La permeabilità k, calcolata con l’Eq. (2.87), può essere considerata come la permeabilità di un mezzo poroso equivalente, che si comporta idraulicamente come la roccia fratturata.

Snow (1968) afferma che un sistema cubico di fratture simili crea un sistema isotropo con una porosità pari a nf = 3Nb e una permeabilità doppia rispetto a quella che ciascuno dei suoi sistemi di fratture potrebbe offrire, ossia k = Nb3/6. Snow (1969) fornisce anche relazioni predittive tra la porosità e il tensore anisotropo della permeabilità per geometrie dei giunti tridimensionali, nei quali le spaziature o le aperture delle fratture variano con la direzione. Sharp e Maini (1972) forniscono un’ulteriore discussione delle proprietà idrauliche di rocce anisotrope fratturate.

2.13 Dispersione idrodinamica

Sta diventando sempre più comune nello studio dei sistemi idrogeologici vedere il regime di flusso in termini di capacità di trasporto di sostanze disciolte, conosciute come soluti. Questi soluti possono essere sostanze naturali, traccianti artificiali oppure contaminanti. Il processo per il quale i soluti sono trasportati attraverso la massa fluida in movimento è conosciuta come advezione. A causa dell’advezione, i soluti non reattivi sono trasportati ad un tasso medio pari a quello della velocità media lineare dell’acqua. Tuttavia, si osserva, una tendenza del soluto ad allargarsi rispetto alla teorica traiettoria che ci si aspetterebbe seguisse per mera advezione del sistema di flusso. Questo fenomeno di allargamento è chiamato dispersione idrodinamica e causa una diluizione del soluto. Esso avviene per mescolamento meccanico durante l’advezione del fluido e per diffusione molecolare causata dall’energia termo-cinetica delle particelle di soluto. La diffusione, che è un processo di dispersione molta importanza importante solo a basse velocità, è descritto nella Sezione 3.4. Nella discussione attuale, l’enfasi è posta sulla dispersione che è causata interamente dal movimento del fluido. Questa è conosciuta come dispersione meccanica (o dispersione idraulica). La Figura 2.29 mostra un esempio schematico di questo processo dispersivo in un mezzo granulare omogeneo.

La dispersione meccanica è per lo più un processo microscopico. Alla scala microscopica, la dispersione è causata da tre meccanismi (Figura 2.30). Il primo avviene nei singoli canali tra pori perché le molecole viaggiano a differenti velocità in differenti punti attraverso il canale per la resistenza esercitata sul fluido dalla scabrezza della superficie dei pori. Il secondo processo avviene per la differenza nella dimensione dei pori lungo le traiettorie di flusso seguite dalle molecole d’acqua. A causa delle differenze in superficie di contatto e scabrezza relative al volume di acqua nei singoli canali tra pori, canali diversi presentano diverse velocità della massa fluida.

Figura 2.29 Rappresentazione schematica del processo di diluizione causato dalla dispersione meccanica in mezzi porosi granulari.
Figura 2.30 Processi di dispersione a scala microscopica.

Il terzo processo dispersivo riguarda la tortuosità, la ramificazione e l’interconnessione dei canali tra i pori. La propagazione del soluto nella direzione del flusso è conosciuta come dispersione longitudinale. La propagazione del soluto nelle direzioni perpendicolari al flusso è chiamato dispersione trasversale. La prima è normalmente più consistente della seconda.

La dispersione è un processo di mixing. Qualitativamente, ha un effetto simile alla turbolenza nelle acque superficiali. Per i mezzi porosi, i concetti di velocità lineare media e dispersione longitudinale sono intimamente legati. La dispersione longitudinale è il processo per il quale alcune delle molecole d’acqua e di soluto viaggiano più rapidamente della velocità lineare media e alcune, al contrario, più lentamente. Il soluto quindi si allunga nella direzione di flusso, diminuendo la propria concentrazione.

Quando in laboratorio si effettua una prova con un tracciante, la sola dispersione che può essere misurata è quella osservabile alla scala macroscopica. Si assume che questo risultato macroscopico sia dovuto ai processi microscopici descritti sopra. Alcuni ricercatori credono che le eterogeneità alla scala macroscopica possano causare una dispersione aggiuntiva rispetto a quella microscopica. Il concetto di dispersione macroscopica ancora non è stato ben chiarito. I processi dispersivi sono affrontati più approfonditamente nel Capitolo 9.

Letture consigliate

BEAR, J. 1972. Dynamics of Fluids in Porous Media. American Elsevier, New York, pp. 15–24, 52–56, 85–90, 122–129, 136–148.

HUBBERT, M. K. 1940. The theory of groundwater motion. J. Geol., 48, pp. 785–822.

JACOB, C. E. 1940. On the flow of water in an elastic artesian aquifer. Trans. Amer. Geophys. Union, 2, pp. 574–586.

MAASLAND, M. 1957. Soil anisotropy and land drainage. Drainage of Agricultural Lands ed. J. N. Luthin. American Society of Agronomy, Madison, Wisc., pp. 216–246.

SKEMPTON, A. W. 1961. Effective stress in soils, concrete and rocks. Conference on Pore Pressures and Suction in Soils. Butterworth, London, pp. 4–16.

STALLMAN, R. W. 1964. Multiphase fluids in porous media-a review of theories pertinent to hydrologic studies. U.S. Geol. Surv. Prof Paper 411E.

VERRUIJT, A. 1969. Elastic storage of aquifers. Flow Through Porous Media, ed. R. J. M. De Wiest. Academic Press, New York, pp. 331–376.

Problemi

  1. I seguenti dati di campagna sono stati raccolti in una rete di piezometri istallati fianco a fianco in un sito:

    Piezometro a b c
    Quota (m s.l.m.) 450 450 450
    Profondità del piezometro (m) 150 100 50
    Profondità dell’acqua (m) 27 47 36

    Siano A, B e C riferiti ai punti di misura dei piezometri a, b e c. Calcola:

    1. Il carico idraulico in A, B e C (m)
    2. Il carico di pressione in A, B e C (m)
    3. The elevation head in A, B e C (m)
    4. La pressione del fluido in B (N/m2)
    5. Il gradiente idraulico tra A e A e tra A e A. Puoi immaginare un assetto idrogeologico che porterebbe alle direzioni di flusso indicate da questi dati?

  1. Disegna i diagrammi di due assetti realistici di campo in cui tre piezometri installati fianco a fianco, ma con diverse profondità di fondo foro, avrebbero la stessa quota del livello dell’acqua.
  1. Tre piezometri ubicati a una distanza di 1000 m nella stessa falda acquifera orizzontale. Il piezometro A si trova a sud del piezometro B e il piezometro C si trova ad est della linea AB. Le quote del piano campagna di A, B e C sono rispettivamente di 95, 110 e 135 m s.l.m.. La profondità dell’acqua in A è 5 m, in B è 30 m e in C è 35 m. Determinare la direzione del flusso delle acque sotterranee attraverso il triangolo ABC e calcolare il gradiente idraulico.
  1. Dimostra che il potenziale Φ è un termine energetico, realizzando un’analisi dimensionale sull’equazione Φ = gz + p/ρ. Fallo per sia per il sistema di unità SI e sia il sistema di unità FPS.
  2. Tre formazioni, ciascuna di 25 m di spessore, si sovrappongono. Se un flusso verticale a velocità costante è impostato attraverso l’insieme di formazioni con h = 120 m in corrispondenza della cima e h = 100 m in corrispondenza del fondo, calcola h in corrispondenza dei due bordi interni. La conduttività idraulica della formazione superiore è 0,0001 m/s, quella della formazione centrale è 0.0005 m/s e quella della formazione inferiore è 0.0010 m/s.
  1. Una formazione geologica ha una permeabilità di 0,1 darcy (come determinato da una compagnia petrolifera per il flusso di petrolio). Qual è la conduttività idraulica della formazione per il flusso d’acqua? Dai la tua risposta in m/s e in gal/day/ft2. Che tipo di roccia sarebbe probabilmente?
    1. Quattro formazioni geologiche orizzontali, omogenee e isotrope, ciascuna di 5 m di spessore, si sovrappongono. Se le conducibilità idrauliche sono rispettivamente 10–4, 10–6, 10–4 e 10–6 m/s, calcola le componenti orizzontale e verticale della conducibilità idraulica per l’equivalente formazione omogenea ma anisotropa.
    2. Ripetere l’operazione per conducibilità idrauliche di 10–4, 10–8, 10–4 e 10–8 m/s, e per conducibilità idrauliche di 10–4, 10–10, 10–4 e 10–10 m/s. Metti il risultati delle tre serie di calcoli in una tabella relativa agli ordini di grandezza dell’eterogeneità stratificata per ottenere l’equivalente anisotropia.

    1. Dalle definizioni volumetriche di porosità e indice dei vuoti, sviluppa le relazioni riportate nell’Eq. (2.40).
    2. La porosità è sempre maggiore dell’indice dei vuoti quando entrambi vengono misurati lo stesso campione di terreno?

  1. La quota del piano campagna in un sito di misurazione dell’umidità del suolo è 300 cm. Il terreno è costituito da una sabbia e le sue proprietà insature sono rappresentate dalle curve di essiccamento di Figura 2.13. Disegna un set quantitativamente accurato di profili verticali di contenuto di umidità, carico di pressione e carico idraulico rispetto alla profondità (come nella Figura 2.12) per una profondità di 200 cm nelle seguenti condizioni:
    1. Il contenuto di umidità è del 20% in tutto il profilo.
    2. La il carico di pressione è -50 cm in tutto il profilo.
    3. Il carico idraulico è 150 cm in tutto il profilo (caso statico).

    Per i casi (a) e (b), calcolare i gradienti idraulici e le velocità di flusso attraverso il profilo. Per il caso (c), determinare la profondità della falda.

  1. Data una superficie potenziometrica con una pendenza regionale di 7 m/km, calcolare il deflusso naturale delle acque sotterranee attraverso una falda acquifera confinata con trasmissività, T = 0,002 m2/s.
  1. Dimostra tramite analisi dimensionale dall’Eq. S = ρgb (α + nβ) che l’immagazzinamento è adimensionale.
    1. Una falda acquifera orizzontale è coperta da 50 piedi di argilla satura. Il peso specifico (o peso unitario a secco) dell’argilla è 120 lb/ft3. Il peso specifico dell’acqua è di 62,4 lb/ft3. Calcolare lo sforzo totale che agisce sulla parte superiore del falda acquifera.
    2. Se il carico di pressione nella falda acquifera è di 100 piedi, calcolare lo sforzo efficace nella falda acquifera.
    3. Se la falda acquifera viene pompata e il carico idraulico ad un certo punto viene ridotta di 10 ft, quali saranno i cambiamenti risultanti nel cario di pressione, nella pressione del fluido, nello sforzo efficace e nello sforzo totale?
    4. Se la compressibilità della falda acquifera è di 10–6ft2/lb e il suo spessore è di 25 piedi, quanta compattazione subirà l’acquifero durante la riduzione del carico come descritto in (c)?
    5. Se la porosità e la conducibilità idraulica della falda acquifera sono rispettivamente 0.30 e 10 gal/day/ft2, calcola la trasmissività e l’immagazzinamento della falda. La comprimibilità dell’acqua è 2,1 × 10–8ft2/lb.

  1. Rivedi i problemi che sorgono nella definizione o nell’uso dei seguenti termini classica delle acque sotterranee: superficie potenziometrica, permeabilità e velocità di flusso delle acque sotterranee.