Revisione: Luca Alberti & Massimo Marchesi
I costituenti chimici e biochimici presenti nelle acque sotterranee ne determinano la loro utilità o meno per impieghi nel settore ad esempio industriale, agricolo e domestico. I costituenti disciolti in acqua forniscono indizi sulla sua storia idrogeologica, sulla sua influenza sul sottosuolo o sedimenti che ne sono stati attraversati, sulla presenza di depositi minerali e sulla sua origine all’interno del ciclo idrologico. I processi chimici che avvengono a carico delle acque sotterranee possono influenzare la resistenza dei materiali geologici fino a causare, in situazioni in cui non vengono riconosciuti prima, il cedimento ad esempio di pendii artificiali, dighe, scavi minerari ed altre opere d’interesse per l’uomo. Immagazzinare o smaltire sul o nel sottosuolo rifiuti industriali, agricoli e domestici sta diventando inoltre pratica sempre più comune. Proprio le conseguenze di tale pratica, che potrà essere sicura oppure pericolosa, dipendono in larga misura dai processi chimici e microbiologici che avvengono successivamente all’interno dell’acquifero. Nello studio dell’evoluzione del paesaggio è ipotesi comune che i processi fisici di erosione meccanica, espansione e contrazione termica, azione del gelo e movimenti di pendenza siano i fattori responsabili dominanti. Tuttavia, da un esame più dettagliato risulta evidente come spesso siano i processi chimici che avvengono nell’acquifero ad essere i veri fattori di controllo.
Lo scopo di questo capitolo è descrivere le proprietà e i principi geochimici che controllano il comportamento dei costituenti disciolti delle acque sotterranee. Una panoramica più esaustiva dello studio e dell’interpretazione delle caratteristiche chimiche dell’acqua in natura è fornita da Hem (1970) e da Stumm & Morgan (1970). La maggior parte dei principi geochimici descritti in questo capitolo sono basati sul concetto di equilibrio mentre gli esempi descritti nel Capitolo 7 indicherebbero tuttavia come molti dei processi idrochimici nella zona di falda procedano lentamente verso l’equilibrio chimico mentre solo pochi raramente lo raggiungono. Il lettore quindi potrebbe dubitare dell’utilità degli approcci all’equilibrio. Questi ultimi tuttavia mantengono un grande valore, in particolar modo per la loro capacità di stabilire condizioni al contorno per quanto riguarda molti dei processi chimici. La differenza fra le condizioni idrochimiche osservate e quelle stimate dai modelli con condizioni all’equilibrio potranno fornire indicazioni circa il comportamento del sistema, delineando quantomeno un quadro quantitativo all’interno del quale sarà possibile porre interrogativi appropriati.
3.1 Acque sotterranee e suoi costituenti chimici
Acqua ed elettroliti
L’acqua è formata dall’unione di due atomi di idrogeno con un atomo di ossigeno. L’atomo di ossigeno è legato agli atomi di idrogeno in modo asimmetrico, con un angolo di legame di 105°. Questa disposizione asimmetrica genera una carica elettrica sbilanciata che conferisce una caratteristica polare alla molecola. L’acqua allo stato liquido, sebbene la sua formula sia H2O o HOH, è composta da gruppi molecolari in con le molecole sono tenute insieme dal legame idrogeno. Si stima che ogni gruppo o cluster molecolare abbia una media di 130 molecole a 0 °C, 90 molecole a 20 °C e 60 molecole a 72 °C (Choppin, 1965). H180090 è una formula approssimativa per il cluster a 20 °C ad esempio.
L’acqua è insolita in quanto la densità della fase solida, il ghiaccio, è sostanzialmente inferiore alla densità della fase liquida cioè l’acqua. Nella fase liquida la densità massima viene raggiunta a 4 °C. Con un ulteriore raffreddamento al di sotto di questa temperatura si ha una diminuzione significativa della densità.
Molti degli elementi chimici hanno due o più isotopi. In questo libro, tuttavia viene fatto riferimento solo agli isotopi che forniscono utili informazioni idrologiche o geochimiche. La formula H2O è una semplificazione sia dal punto di vista strutturale che atomico. L’acqua naturale può essere infatti una miscela dei sei nuclidi elencati nella Tabella 3.1. La natura atomica degli isotopi di idrogeno è illustrata nella Figura 3.1. Usando tutti questi nuclidi, sono possibili 18 combinazioni per la molecola H-O-H. 2H216O, 1H218O, 3H217O sono alcuni esempi delle molecole che comprende l’acqua, che nella sua forma più comune è 1H2160. Dei sei isotopi di idrogeno e ossigeno della Tabella 3.1, cinque sono stabili mentre uno è radioattivo, 3H noto come trizio, caratterizzato da un’emivita di 12,3 anni.
Isotopo | Abbondanza relativa (%) |
Tipologia | |
1H | Prozio | 99.984 | Stabile |
2H | Deuterio | 0.016 | Stabile |
3H | Trizio | 0 – 10–15 | Radioattivo con emivita di 12,3 anni |
16O | Ossigeno | 99.76 | Stabile |
17O | Ossigeno | 0.04 | Stabile |
18O | Ossigeno | 0.20 | Stabile |
14C | carbon | <0.001 | Radioattivo con emivita di 5730 anni |
L’acqua pura contiene idrogeno e ossigeno sia nella forma ionica che nella forma molecolare combinata. Gli ioni sono formati dalla dissociazione dell’acqua,
(3.1)
dove i segni più e meno indicano la carica delle rispettive specie ioniche. L’idrogeno può presentarsi in forme molto diverse, come illustrato nella Figura 3.2. Sebbene la forma ionica dell’idrogeno in acqua sia solitamente espressa nelle equazioni chimiche come H+, si trova normalmente nella forma H3O+, denotata da un nucleo di idrogeno circondato da ossigeno con quattro coppie di nubi elettroniche. Nelle discussioni sulle interazioni minerali delle acque sotterranee, un processo noto come trasferimento protonico, indica il trasferimento di un H+ tra componenti o fasi.
L’acqua è un solvente per molti sali e per alcuni tipi di sostanza organica. L’acqua è efficace nel dissolvere i sali perché ha una costante dielettrica molto alta e perché le sue molecole tendono a combinarsi con gli ioni per formare ioni idrati. L’agitazione termica degli ioni in molti materiali è sufficientemente grande da superare l’attrazione di carica relativamente debole che esiste invece quando questi sono circondati dall’acqua, consentendo così ad un gran numero di ioni di dissociarsi in soluzione acquosa. La stabilità degli ioni nella soluzione acquosa è favorita dalla formazione di ioni idrati. Ogni ione caricato positivamente, noto come catione, attrae le estremità negative delle molecole polari di acqua, legandosi a diverse molecole in una disposizione relativamente stabile. Il numero di molecole d’acqua collegate ad un catione è determinato dalla dimensione dello stesso. Ad esempio, il piccolo catione Be2+ forma lo ione idrato Be (H2O)42+. Gli ioni più grandi, come Mg2+ o Al3+, hanno forme idrate come Mg (H2O)62+ e Al (H2O)63+. Le specie cariche negativamente, conosciute come anioni, mostrano una tendenza molto più debole all’idratazione. In questo caso, gli anioni attraggono le estremità positive delle molecole polari di acqua. Le dimensioni degli ioni nella loro forma idrata hanno importanti risvolti circa i molti processi che si verificano nel sistema delle acque sotterranee.
Come risultato delle interazioni chimiche e biochimiche tra l’acqua di falda e i materiali geologici attraverso cui scorre, e, in misura minore dei contributi atmosferici e da quelli dei corpi idrici superficiali, le acque sotterranee contengono un’ampia varietà di costituenti chimici inorganici disciolti in varie concentrazioni. La concentrazione dei solidi totali disciolti (dall’inglese Total Dissolved Solids, TDS) nelle acque sotterranee è determinata pesando il residuo solido che è ottenuto facendo evaporare un volume noto di campione filtrato a secco. Il residuo solido quasi invariabilmente consiste di costituenti inorganici e solo in quantità molto piccole a materia organica. Le concentrazioni di TDS nelle acque sotterranee possono variare di vari ordini di grandezza. Uno schema semplice ma ampiamente utilizzato per classificare le acque sotterranee basate sul TDS è presentato nella Tabella 3.2. Per avere un’ideacirca questi intervalli di concentrazione, può essere utile notare come l’acqua contenente più di 2000–3000 mg/ℓ di TDS è considerata troppo salata per essere utilizzata a scopo potabile. Il TDS dell’acqua di mare è di circa 35.000 mg/ℓ.
Categoria | Totale dei Sali disciolti (mg/ℓ o g/m3) |
Acque non saline | 0 – 1000 |
Acque salmastre | 1000 – 10000 |
Acque saline | 10000 – 100000 |
Brine | Più di 100000 |
Le acque sotterranee possono essere viste come una soluzione elettrolitica in quanto quasi tutti i suoi costituenti disciolti, principali e minori, sono presenti in forma ionica. Un’indicazione generale dei costituenti ionici totali disciolti può essere ottenuta determinando la capacità dell’acqua di condurre una corrente elettrica applicata. Questa proprietà viene solitamente riportata come conducibilità elettrica ed è espressa in termini di conduttanza di un cubo d’acqua con un lato di 1 cm2. È il reciproco della resistenza elettrica e ha unità note nel sistema SI come siemens (S) o microsiemens (μS). In passato queste unità erano conosciute come millimhos e micromhos. I valori sono gli stessi; sono cambiate solo le denominazioni. La conducibilità delle acque sotterranee varia da diverse decine di microsiemens per l’acqua non salina come l’acqua piovana, a centinaia di migliaia di microsiemens per le acque salmastre nei bacini sedimentari profondi.
Una classificazione delle specie inorganiche presenti nelle acque sotterranee è mostrata nella Tabella 3.3. Le categorie di concentrazione rappresentano solo una guida generale. In alcune falde acquifere, vengono superati gli intervalli di concentrazione. I principali costituenti della Tabella 3.3 si presentano principalmente in forma ionica e sono comunemente chiamati ioni maggiori (Na+, Mg2+, Ca2+, Cl–, , SO42–). La concentrazione totale di questi sei ioni maggiori normalmente comprende oltre il 90% dei solidi totali disciolti in acqua, indipendentemente dal fatto che l’acqua sia diluita o che abbia salinità superiore a quella dell’acqua di mare.
Constituenti maggiorni (> di 5 mg/ℓ) | |
Bicarbonato | Silicio |
Calcio | Sodio |
Cloro | Solfato |
Magnesio | Acido carbonico |
Constituenti minori (0.01 – 10.0 mg/ℓ) | |
Boro | Nitrato |
Carbonato | Potassio |
Fluoruro | Stronzio |
Ferro | |
Constituenti in tracce (meno di 0.1 mg/ℓ) | |
Allumionio | Molibdeno |
Antimonio | Nichel |
Arsenico | Niobio |
Bario | Fosfato |
Berillio | Platino |
Bismuto | Radio |
Bromuro | Rubidio |
Cadmio | Rutenio |
Cerio | Scandio |
Cesio | Selenio |
Cromo | Argentio |
Cobalto | Tallio |
Rame | Torio |
Gallio | Stagno |
Germanio | Titanio |
Oro | Tungsteno |
Indio | Uranio |
Ioduro | Vanadio |
Lantanio | Itterbio |
Piombo | Yttrium |
Litio | Zinco |
Manganese | Zirconio |
Le concentrazioni dei costituenti inorganici maggiori, minori e in tracce nelle acque sotterranee sono controllate dalla disponibilità degli elementi nel terreno e dalla roccia attraverso cui l’acqua fluisce, da vincoli geochimici come la solubilità e l’adsorbimento, dai tassi (cinetici) dei processi geochimici e dalla sequenza in cui l’acqua è venuta a contatto con i vari minerali presenti nei materiali geologici lungo i percorsi di flusso. Ad oggi, le concentrazioni dei componenti inorganici disciolti risultano sempre più influenzati anche da attività antropogeniche. In alcuni casi, i contributi provenienti da fonti artificiali possono far si che alcuni degli elementi elencati come componenti minori o in tracce nella Tabella 3.3 si presentino come contaminanti, con livelli di concentrazione anche di alcuni ordini di magnitudine superiori agli intervalli indicati in Tabella.
Costituenti organici
I composti organici sono costituiti da carbonio, oltre che spesso da idrogeno e ossigeno come principali componenti elementari della loro struttura. Per definizione, il carbonio è l’elemento chiave. Le specie H2CO3, CO22–, e CO32–, che sono costituenti importanti in tutte le acque sotterranee, tuttavia non sono classificate come composti organici.
La materia organica disciolta è quasi sempre presente nelle acque sotterranee naturali sebbene le concentrazioni siano generalmente basse rispetto ai costituenti inorganici. Poco si sa sulla natura chimica della sostanza organica nelle acque sotterranee. Le indagini sull’acqua di suolo e acqua interstiziale suggeriscono come la maggior parte della sostanza organica disciolta nei sistemi di idrici sotterranei sia sottoforma di acidi umici e fulvici. Questi termini si riferiscono a particolari tipi di composti organici che persistono nelle acque del sottosuolo perché resistenti alla degradazione microbica. I relativi pesi molecolari variano fino a diverse migliaia di grammi/mole. Generalmente, il carbonio rappresenta circa la metà del peso della formula. Sebbene si sappia poco sull’origine e la composizione della sostanza organica nelle acque sotterranee, la determinazione delle concentrazioni totali di carbonio organico disciolto (DOC) sta diventando pratica comune nelle indagini delle acque sotterranee. Le concentrazioni nell’intervallo tra 0,1-10 mg/ℓ sono piuttosto comuni, anche in alcune situazioni i valori possono arrivare fino a diverse decine di mg/ℓ.
Gas disciolti
I gas disciolti più abbondanti nelle acque sotterranee sono N2, O2, CO2, CH4 (metano), H2S e N2O. I primi tre sono i principali costituenti dell’atmosfera terrestre e non sorprende quindi che si rinvengano nelle acque sotterranee. CH4, H2S e N2O possono spesso esistere nelle acque sotterranee in concentrazioni significative come prodotto di processi biogeochimici che possono verificarsi ad esempio in zone sotto superficiali non areate. Come verrà mostrato più avanti in questo capitolo e nel Capitolo 7, le concentrazioni di questi gas possono servire come indicatori delle condizioni geochimiche nelle acque sotterranee.
I gas disciolti possono avere un’influenza significativa sull’ambiente idrochimico subsuperficiale. Possono limitare l’utilità delle falde acquifere e, in alcuni casi, possono persino causare gravi problemi o addirittura pericoli. Ad esempio, a causa del suo odore, l’H2S a concentrazioni superiori a circa 1 mg/ℓ rende l’acqua inadatta al consumo umano. lo sprigionarsi di CH4 da una soluzione può causare accumuli in pozzi o edifici, causando rischi di esplosione. I gas che escono dalla soluzione possono formare bolle in pozzi, schermi o pompe, causando una riduzione della produttività o dell’efficienza per il pozzo stesso. Il Radon 222 (222Rn), che è un costituente comune delle acque sotterranee poiché è un prodotto di decadimento dell’uranio radioattivo e del torio, entrambi comuni nelle rocce o nei terreni, può accumularsi a concentrazioni indesiderate in cantine non ventilate. I prodotti di decadimento del Radon 222 possono essere pericolosi per la salute umana.
Altre specie di gas disciolti, che si trovano nelle acque sotterranee in quantità minime, possono fornire informazioni su fonti d’acqua, età o altri fattori di interesse idrologico o geochimico. Notevoli a questo riguardo sono Ar, He, Kr, Ne e Xe, per i quali gli usi negli studi sulle acque sotterranee sono stati descritti da Sugisaki (1959, 1961) e Mazor (1972).
Unità di concentrazione
Per avere una discussione significativa circa gli aspetti chimici delle acque sotterranee è necessario specificare le quantità relative di soluto (i costituenti inorganici o organici disciolti) e di solvente (l’acqua). Ciò è possibile per mezzo di unità di concentrazione. Sono in uso vari tipi di unità di concentrazione.
La Molalità è definita come il numero di moli di soluto disciolto in una massa di 1 kg di solvente. Questa è un’unità del SI con il simbolo mol/kg. Il simbolo SI derivato per questa quantità è mB, dove B indica il soluto. A invece è normalmente utilizzato per designare il solvente. Una mole di composto è l’equivalente del valore del peso molecolare.
La Molarità è il numero di moli di soluto in 1 m3 di soluzione. L’unità nel SI per la molarità è designata come mol/m3. È utile notare che 1 mol/m3 equivale anche a 1 mmol/ℓ. Moli per litro, con il simbolo mol/ℓ, è un’unità consentita per la molarità nel sistema SI ed è comunemente usata negli studi sulle acque sotterranee.
La Concentrazione di Massa è la massa di soluto disciolto in un determinato volume unitario di soluzione. L’unità del SI per questa quantità è di chilogrammi per metro cubo, con il simbolo kg/m3. Grammi per litro (g/ℓ) è un’unità SI consentita. L’unità di concentrazione di massa più comune riportata nella letteratura sulle acque sotterranee è milligrammi per litro (mg/ℓ). Poiché 1 mg/ℓ è uguale a 1 g/m3, non vi è differenza nell’entità di questa unità (mg/ℓ) e dell’unità di concentrazione SI consentita (g/m3).
Ci sono molte altre unità di concentrazione non-SI che compaiono comunemente nella letteratura sulle acque sotterranee. Equivalenti per litro (epℓ) è il numero di moli di soluto, moltiplicato per la valenza delle specie di soluto, in 1 litro di soluzione:
Equivalenti per milione (epm) è il numero di moli di soluto in 106 g di soluzione moltiplicato per la valenza delle specie di soluto; può essere indicato anche come il numero di equivalenti di milligrammi di soluto per chilogrammo di soluzione:
Parti per milione (ppm) è il numero di grammi di soluto per milione di grammi di soluzione
Per acque non saline, 1 ppm equivale a 1 g/m3 o 1 mg/ℓ. La frazione molare (XB) è il rapporto tra il numero di moli di una data specie di soluto e il numero totale di moli di tutti i componenti della soluzione. Se nB rappresenta il numero di moli di soluto, nA le moli di solvente, e nC, nD, . . . denotano il numero di moli degli altri soluti, la frazione molare del soluto B è
Oppure XB nel caso di soluzioni acquose può essere espresso come:
dove per m si intende la molalità.
Nelle procedure di analisi chimica, le quantità sono ottenute più convenientemente mediante l’uso di vetreria volumetrica. Pertanto, le concentrazioni vengono solitamente espresse in laboratorio in termini di massa di soluto in un dato volume di acqua. La maggior parte dei laboratori chimici riporta risultati analitici in milligrammi per litro o, in unità SI, come chilogrammi per metro cubo. Quando i risultati delle analisi chimiche sono usati in un contesto geochimico, di solito è necessario utilizzare i dati espressi in molalità o molarità poiché gli elementi si combinano per formare composti secondo relazioni tra moli anziché quantità di massa o peso. Per convertire in molarità i chilogrammi per metro cubo o milligrammi per litro, viene utilizzata la seguente relazione:
Nel caso l’acqua non presenti concentrazioni elevate di solidi totali disciolti e la temperatura sia vicina a 4 °C, 1 ℓ di soluzione pesa 1 kg; nel qual caso molalità e molarità sono equivalenti e 1 mg/ℓ corrisponderà a 1 ppm. A fini pratici, per acque con meno di 10.000 mg/ℓ di solidi totali disciolti circa e per temperature inferiori ai 100 °C circa può considerarsi avere una densità vicina a 1 kg/ℓ per gli equivalenti unitari sopra indicati. Per acque con salinità o temperatura più elevate si dovranno usare correzioni di densità durante la conversione tra le diverse unità con denominatori di massa e di volume.
3.2 Equilibrio chimico
La legge di azione di massa
Una delle relazioni più utili nell’analisi dei processi chimici nelle acque sotterranee è la legge dell’azione di massa. È noto da più di un secolo che la forza motrice di una reazione chimica è legata alle concentrazioni dei costituenti che stanno reagendo e alle concentrazioni dei prodotti della reazione. Consideriamo i costituenti B e C che reagiscono per produrre i prodotti D ed E,
(3.2)
dove b, c, d ed e sono il numero di moli dei costituenti chimici B, C, D, E, rispettivamente.
La legge dell’azione di massa esprime la relazione tra i reagenti e i prodotti quando la reazione è in equilibrio,
(3.3)
dove K è il coefficiente noto come costante di equilibrio termodinamico o costante di stabilità. Le parentesi indicano come la concentrazione del costituente sia quella termodinamicamente efficace, anche indicata come attività. L’equazione (3.3) indica che, per ogni diversa condizione iniziale, la reazione espressa nell’eq. (3.2) procederà finché reagenti e prodotti non raggiungeranno le loro attività di equilibrio. A seconda delle attività iniziali, la reazione potrebbe dover procedere verso sinistra o verso destra per raggiungere questa condizione di equilibrio.
La legge dell’azione di massa non contiene parametri che esprimano la velocità con cui procede la reazione, e quindi non ci dice nulla sulla cinetica del processo chimico. È strettamente una relazione di equilibrio. Ad esempio, si consideri la reazione che si verifica quando le acque fluiscono attraverso una falda acquifera calcarea composta da calcite (CaCO3). La reazione che descrive l’equilibrio termodinamico è:
(3.4)
Questa reazione procederà verso destra (dissoluzione minerale) o verso sinistra (precipitazione minerale) fino a quando non si raggiungerà l’equilibrio dell’azione di massa. Potrebbero essere necessari anni o persino migliaia di anni per raggiungere l’equilibrio. Dopo un disturbo nel sistema, come un’aggiunta di reagenti o la rimozione di prodotti, il sistema continuerà a procedere verso la condizione di equilibrio. Se la temperatura o la pressione cambiano, il sistema procederà verso un nuovo equilibrio in quanto il valore della K sarà cambiato. Se i disturbi sono frequenti rispetto alla velocità di reazione, l’equilibrio non sarà mai raggiunto. Come vedremo nel Capitolo 7, alcune interazioni chimiche tra acque sotterranee e materiali attraversati non raggiungono mai l’equilibrio.
Coefficienti di attività
Nella legge dell’azione di massa, le concentrazioni di soluti sono espresse come attività. Attività e molalità sono correlate da
(3.5)
dove ai è l’attività delle specie di soluto i, mi la molalità, e γi il coefficiente di attività. γ rappresenta le dimensioni della molalità reciproca (kg/mol), ai ed è quindi adimensionale. Ad eccezione delle acque con concentrazioni estremamente elevate in sali, γi è inferiore a 1 per le specie ioniche. Nel paragrafo precedente, l’attività veniva indicata come concentrazione termodinamicamente efficace, poiché è concettualmente conveniente considerarla come quella porzione di mi che effettivamente partecipa alla reazione. Il coefficiente di attività è quindi solo un fattore di correzione che può essere utilizzato per convertire le concentrazioni nella forma adatta per l’uso nella maggior parte delle equazioni termodinamiche.
Il coefficiente di attività di un dato soluto è lo stesso in tutte le soluzioni con una determinata forza ionica. La forza ionica è definita dalla relazione
(3.6)
dove mi è la molalità delle specie i, e zi, è la valenza, o carica, che lo ione porta. Per le acque sotterranee, in cui i sei ioni principali comuni sono gli unici costituenti ionici che presentano concentrazione significative,
(3.7)
dove le quantità tra parentesi sono le molalità. Per ottenere valori per γi, le relazioni grafiche di γ rispetto a I mostrate in Figura 3.3 possono essere utilizzate per i costituenti inorganici comuni, oppure a concentrazioni diluite può essere utilizzata una relazione nota come l’equazione di Debye-Hlickel (Appendice IV). A forze ioniche inferiori a circa 0,1, i coefficienti di attività per molti degli ioni meno comuni possono essere stimati dalla Tabella Kielland (inclusa nell’Appendice IV). Per una discussione delle basi teoriche riguardo le relazioni dei coefficienti di attività si rimanda il lettore a Babcock (1963). Il confronto tra i valori sperimentali e calcolati dei coefficienti di attività è riportato da Guenther (1968).
Equilibrio ed energia libera
Da un punto di vista termodinamico, lo stato di equilibrio è lo stato di massima stabilità verso il quale un sistema fisico-chimico chiuso procede attraverso processi irreversibili (Stumm & Morgan, 1970). I concetti di stabilità ed instabilità per un semplice sistema meccanico servono come approccio propedeutico verso lo sviluppo del concetto di equilibrio termodinamico. Esempi simili sono stati usati da Guggenheim (1949) e altri. Consideriamo tre diverse posizioni di “equilibrio” di una scatola rettangolare su una superficie orizzontale [Figura 3.4 (a)]. La posizione 3 è la posizione più stabile che può raggiungere la scatola. In questa posizione l’energia potenziale gravitazionale è al minimo, e se la posizione è leggermente disturbata, tornerà alla condizione di equilibrio stabile.
Anche nella posizione 1 la scatola si trova in una posizione di equilibrio, a cui ritornerà se solo leggermente perturbata. Ma in questa posizione l’energia potenziale non è al minimo, quindi viene indicata come equilibrio metastabile. Se la scatola in posizione 2 viene disturbata solo leggermente, questa si sposterà in una nuova posizione. La posizione 2 è quindi una condizione di equilibrio instabile.
Un’analogia tra il sistema meccanico e il sistema termodinamico è illustrata nella Figura 3.4 (b). Seguendo lo sviluppo di Stumm & Morgan (1970), un profilo ipotetico e generalizzato di energia o entropia viene mostrato come funzione dello stato del sistema. Le condizioni di equilibrio stabile, metastabile e instabile sono rappresentate da picchi positivi e negativi sulla funzione di energia o entropia. Se il sistema chimico esiste in condizioni chiuse e a temperatura e pressione costanti, la sua risposta al cambiamento può essere descritta in termini di una particolare funzione energetica conosciuta come energia libera di Gibbs, che prende il nome da Willard Gibbs, il fondatore della termodinamica classica. Questa direzione di cambiamento possibile in risposta al cambiamento di una variabile di composizione è accompagnata da una diminuzione dell’energia libera di Gibbs. Lo stato C è lo stato più stabile perché ha un’energia libera di Gibbs minima in condizioni di sistema chiuso a temperatura e pressione costanti. Lo stato A è stabile rispetto agli stati infinitesimali del sistema, ma è instabile rispetto a un cambiamento finito verso lo stato C. I processi naturali procedono verso stati di equilibrio e mai il contrario. Pertanto, l’equilibrio termodinamico si trova in condizioni di equilibrio metastabile e stabile ma mai in equilibrio instabile.
La forza motrice in una reazione chimica è comunemente rappresentata dall’energia libera di Gibbs di reazione, indicata come ΔGr. Per i sistemi a temperatura e pressione costanti, ΔGr rappresenta il cambiamento di energia interna per unità di massa, ed è una misura della capacità della reazione di eseguire lavori non meccanici. Poiché in questo testo il nostro obiettivo nell’uso dei dati termodinamici si concentra sulla determinazione delle direzioni in cui le reazioni procederanno e sull’ottenimento di valori numerici per le costanti di equilibrio, non è necessario considerare direttamente le componenti termodinamiche che compongono il ΔGr. Per uno sviluppo della teoria della termodinamica chimica, il lettore può far riferimento al testo di Denbigh (1966) e alla discussione completa della termodinamica dei sistemi del suolo di Babcock (1963).
La condizione dell’equilibrio chimico può essere definita come
∑ energia libera: prodotti – ∑ energia libera: reagenti = 0 (3.8)
Il prossimo passo in questo sviluppo è quello di correlare i cambiamenti di energia libera delle reazioni alle loro costanti di equilibrio. Per fare ciò è necessario un comodo sistema di misura dell’energia libera. L’energia libera standard di formazione, , è definita come l’energia libera della reazione per produrre 1 mole di una sostanza a partire dai suoi elementi stabili e in condizioni note come condizioni standard. All’energia libera standard degli elementi nel loro stato chimico puro più stabile viene assegnato per convenzione un valore di zero. Allo stesso modo, è conveniente prendere come zero l’
dello ione idrogeno. Per esempio, il carbonio come grafite e l’ossigeno come O2 hanno valori di
pari a zero, mentre 1 mole di anidride carbonica gassosa ha un valore di
di –386,41 kJ (–92,31 Kcal), corrispondente all’energia rilasciata quando si forma la CO2 da elementi stabili nel loro stato standard. Lo stato standard dell’acqua pura è definito come unità alla temperatura e alla pressione di reazione, e per i soluti è una concentrazione uni-molale in una condizione ipotetica in cui il coefficiente di attività è l’unità o, in altre parole, in una condizione in cui l’attività è uguale alla molalità. Per il gas, lo stato standard è un gas puro (ideale) con una pressione totale di 1 bar alla temperatura di reazione. Questo sistema di stati standard definiti arbitrariamente può sembrare a prima vista inutilmente complesso, tuttavia permette di costituire un sistema di misura referenziato. Una discussione più dettagliata degli stati standard è fornita da Berner (1971).
La variazione standard della reazione di energia libera, , è la sommatoria delle energie libere di formazione dei prodotti nei loro stati standard, meno la sommatoria delle energie libere di formazione dei reagenti, sempre nei loro stati standard:
(3.9)
In base alla reazione generale nell’eq. (3.2), il cambiamento di energia libera della reazione è correlato al cambiamento di energia libera standard e alle attività di ciascuno dei reagenti e dei prodotti misurati alla stessa temperatura, come riportato dall’espressione
(3.10)
dove R è la costante universale del gas e T la temperatura in gradi Kelvin. A 25 °C, R = 8,314 J/K • mol oppure 0,001987 Kcal/K • mol. La conversione delle temperature sulla scala Celsius a quelle sulla scala Kelvin avviene tramite la relazione K = °C + 273,15. Affinché una reazione chimica proceda spontaneamente nella direzione indicata, l’ΔGr deve essere inferiore a zero 0, in altre parole, deve esserci una diminuzione netta dell’energia libera. Se ΔGr > 0, la reazione può procedere solo da destra verso sinistra. Se ΔGr = O, la reazione non procederà in nessuna direzione, in quanto è stata raggiunta la condizione di equilibrio. In conformità con la nostra definizione dello stato standard per i soluti (condizioni uni-molali, dove γ = 1), = ΔGr nello stato standard poichè [D]d[E]e/[B]b[C]c = 1, e quindi il logaritmo naturale di questo termine è zero. La sostituzione della relazione per la costante di equilibrio [Eq. (3.3)] nell’Eq (3.10) per condizioni di equilibrio risulta:
(3.11)
In condizioni standard, la costante di equilibrio può essere ottenuta dai dati di energia libera mediante le relazioni
(3.12)
dove può essere ottenuto dall’Eq. (3.9) utilizzando i dati
. I valori per
a 25 °C e 1 bar sono stati tabulati per migliaia di minerali, gas e specie acquose che si rinvengono nei sistemi geologici (Rossini et al., 1952; Sillen & Martell, 1964, 1971). Tavole meno complete, che sono utili per gli studenti, sono incluse nei testi di Garrels & Christ (1965), Krauskopf (1967) e Berner (1971).
Rispetto all’abbondanza di dati per condizioni a 25 °C e pressione totale di 1 bar, vi è una scarsità di dati per altre temperature e pressioni. La pressione ha solo un leggero effetto sui valori
e di conseguenza poca influenza sulla costante di equilibrio. A fini pratici, le variazioni in K in funzione delle variazioni sulle pressioni dei fluidi che si incontrano normalmente nelle prime centinaia di metri della crosta terrestre possono essere considerate trascurabili. Cambiamenti di diversi gradi tuttavia, possono causare cambiamenti significativi nella costante di equilibrio. Per ottenere stime dei valori di K ad altre temperature, può essere usata un’espressione nota come van’t Hoff, che prende il nome da un chimico fisico olandese che ha dato importanti contributi alla fine del 1800 e all’inizio del 1900 alla comprensione del comportamento di una soluzione:
(3.13)
dove T* è la temperatura di riferimento, solitamente 298,15 K (25 °C), T la temperatura della soluzione e ΔHT l’entalpia. I dati di entalpia per molti dei minerali, gas e specie disciolte di interesse sono tabulati nelle tabelle di cui sopra. Poiché l’equazione di van’t Hoff considera solo due temperature e assume una relazione lineare tra di esse, fornisce solo valori approssimativi. L’approccio migliore consiste nello sviluppare relazioni di interpolazione specifiche dai dati di energia libera in un ampio intervallo di temperature, se tali dati sono disponibili.
Per illustrare l’uso dei dati in modo da ottenere le costanti di equilibrio si può considerare la reazione di dissoluzione della calcite come espressa nell’Eq. (3.4). I valori di
per le forme pure di CaCO3, Ca2+ e CO32– sono –1129,10, 553,04 e –528,10 kJ, rispettivamente, a 25 °C e 1 bar di pressione. L’energia libera standard della reazione è quindi:
Gas disciolti
Quando l’acqua è esposta a una fase gassosa, viene stabilito un equilibrio tra il gas e il liquido con uno scambio di molecole nell’interfaccia liquido-gas. Se la fase gassosa è una miscela di più di un gas, verrà stabilito un equilibrio per ciascun gas. La pressione che ciascun gas presente nella miscela esercita è la sua pressione parziale, definita come la pressione che il componente specifico del gas eserciterebbe se occupasse lo stesso volume se fosse da solo. La legge delle pressioni parziali di Dalton afferma che in una miscela di gas, la pressione totale è uguale alla somma delle pressioni parziali. La pressione parziale di un vapore è anche indicata come la tensione di vapore.
Le acque sotterranee contengono gas disciolti come risultato (1) dell’esposizione all’atmosfera terrestre prima dell’infiltrazione nel sottosuolo, (2) del contatto con i gas del suolo durante l’infiltrazione attraverso la zona insatura e (3) della produzione di gas al di sotto della tavola d’acqua a seguito di reazioni chimiche e biochimiche all’interno dell’acquifero, dovuto a minerali, materia organica e attività batterica.
Probabilmente il più importante dei gas disciolti nelle acque sotterranee è la CO2. Due reazioni che descrivono l’interazione tra la CO2 gassosa e le sue specie dissolte sono,
(3.14)
(3.15)
dove i suffissi (g) e (aq) indicano rispettivamente le specie gassose e disciolte. Il rapporto di CO2 (aq)/H2CO3 è molto maggiore dell’unità nelle soluzioni acquose; tuttavia, è consuetudine denotare tutta la CO2 disciolta in acqua come H2CO3 (acido carbonico). Questa assunzione è valida fintanto che ci sia una coerenza durante il trattamento dei dati di queste specie molecolari disciolte. Questi argomenti sono discussi in dettaglio da Kern (1960).
La pressione parziale di un gas disciolto è la pressione parziale in condizioni di equilibrio qualora il gas disciolto in soluzione fosse in contatto con la fase gassosa. È tuttavia comune riferirsi alla pressione parziale di un soluto come H2CO3 o O2 disciolto anche quando l’acqua si trova isolata dalla fase gassosa. Ad esempio, possiamo fare riferimento alla pressione parziale della CO2 disciolta nelle acque sotterranee anche se l’acqua è isolata dall’atmosfera terrestre e dai gas negli spazi aperti dei pori nella zona non satura.
Nelle soluzioni diluite la pressione parziale di un soluto, espressa in bar (1 bar = 105N/m2), è proporzionale alla sua molalità. Questo comportamento è riportato attraverso la legge di Henry ed è applicabile a gas che non sono molto solubili, come CO2, O2, N2, CH4 e H2S. Dall’applicazione della legge di azione di massa all’Eq. (3.15),
(3.16)
Dal momento che l’attività della H2O è unitaria ad eccezione di soluzioni molto saline e, poiché la pressione parziale della CO2 espressa in bar è uguale alla sua molalità, l’Eq. (3.16) può essere espressa come
(3.17)
dove γCO2 è il coefficiente di attività per la CO2 disciolta e PCO2 è la pressione parziale espressa in bar. Attraverso questa espressione si può calcolare la pressione parziale della CO2 che esisterebbe all’equilibrio con una soluzione di H2CO3 con attività nota. I coefficienti di attività per specie solute senza carica come gas disciolti (CO2, O2, H2S, N2, ecc.) sono più grandi dell’unità. La solubilità di questi gas nell’acqua diminuisce quindi con l’aumentare della forza ionica. Questo effetto è noto come effetto del salting out.
Oltre alla sua dipendenza dalla forza ionica, il coefficiente di attività può essere influenzato dal tipo di elettrolita presente in acqua. Ad esempio, ad una data forza ionica, la CO2 è meno solubile (cioè ha un coefficiente di attività più grande) in una soluzione di NaCl rispetto che in una soluzione di KCI. La maggior parte dei problemi geochimici di interesse in idrogeologia coinvolge soluzioni a forza ionica inferiore a 0,1 o 0,2. È pratica comune, quindi, che il coefficiente di attività del gas disciolto sia approssimato all’unità. Di conseguenza, in queste condizioni, l’Eq. (3.17) si riduce alla relazione
3.3 Associazione e dissociazione delle specie disciolte
Condizione di elettroneutralità
Prima di procedere con una discussione dei processi e delle conseguenze delle interazioni chimiche tra le acque sotterranee e i materiali geologici che attraversano, verrà considerato il comportamento dei costituenti disciolti nella fase liquida senza interazioni con le fasi solide.
Una condizione fondamentale delle soluzioni elettrolitiche è che su scala macroscopica, piuttosto che su scala molecolare, esiste una condizione di elettroneutralità. La sommatoria delle cariche ioniche positive è uguale alla sommatoria delle cariche ioniche negative, o
(3.19)
dove z è la valenza ionica, mc la molalità delle specie cationiche, e ma la molalità delle specie anioniche. Questa è nota come equazione di elettroneutralità o equazione di carica e viene utilizzata in quasi tutti i calcoli che riguardano le interazioni di equilibrio tra acqua e materiali litologici.
Un’indicazione della precisione dei dati di analisi dell’acqua può essere ottenuta utilizzando l’equazione del bilancio di carica. Ad esempio, se per un campione di acqua vengono analizzati i costituenti maggiori elencati in Tabella 3.3 e se relative concentrazioni sono sostituite nell’Eq. (3.19) come
(3.20)
le quantità ottenute sui lati sinistro e destro dell’equazione dovrebbero essere approssimativamente uguali. Il silicio non è incluso in questa relazione perché si verifica in una forma neutra piuttosto che in una carica. Se si verifica una deviazione significativa dall’uguaglianza, devono esserci (1) errori analitici nelle determinazioni della concentrazione o (2) specie ioniche a livelli di concentrazione significativi che non sono stati inclusi nell’analisi. È pratica comune esprimere la deviazione dall’uguaglianza nella forma
(3.21)
dove E è l’errore di bilanciamento della carica espresso in percentuale e gli altri termini sono come sopra definiti.
I laboratori di analisi delle acque considerano normalmente accettabile un errore di bilanciamento della carica inferiore al 5% circa, sebbene per alcuni tipi di acque sotterranee molti laboratori ottengano costantemente risultati con errori molto più piccoli di questo. Va tenuto presente che un errore accettabile di bilanciamento della carica può verificarsi in situazioni in cui errori di grandi dimensioni nelle singole analisi degli ioni si bilanciano tra loro. Pertanto, la valutazione dell’errore di bilanciamento della carica non può essere utilizzata come unico mezzo per rilevare errori analitici.
Ai fini del calcolo dell’errore di bilanciamento della carica, i risultati delle analisi chimiche sono talvolta espressi come milliequivalenti per litro. Quando queste unità vengono utilizzate, i termini di valenza vengono omessi dall’Eq. (3.20).
Dissociazione e attività dell’acqua
Allo stato liquido l’acqua subisce la dissociazione all’ equilibrio,
(3.22)
che può essere espressa secondo la legge di azione di massa,
(3.23)
Dove le parentesi quadrate indicano le attività. Si ricorderà che l’attività dell’acqua pura è definita come unità alle condizioni di stato standard. La condizione di riferimento di 25 °C ad 1 bar verrà utilizzata. Poiché il vapore acqueo a basse o moderate pressioni si comporta come un gas ideale, l’attività dell’acqua in soluzione acquosa può essere espressa come
(3.24)
dove è la pressione parziale del vapore per l’acqua pura e PH2O è la pressione parziale del vapore per la soluzione acquosa. A 25 °C e 1 bar, l’attività dell’acqua in una soluzione di NaCl ad una concentrazione simile a quella nell’acqua di mare, che è circa il 3%, è 0,98 e in una soluzione di NaCl al 20% è 0,84. Quindi, tranne per acque molto concentrate come quelle salmastre, l’attività dell’acqua possono, per fini pratici, può essere considerata come unità. In questo caso,
(3.25)
I valori per Kw a temperature comprese tra 0 e 50 °C sono elencati nella Tabella 3.4. Dal momento che l’effetto della pressione del fluido è molto leggero, questa espressione è accettabile anche per le pressioni alte fino a circa 100 bar. A 1000 bar e a 25 °C, l’attività dell’acqua è 2,062 (Garrels & Christ, 1965).
t (°C) | Kw × 10–14 |
0 | 0.1139 |
5 | 0.1846 |
10 | 0.2920 |
15 | 0.4505 |
20 | 0.6809 |
25 | 1.008 |
30 | 1.469 |
35 | 2.089 |
40 | 2.919 |
45 | 4.018 |
50 | 5.474 |
55 | 7.297 |
60 | 9.614 |
Poiché il pH è definito come il logaritmo negativo dell’attività degli ioni idrogeno, per l’acqua a 25 °C e pH 7 le attività di H+ e OH– equivalgono a ([H+] = [OH–] = 1,00 × 10–7). A temperature più basse, l’uguaglianza delle attività H+ e OH– avviene a più alti valori di pH e viceversa per temperature più elevate. Ad esempio, a 0 °C l’uguaglianza si verifica a pH 7,53 e a 50 °C a pH 6,63.
Acidi poliprotici
L’acido più importante nelle falde acquifere naturali e in quelle contaminate è l’acido carbonico (H2CO3), che si forma quando il biossido di carbonio (CO2) si combina all’acqua [Eq. (3.15)]. L’acido carbonico può dissociarsi in più step trasferendo ioni idrogeno (protoni) attraverso le reazioni
(3.26)
(3.27)
Perché gli ioni idrogeno sono comunemente definiti dai chimici protoni e poiché è coinvolta più di una dissociazione idrogeno-ione, l’acido carbonico è noto come acido poliprotico. Un altro acido poliprotico che si rinviene nelle acque sotterranee, sebbene in concentrazioni molto minori rispetto all’acido carbonico, è l’acido fosforico, che si dissocia in tre fasi:
(3.28)
(3.29)
(3.30)
Poiché le equazioni di dissociazione per gli acidi poliprotici coinvolgono tutte gli ioni H+, è possibile calcolare la frazione dell’acido nella sua forma molecolare o in qualsiasi delle sue forme anioniche in funzione del pH. Ad esempio, per l’acido carbonico, le costanti di dissociazione secondo le Eq. (3.26) e (3.27) possono essere espresse in relazione alla legge di azione di massa come
(3.31)
(3.32)
Un’equazione di bilancio di massa per il carbonio sia in forma di acido che nelle sue specie dissociate anioniche, espressa in molalità è
(3.33)
dove DIC è la concentrazione di carbonio inorganico totale disciolto in queste specie. Selezionando un valore arbitrario di 1 per il DIC, e ri-esprimendo l’Eq. (3.33) in termini di pH, , KH2CO3 e
e poi in termini di pH, CO32–, e le costanti dissociazione, è possibile ottenere le equazioni per la concentrazione relativa di H2CO3,
e CO32– in funzione del pH. Queste sono rappresentate graficamente in Figura 3.5 (a).
A pH più bassi, l’H2CO3 è la specie dominante mentre a pH maggiori, è il CO32– la specie dominante. Per intervalli di pH che normalmente si misurano nelle acque sotterranee (6–9), è la specie carbonatica dominante. Questo è il motivo per cui l’
, piuttosto che CO32– o H2CO3, è elencato nella Tabella 3.3 come uno dei principali costituenti inorganici disciolti nelle acque sotterranee. Seguendo un’analisi simile, si possono ottenere le concentrazioni relative di fosfato disciolto, mostrate in Figura 3.5 (b). Nel normale intervallo di pH di acque sotterranee,
e HPO42– rappresentano le specie dominanti.
Complessi di ioni
Le analisi chimiche dei costituenti disciolti nelle acque sotterranee indicano le concentrazioni totali dei costituenti, ma non indicano la forma in cui si rinvengono. Alcuni costituenti sono presenti quasi interamente nella semplice forma ionica. Per esempio, il cloro è presente come lo ione cloruro, CI–. Calcio e magnesio, tuttavia, sono presenti nella forma ionica libera, Ca2+ e Mg2+, nelle associazioni di ioni inorganici come le specie non cariche (zero-valenza), ,
,
e
, e le associazioni cariche,
e
. Queste associazioni cariche e non sono note come complessi o, in alcuni casi, come coppie di ioni. I complessi si formano a causa delle forze di attrazione elettrica tra gli ioni di carica opposta. Alcune specie inorganiche, come l’alluminio, si presentano nella forma disciolta come Al3+, come complesso carico positivamente o coppia di ioni, [Al(OH)]2+, e come complessi con legami covalenti come [Al2(OH)2]4+, [Al6(OH15)]3+ e [Al(OH)4]–. La concentrazione totale disciolta di una specie inorganica Cipuò essere espressa come
(3.34)
La presenza di complessi ionici può essere trattata usando la legge dell’azione di massa. Per esempio, la formazione di può essere espressa come
(3.35)
con la relazione all’equilibrio
(3.36)
dove è la costante di equilibrio termodinamico, a volte indicata come la costante di dissociazione, e i termini tra parentesi indicano le relative attività. I valori di concentrazione per gli ioni liberi sono legati alle attività attraverso la forza ionica contro le relazioni dei coefficienti di attività descritte nel Paragrafo 3.2. Il coefficiente di attività per il complesso neutro,
, è inteso come unità. Valori per
e costanti di equilibrio per altre coppie inorganiche e complessi può essere calcolato usando l’Eq. (3.12).
La Tabella 3.5 mostra i risultati di un’analisi chimica delle acque sotterranee espressi in milligrammi per litro (o grammi per metro cubo) e molalità. Le concentrazioni di ioni liberi e complessi di ioni inorganici sono state calcolate dal totale delle concentrazioni analitiche nel modo descritto di seguito. In questo esempio (Tabella 3.5), gli unici complessi che si osservano in concentrazioni apprezzabili sono quelli di solfato; il 18% del solfato totale è complessato. Quando l’acqua di falda presenta cospicue concentrazioni in solfato, i relativi complessi sono generalmente abbastanza importanti. La procedura secondo cui è stata calcolata la concentrazione dei complessi degli ioni liberi nella Tabella 3.5 è descritta da Garrels & Christ (1965) e Truesdell & Jones (1974).
Risultati analitici da laboratorio | Specie disciolte calcolate | |||||
Costituenti disciolti | mg/ℓ o g/m3 | Molalità × 10–3 | Concentrazione ione libero (molalità × 10–3) |
SO42– Coppie di ioni* (molalità × 10–3) |
![]() Coppie di ioni† (molalità × 10–3) |
CO32– Coppie di ioni‡ (molalità × 10–3) |
Ca | 136 | 3.40 | 2.61 | 0.69 | 0.09 | 0.007 |
Mg | 63 | 2.59 | 2.00 | 0.47 | 0.12 | 0.004 |
Na | 325 | 14.13 | 14.0 | 0.07 | 0.06 | 0.001 |
K | 9.0 | 0.23 | 0.23 | 0.003 | <0.0001 | <0.0001 |
Cl | 40 | 1.0 | 1.0 | |||
SO4 | 640 | 6.67 | 5.43 | |||
HCO3 | 651 | 10.67 | 10.4 | |||
CO3 | 0.12 | 0.020 | 0.0086 | |||
DIC | 147.5 | 12.29 | CO32–, DIC calcolato dai dati di HCO3 e pH | |||
Temp. = 10°C, pH = 7.20, pressione parziale CO2 (calcolata) = 3.04 × 10–2 bar |

∑ cationi (calcolati) = 23.64 meq/ℓ

Errore nel totale catione-anione (errore di bilancio di carica) (analitico) = 2.9%
Errore nel totale catione-anione (errore di bilancio di carica) (calcolato) = 2.7%
* complessi = CaSO
, MgSO
, NaSO
, Na
, SO
, KSO
.
† complessi = CaHCO
, MgHCO
, NaHCO
.
‡ complessi = CaCO
, MgCO
, NaCO
.
I costituenti inorganici nelle acque sotterranee possono anche formare complessi disciolti con composti organici come acidi fulvici e umici. Nelle acque sotterranee naturali, che raramente presentano carbonio organico disciolto a concentrazioni maggiori di 10 mg/ℓ, la complessazione degli ioni maggiori con la sostanza organica disciolta è considerata trascurabile. Nelle acque sotterranee contaminate, invece, grazie alla formazione di complessi organici, il movimento di sostanze pericolose inorganiche può raggiungere tassi elevati.
Il calcolo delle specie disciolte
A seconda dei metodi analitici adottati in laboratorio, i risultati dell’analisi del carbonio inorganico possono essere espressi come carbonio inorganico totale disciolto (DIC) o come . Ciascuno di questi tipi di dati possono essere utilizzati, in combinazione con valori di pH, in modo da calcolare le concentrazioni di H2CO3, CO32–,
o DIC, e la pressione parziale della CO2. Le equazioni (3.18), (3.20), (3.31), (3.32) e (3.33) servono come base per i calcoli. Se l’acqua non è salina, l’attività dell’H2O e i coefficienti di attività per CO2 e H2CO3 sono considerati come unità. Deve essere tenuto presente che le Eq. (3.18), (3.31) e (3.32) sono espresse in attività, mentre le Eq. (3.20) e (3.33) richiedono le molalità. Se nell’analisi chimica di un campione d’acqua, sono determinati la concentrazione di
e il pH, può essere utilizzata l’Eq. (3.31), insieme all’Eq. (3.5) per la conversione tra concentrazioni e attività, per ottenere così l’attività e la concentrazione del H2CO3. Sostituendo l’attività del H2CO3 nell’eq. (3.18) si ottiene la pressione parziale della CO2 in bar. L’attività dello ione CO32– può essere calcolata secondo (3.32) e poi convertita in concentrazione grazie all’ Eq. (3.5). La sostituzione dei valori di concentrazione in (3.33) portano quindi alla determinazione della concentrazione di DIC. L’accuratezza del risultato calcolato dipende fortemente dalla precisione nella misurazione del pH. Per ottenere dati di pH affidabili, è necessario effettuare le misurazioni del pH in situ. Questo è discusso ulteriormente nella Sezione 3.9.
Nella seguente illustrazione del metodo per il calcolo degli ioni liberi e delle concentrazioni dei complessi, si supporrà che solamente i complessi catione-solfato si rinvengono in concentrazioni significative. Le relazioni di equilibrio di interesse sono, quindi,
(3.37)
(3.38)
(3.39)
Per il principio di conservazione di massa, è possibile scrivere
(3.40)
(3.41)
(3.42)
(3.43)
Le concentrazioni di Ca (totale), Mg (totale), Na (totale) e SO4 (totale) sono quelle ottenute dall’analisi di laboratorio. Abbiamo quindi sette equazioni e sette incognite (Na+, Mg+, Ca2+, SO42–, ,
e
). Le equazioni possono essere risolte manualmente usando il metodo delle approssimazioni successive descritto da Garrels and Christ (1965). La conversione tra attività e molalità è realizzata usando forza ionica contro coefficiente di attività come indicato nelle discussioni sulle Eqs. (3.5) e (3.6). In molti casi la forza ionica calcolata dai valori di concentrazione totale ha una precisione accettabile. In soluzioni saline, tuttavia, la forza ionica dovrebbe essere regolata in base all’effetto dei complessi.
Il processo di calcolo delle concentrazioni per gli ioni liberi e complessi può essere piuttosto tedioso e dispendioso in termini di tempo, in particolare quando solfato, bicarbonato, e complessi carbonatici sono tutti inclusi nei calcoli. A tal scopo negli ultimi anni è diventato sempre più comune l’utilizzo di programmi specifici, ad esempio quelli di Truesdell & Jones (1974) o di Kharaka & Barnes (1973), utilizzati per ottenere i risultati elencati nella Tabella 3.5. L’elaborazione di dati chimici relativi alle acque sotterranee mediante programmi di questo tipo sta diventando una procedura relativamente standard nelle situazioni in cui si desidera interpretare le analisi chimiche in un quadro geochimico.
3.4 Gli effetti dei gradienti di concentrazione
La diffusione nelle soluzioni rappresenta il processo attraverso il quale i costituenti ionici o molecolari si muovono sotto l’influenza della loro attività cinetica nella direzione del loro gradiente di concentrazione. La diffusione avviene in assenza di movimenti idraulici di massa della soluzione. Se la soluzione fluisce, la diffusione è un meccanismo, insieme alla meccanica dispersione, che causa la miscelazione di costituenti ionici o molecolari. La diffusione cessa solo quando i gradienti di concentrazione diventano nulli. Il processo della diffusione è spesso definito come auto-diffusione, diffusione molecolare, o diffusione ionica.
La massa della sostanza che diffonde e passa attraverso una data sezione trasversale per unità di tempo è proporzionale al gradiente di concentrazione. Questa è nota come la prima legge Fick. Può essere espressa come
(3.44)
dove F, che è il flusso di massa, rappresenta la massa di soluto per unità di superficie per unità di tempo [M/L2T]; D è il coefficiente di diffusione [L2/T]; C è la concentrazione di soluto [M/L3]; e dC/dx è il gradiente di concentrazione, che è una quantità negativa nella direzione della diffusione. I coefficienti di diffusione per elettroliti in soluzioni acquose sono ben noti. Gli ioni maggiori nelle acque sotterranee (Na+, K+, Mg2+, Ca2+, Cl–, , SO42–) hanno coefficienti di diffusione nell’intervallo da 1 × 10–9 a 2 × 10–9 m2/s a 25 °C (Robinson & Stokes, 1965). I coefficienti sono funzione della temperatura. Ad esempio, a 5 °C i coefficienti sono inferiori di circa il 50%. L’effetto della forza ionica è molto ridotto.
Nei mezzi porosi i coefficienti di diffusione apparente per gli ioni sopra citati sono molto più piccoli che in acqua perché gli ioni seguono percorsi di diffusione più lunghi causati dalla presenza delle particelle nella matrice solida e a causa dell’adsorbimento sui solidi. ll coefficiente di diffusione apparente per le specie non-adsorbite in mezzi porosi, D*, è rappresentato dalla relazione
D* = ωD (3.45)
Dove ω, che è minore di 1, è un coefficiente empirico che tiene conto dell’effetto della fase solida relativa al mezzo poroso sulla diffusione. Studi di laboratorio sulla diffusione di ioni non adsorbiti in materiali geologici porosi, osservano comunemente valori di ω tra circa 0,5 e 0,01.
Dalla prima legge di Fick e dall’equazione di continuità, è possibile derivare un’equazione differenziale che riguarda la concentrazione di una sostanza diffusa nello spazio e nel tempo. In una dimensione, questa espressione, nota come seconda legge di Fick, è
(3.46)
Per ottenere un’indicazione delle velocità con cui i soluti possono diffondere in materiali geologici porosi, si può considerare una situazione ipotetica in cui due strati contenenti diverse concentrazioni di soluto sono a contatto. Si suppone che gli strati sono saturi d’acqua e che i gradienti idraulici in questi strati sono trascurabili. Ad un certo momento considerato iniziale, uno degli strati ha specie solute i con concentrazione C0. Per il secondo strato la concentrazione iniziale di C è abbastanza piccola per essere approssimata a zero. A causa del gradiente di concentrazione in corrispondenza dell’interfaccia tra i due strati, il soluto si diffonderà dallo strato con concentrazione maggiore a quello con concentrazione minore. Si supporrà inoltre che la concentrazione di soluto nello strato a concentrazione più alta rimane costante nel tempo, come nel il caso in cui la concentrazione del soluto viene mantenuta in equilibrio per dissoluzione minerale. Valori di C nella direzione x e nel tempo tpossono essere calcolati dalla relazione (Crank, 1956)
(3.47)
dove erfc è la funzione di errore complementare (Appendice V). Supponendo un valore di 5 × 10–10 m2/s per D*, il profilo relativo alla concentrazione del soluto può essere calcolato per intervalli di tempo specifici. Ad esempio, scegliendo una concentrazione relativa C/C0 di 0,1 e una distanza x di 10 m, l’Eq. (3.47) indica come il tempo di diffusione sarebbe di circa 500 anni. È evidente, quindi, che la diffusione è un processo relativamente lento. Nelle zone di flusso attivo delle acque sotterranee i suoi effetti sono solitamente mascherati dal flusso di massa stesso. In depositi a bassa permeabilità come argilla o scisto, dove le velocità delle acque sotterranee sono ridotte, la diffusione per intervalli di tempo geologico può, tuttavia, avere una forte influenza sulla distribuzione spaziale dei componenti disciolti. Questo è discusso ulteriormente nei Paragrafi 7.8 e 9.2.
Indagini di laboratorio hanno dimostrato che le argille compattate possono agire da membrane semipermeabili (Hanshaw, 1962). Le membrane semipermeabili limitano il passaggio di ioni pur consentendo un passaggio relativamente libero di specie neutre. Se le acque interstiziali di entrambi i lati di uno strato di argilla compattata hanno differenti concentrazioni ioniche, diversa deve essere anche il tenore dell’acqua di falda. Affinché le molecole d’acqua come specie non cariche possano passare attraverso membrane argillose semipermeabili, ne consegue che in condizioni di gradienti idraulici trascurabili il movimento da zone con maggior tenore di acqua (zone a salinità più bassa) a zone a minor tenore (zona di salinità più alta) avverrebbe per diffusione. Se la zona di maggiore salinità è un sistema chiuso, il movimento dell’acqua per diffusione attraverso l’argilla causerà un incremento nella pressione del fluido. Se la zona di bassa salinità è un sistema chiuso, la pressione del fluido declinerà. Questo processo di sviluppo di un differenziale di pressione attraverso l’argilla è conosciuto come osmosi. La pressione osmotica all’equilibrio attraverso l’argilla è la pressione differenziale che esisterebbe quando l’effetto della diffusione dell’acqua è bilanciato dal differenziale di pressione. Quando ciò accade, la migrazione dell’acqua attraverso l’argilla smette di avvenire. In esperimenti di laboratorio la pressione osmotica attraverso una membrana semipermeabile che separa soluzioni a diversa concentrazione viene misurata applicando una pressione differenziale appena sufficiente per impedire la diffusione dell’acqua. In bacini sedimentari, l’osmosi può causare differenziali di pressione significativi su strati argillosi anche se l’equilibrio della pressione osmotica differenziale non viene raggiunto.
Molte equazioni sono state utilizzate per esprimere la relazione tra la pressione osmotica differenziale e la differenza nella concentrazione della soluzione attraverso membrane semipermeabili. Una di queste, che può essere derivata da assunti termodinamici (Babcock, 1963), è
(3.48)
dove P0 è il differenziale di pressione idrostatica causato dall’osmosi, R è la costante dei gas (0,0821 litri bar •/K • mol), T è espressa in gradi Kelvin, è il volume molare di un’acqua pura, (0,018 ℓ/mol a 25 °C) e [H2O]I e [H2O]II sono le attività di acqua nelle soluzioni più e meno saline, rispettivamente. Valori per l’attività dell’acqua in varie soluzioni saline sono elencate in Robinson e Stokes (1965). Utilizzando l’Eq. (3.48), si può dimostrare che le differenze di salinità non rare per le acque di bacini sedimentari può causare grandi pressioni osmotiche, purché ovviamente vi sia un’argilla o uno scisto compatto, non fratturato che separa le zone a diversa salinità. Per esempio, si considerano due acquiferi arenari, I e II, separati da uno strato di argilla compattata. Se l’acqua in entrambi gli acquiferi ha alte concentrazioni di NaCl, ad esempio 6% e 12%, il rapporto di attività dell’H2O sarà 0,95 risultando, in base all’Eq. (3.48) in una differenza di pressione osmotica tra i due acquiferi di 68 bar, l’equivalente di 694 m di carico idrostatico se espressa in termini di acqua pura. Trattasi effettivamente di una differenza di carico sorprendente per qualsiasi bacino sedimentario. Tuttavia, affinché tali differenze osmotiche possano originarsi occorrono condizioni idrostratigrafiche tali per cui la pressione osmotica possa svilupparsi molto di più rapidamente rispetto alla pressione invece dissipata dal flusso di fluido appunto dalle zone di alta verso quelle di bassa pressione.
3.5 Dissoluzione minerale e solubilità
Solubilità minerale e costante di equilibrio
Quando l’acqua entra in contatto con i minerali, inizia la dissoluzione di quest’ultimi e continua fino a quando le concentrazioni di equilibrio sono raggiunte nell’acqua o fino a quando tutti i minerali sono passati in soluzione. La solubilità di un minerale è definita come la massa del minerale che si dissolverà in un volume unitario di soluzione in condizioni note. La solubilità dei minerali che si riscontrano nelle acque sotterranee, che a loro volta seguono i dei percorsi di flusso, variano su molti ordini di grandezza. Quindi, a seconda dei minerali con cui l’acqua è venuta a contatto durante la sua storia di flusso, questa potrà presentare un contenuto in sali disciolti poco più alto rispetto quello dell’acqua piovana, viceversa molte acque sono caratterizzare da un contenuto in sali molto maggiore rispetto a quello dell’acqua di mare.
La Tabella 3.6 indica la solubilità di diversi minerali sedimentari in acqua pura a 25 °C e 1 bar di pressione totale. Questa Tabella elenca anche le reazioni di dissoluzione per questi minerali e le costanti di equilibrio per le reazioni a 25 °C e 1 bar. La solubilità dei carbonati dipende dalla pressione parziale della CO2. Le solubilità di calcite e dolomite a due pressioni parziali (10–3 bar e 10–1 bar) sono elencati nella Tabella 3.6 come indicazione dell’intervallo di valori rilevanti per acque sotterranee naturali.
Minerale | Reazione di Dissociazione | Constante di equilibrio, Keq |
Solubilità a pH 7 (mg/ℓ o g/m3) |
Gibbsite | Al2O3 • 2H2O + H2O = 2Al3+ + 6OH– | 10–34 | 0.001 |
Quarzo | SiO2 + 2H2O = Si(OH)4 | 10–3.7 | 12 |
Idrossiapatite | Ca5OH(PO4)3 = 5Ca2+ + 3PO43– +OH– | 10–55.6 | 30 |
Silice amorfa | SiO2 + 2H2O = Si(OH)4 | 10–2.7 | 120 |
Fluorite | CaF2 = Ca2+ + 2F– | 10–9.8 | 160 |
Dolomite | CaMg(CO3)2 = Ca2+ + Mg2+ + 2CO32– | 10–17.0 | 90,* 480† |
Calcite | CaCO3 = Ca2+ + CO32– | 10–8.4 | 100,* 500† |
Gesso | CaSO4 • 2H2O = Ca2+ + SO42– + 2H2O | 10–4.5 | 2100 |
Silvite | KCl = K+ + Cl– | 10+0.9 | 264,000 |
Epsomite | MgSO4 • 7H2O = Mg2+ + SO42– + 7H2O | –– | 267,000 |
Mirabillite | Na2SO4 • 10H2O = 2Na+ + SO42– + 10H2O | 10–1.6 | 280,000 |
Salgemma | NaCl = Na+ + Cl– | 10+1.6 | 360,000 |
†Pressione parziale della CO2 = 10–1 bar.
FONTE: I dati di solubilità da Seidell, 1958.
Il confronto tra le solubilità dei minerali e le costanti di equilibrio indica come le grandezze relative della costante di equilibrio siano una scarsa indicazione delle relative solubilità dei minerali in quanto nelle relazioni di equilibrio, le attività degli ioni o delle molecole sono elevate per l’equivalente del numero di moli nell’espressione di dissociazione bilanciata. Ad esempio, la solubilità della calcite in acqua pura a PCO2 = 10–1 bar è 500 mg/ℓ, e la solubilità della dolomite a parità di condizioni è quasi la stessa (480 mg/ℓ), ma le costanti di equilibrio differiscono di otto ordini di grandezza perché il termine [CO32–] viene elevato alla seconda potenza nell’espressione Kdol. Un altro esempio è l’idrossiapatite, che ha a solubilità di 30 mg/ℓ a pH 7 e tuttavia ha una costante di equilibrio di 10–55.6, valore che potrebbe dare l’impressione erronea che questo minerale non ha alcuna solubilità significativa.
Tutti i minerali elencati nella Tabella 3.6 normalmente si dissolvono congruentemente. Ciò significa che i prodotti della reazione di dissoluzione minerale sono tutti specie disciolte. Molti minerali che influenzano l’evoluzione chimica delle acque sotterranee si dissolvono incongruentemente; cioè, uno o più prodotti di dissoluzione si presentano come minerali o come sostanze solide amorfe. La maggior parte dei minerali di silicato di alluminio si dissolvono incongruentemente. Il feldspato, albite, è un buon esempio
(3.49)
In questa reazione l’albite si dissolve sotto l’azione di lisciviazione dell’acido carbonico (H2CO3) per produrre prodotti disciolti in soluzione e la Kaolinite minerale argillosa. Questa è una reazione comune nelle zone di falda a contatto con massicci granitici. Dalla legge dell’azione di massa,
(3.50)
dove la costante di equilibrio K dipende dalla temperatura e dalla pressione. Se viene specificata la pressione parziale della CO2, è evidente che dalle Eq. (3.18), (3.31) e (3.32) anche [H2CO3] e sono noti. La solubilità dell’albite e di altri alluminosilicati cationici aumenta con all’aumentare della pressione parziale della CO2.
L’effetto della forza ionica
Il confronto tra la solubilità dei minerali in acqua pura rispetto a quella dell’acqua con un alto contenuto salino indica come la salinità aumenti le solubilità. Questo è noto come effetto della forza ionica perché l’aumentata solubilità è causata dalla diminuzione dei coefficienti di attività a causa dell’aumentata forza ionica. Ad esempio, per il gesso l’espressione relativa alla costante di equilibrio può essere scritta
(3.51)
dove γ è il coefficiente di attività e le specie tra parentesi sono espresse in molalità. La Figura 3.3 indica che con l’aumentare della forza ionica, diminuiscono i valori di γCa2+ e γSO42–. Per compensare, nell’equazione (3.51), le concentrazioni di Ca2+ e SO42– devono aumentare. Ciò si traduce in una maggiore solubilità del minerale nelle condizioni specificate di temperatura e pressione. Questo effetto è illustrato nella Figura 3.6, che mostra la solubilità del gesso più che triplicata a causa dell’effetto forza ionica. Altri esempi, descritti nel Capitolo 7, indicano che l’effetto forza ionica può svolgere un ruolo importante nell’evoluzione chimica delle acque sotterranee naturali e contaminate.
Sistemi carbonatici
Si stima che oltre il 99% del carbonio terrestre sia presente nei carbonati, i più importanti dei quali sono calcite, CaCO3, e dolomite, CaMg(CO3)2. In quasi tutti i terreni sedimentari e in molte aree con rocce metamorfiche e ignee, le acque sotterranee sono in contatto con i minerali carbonatici durante almeno parte della loro storia di flusso. La capacità della zona di falda di ridurre al minimo gli effetti avversi di molti tipi di inquinanti può dipendere dalle interazioni che coinvolgono l’acqua e, appunto, i minerali carbonatici. L’interpretazione della datazione del carbonio 14 per determinare l’età delle acque sotterranee richiede una comprensione del processo di interazione delle acque con questi minerali.
All’equilibrio, le reazioni tra l’acqua e i minerali carbonatici, calcite e dolomite, possono essere espresse come
(3.52)
(3.53)
dove le costanti di equilibrio dipendono dalla temperatura e dalla pressione.
Se i minerali si dissolvono in acqua che ha un abbondante apporto di CO2 (g) ad una pressione parziale costante, la concentrazione di CO2 disciolta (espressa come acido carbonico, H2CO3) rimane costante, come indicato dall’Eq. (3.18). Didatticamente il processo di dissoluzione della calcite è rappresentato come
(3.54)
che indica che la dissoluzione è accompagnata dal consumo di acido carbonico. Più alto è il PCO2, maggiore è la quantità di H2CO3 disponibile per il consumo, e quindi la reazione procede più a destra per raggiungere l’equilibrio. Un sistema acquoso in cui la CO2disciolta è costante a causa dell’interazione relativamente non disturbata con un abbondante ambiente gassoso di PO2 costante, come l’atmosfera terrestre, è comunemente indicato nel contesto della dissoluzione minerale come un sistema aperto. Se l’H2CO3 consumato dalle reazioni di acqua-minerale non viene reintegrato da un giacimento gassoso, il sistema viene indicato come un sistema chiuso. Sostituendo le Eq. (3.18), (3.31) e (3.32) nell’Eq. (3.52), e riorganizzando i campi, si ricava
(3.55)
I termini tra parentesi rappresentano le attività e la PCO2 è espressa in bar. I valori per le costanti di equilibrio nell’intervallo 0–30°C sono elencati nella Tabella 3.7. A 25 °C, l’Eq. (3.55) si semplifica a
(3.56)
Temperatura (°C) |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
0 | 1.12 | 6.58 | 10.62 | 8.340 | 16.56 |
5 | 1.20 | 6.52 | 10.56 | 8.345 | 16.63 |
10 | 1.27 | 6.47 | 10.49 | 8.355 | 16.71 |
15 | 1.34 | 6.42 | 10.43 | 8.370 | 16.79 |
20 | 1.41 | 6.38 | 10.38 | 8.385 | 16.89 |
25 | 1.47 | 6.35 | 10.33 | 8.400 | 17.0 |
30 | 1.67 | 6.33 | 10.29 | 8.51 | 17.9 |
FONTE: Garrels & Christ, 1965; Langmuir, 1971.
Regole per assegnare gli stati di ossidazione:
Esempi: |
|||||||
Composti del Carbonio | Composti del Zolfo | Composti dell’ Azoto | Composti del Ferro | ||||
Sostanza | C stato | Sostanza | S stato | Sostanza | N stato | Sostanza | Fe stato |
![]() |
+IV | S | 0 | N2 | 0 | Fe | 0 |
CO32– | +IV | H2S | –II | SCN– | +II | FeO | +II |
CO2 | +IV | HS– | –II | N2O | –III | Fe(OH)2 | +II |
CH2O | 0 | FeS2 | –I | NH4 | +III | FeCO3 | +II |
C6H12O6 | 0 | FeS | –II | NO![]() |
+V | Fe2O3 | +III |
CH4 | –IV | SO32– | +IV | NO![]() |
–III | Fe(OH)3 | +III |
CH3OH | –II | SO42– | +VI | HCN | –I | FeOOH | +III |
Per calcolare la solubilità della calcite sotto la pressione parziale di CO2 specificata, è richiesta un’altra equazione. In questa fase, per questo tipo di problema di equilibrio minerale-acqua è opportuno utilizzare l’equazione dell’elettroneutralità. Per il caso della dissoluzione della calcite in acqua pura, l’espressione dell’elettroneutralità è
(3.57)
I termini di questa equazione sono espressi in molalità. Per l’intervallo di PCO2 di interesse negli studi sulle acque sotterranee, i termini (H+) e (OH–) sono trascurabili rispetto agli altri termini di questa equazione. Le equazioni (3.56) e (3.57) possono essere combinate e con la sostituzione delle Eq. (3.18), (3.31) e (3.32), possono essere espressi come un polinomio in termini di due variabili e dei coefficienti di attività. Per una specifica PCO2, è possibile ottenere soluzioni iterative tramite simulazioni. Le soluzioni manuali possono anche essere ottenute con poca difficoltà usando il metodo delle successive approssimazioni delineate da Garrels & Christ (1965) e Guenther (1975). Come prima approssimazione, un approccio utile è supporre che () sia più elevata rispetto a (CO32–). La Figura 3.5 (a) indica che questa ipotesi è valida per soluzioni con valori di pH inferiori a circa 9, che include quasi tutte le acque naturali, a condizione che le concentrazioni di cationi che complessano l’CO32– siano basse. L’equazione (3.57) quindi riduce a
(3.58)
Dopo che la calcite si è disciolta all’equilibrio ad una specifica PCO2, la specie dissolta in acqua ora può essere ottenuta attraverso i seguenti passaggi: (1) assegnare un valore arbitrario di [H+] nell’ Eq. (3.55) e quindi calcolare un valore per [Ca2+]; (2) stimare un valore di forza ionica usando il [Ca2+] ottenuto dal punto (1) e un valore di ottenuto dall’Eq. (3.58); (3) ottenere una stima per γCa2+ e
dalla Figura 3.3 e quindi calcolare il (Ca2+) dalla relazione (Ca2+) = [Ca2+]/γCa2+; (4) utilizzando la PCO2 specifica e [H+] scelti nel punto (1), calcolare
dalle Eq. (3.18) e (3.31); (5) convertire
in
attraverso il coefficiente di attività relazione; e (6) confrontare il valore (Ca2+) ottenuto dal punto (1) con il valore calcolato di
/2 dal punto (5). Se i due valori calcolati sono uguali o quasi, (3.57) è stato soddisfatto e una soluzione al problema è stata ottenuta. Se sono disuguali, la sequenza dei passaggi computazionali deve essere ripetuta usando una nuova selezione per [H+]. In questi tipi di problemi è accettabile quando la soluzione può solitamente essere ottenuta dopo due o tre iterazioni. I risultati di questi tipi di calcoli per dissoluzione di calcite all’equilibrio in acqua pura in condizioni varie di PCO2 e temperatura fise sono illustrate nella Figura 3.7, che indica che la solubilità è fortemente dipendente dalla PCO2 e che anche i valori di [H+] o pH variano fortemente in funzione della PCO2. La procedura di calcolo non include coppie di ioni come
e
, che si verificano in piccole concentrazioni in soluzioni acquose diluite sature di CaCO3. Dalla Figura 3.7 è evidente come le linee di concentrazione per Ca2+ e
sono parallele (solo 0,30 unità a parte). Questo indica che la reazione in Eq. (3.54) descrive accuratamente il processo di dissoluzione per variazioni di PCO2 caratteristiche delle acque sotterranee, dove la PCO2 è quasi sempre maggiore di 10–4 bar.
Questo spiega perché piuttosto che CO32– sia la specie ionica dominante di carbonio inorganico disciolto nelle acque sotterranee.
Se l’acqua viene caricata con CO2, che può verificarsi a causa del contatto con l’atmosfera terrestre o nell’interfaccia suolo-atmosfera, e quindi entra in contatto con calcite o dolomite in una zona isolata dalla fonte di CO2 gassosa, come la zona di falda, la dissoluzione avverrà ma la concentrazione di specie disciolte all’equilibrio sarà diversa. In questo processo di dissoluzione nel sistema chiuso, l’acido carbonico viene consumato e non viene reintegrato dall’esterno del sistema mentre procede la dissoluzione. Per questa condizione l’Eq. (3.18) indica che anche la PCO2 deve diminuire mentre la reazione procede verso l’equilibrio.
I minerali di carbonato sono meno solubili in condizioni di sistema chiuso, e per valori di pH più elevati all’ equilibrio. Nel caso del sistema chiuso, il carbonio inorganico disciolto deriva dalla CO2 disciolta e presente all’inizio della dissoluzione, e dalla calcite e/o dolomite che vengono disciolte. Nel caso del sistema aperto, la CO2 continua ad entrare nella soluzione dall’atmosfera mentre prosegue la dissoluzione. In questo caso il carbonio inorganico totale disciolto è costituito da carbonio della CO2 iniziale e dalla CO2 reintegrata e anche dai minerali. Come indicato nel Capitolo 7, queste differenze possono essere cruciali per l’interpretazione dell’evoluzione chimica delle acque sotterranee a contatto con sedimenti carbonatici e nella valutazione del carbonio 14 per la datazione delle acque.
Effetto dello ione comune
In alcune situazioni l’aggiunta di ioni per dissoluzione di un minerale può influenzare la solubilità di un altro minerale in misura maggiore rispetto all’effetto esercitato dal cambiamento dei coefficienti di attività. Se ad un elettrolita che non contiene Ca2+ o CO32– viene aggiunto a una soluzione acquosa satura di calcite, la solubilità della calcite aumenta a causa dell’effetto di forza ionica. Tuttavia, se viene aggiunto un elettrolita che contiene Ca2+ o CO32–, la calcite finirà per precipitare perché il prodotto [Ca2+] [CO32–] deve adattarsi per raggiungere un valore uguale alla costante di equilibrio Kcal. Questo processo è noto come effetto dello ione comune.
Acque che si muovono attraverso un acquifero che contiene sufficiente Ca2+ e CO32– tali per cui il prodotto delle loro attività sia uguale a Kcal possono incontrare strati che contengono gesso. La dissoluzione del gesso,
(3.59)
fa aumentare la forza ionica e aumenta la concentrazione di Ca2+. Espressa in termini di molalità e coefficienti di attività, l’espressione di equilibrio per la calcite è
La dissoluzione del gesso fa diminuire il prodotto del coefficiente di attività γCa2+ · γCO32–. Ma a causa del contributo del (Ca2+) dal gesso disciolto, il prodotto (Ca2+) (CO32–) aumenta di una quantità molto maggiore. Pertanto, affinché la soluzione rimanga in equilibrio rispetto alla calcite, deve verificarsi la precipitazione della stessa.
Le solubilità di calcite e gesso in acqua a varie concentrazioni di NaCl sono mostrate nella Figura 3.8. Per un dato contenuto di NaCl, la presenza di ciascun minerale, calcite o gesso, provoca una diminuzione della solubilità dell’altro. A causa dell’effetto di forza ionica, entrambi i minerali aumentano di solubilità a concentrazioni più elevate di NaCl.
Disequilibrio e indice di saturazione
Considerando l’Eq. (3.2) in una condizione di squilibrio, la relazione tra i reagenti e i prodotti può essere espressa come
(3.60)
dove Q è il quoziente di reazione e gli altri parametri sono espressi nell’Eq. (3.3).
Il seguente rapporto è un utile confronto tra lo stato di una reazione di dissoluzione-precipitazione di un minerale in un particolare punto nel tempo o nello spazio e la
(3.61)
condizione di equilibrio termodinamico:
dove Si, indica l’indice di saturazione. Per la calcite in contatto con le acque sotterranee (vedi Sezione 3.2), l’indice di saturazione è
(3.62)
Le attività degli ioni nel numeratore possono essere ottenute dall’analisi di campioni di acque sotterranee e Eq. (3.32) e la costante di equilibrio Kcal può essere ottenuta dai dati di energia libera, o direttamente dalle tabulazioni di costanti di equilibrio, come la Tabella 3.7.
Se Si > 1, l’acqua contiene un eccesso di costituenti ionici. La reazione [Eq. (3.4)] deve quindi procedere a sinistra, il che richiede che si verifichi la precipitazione minerale. Se Si < 1, la reazione procede verso destra mentre il minerale si dissolve. Se Si = 1, la reazione è all’equilibrio, il che significa che è saturo rispetto al minerale in questione. In base alla relazione dell’indice di saturazione, è possibile che specifiche reazioni acqua-minerale per campioni di acqua eguaglino le condizioni di equilibrio calcolate. Affinché l’indice di saturazione sia di interesse, il minerale non deve essere effettivamente presente nella zona di falda. La conoscenza della composizione mineralogica è necessaria, tuttavia, se si desidera ottenere una comprensione dettagliata del comportamento geochimico e dei controlli sull’acqua.
Alcuni autori esprimono l’indice di saturazione in forma logaritmica, nel qual caso un valore di indice pari a zero indica la condizione di equilibrio. L’indice di saturazione è in alcune pubblicazioni è indicato come l’indice di squilibrio perché in alcune situazioni le acque sotterranee sono più in generale in disequilibrio che in equilibrio rispetto ai minerali comuni.
3.6 Processi di ossido-riduzione
Stati di ossidazione e reazioni redox
Molte reazioni che si verificano nelle acque sotterranee implicano il trasferimento di elettroni tra componenti disciolti, gassosi o solidi. Come risultato del trasferimento di elettroni ci sono cambiamenti negli stati di ossidazione dei reagenti e dei prodotti. Lo stato di ossidazione, a volte indicato come il numero di ossidazione, rappresenta una carica ipotetica che un atomo avrebbe se lo ione o la molecola dovessero dissociarsi. Gli stati di ossidazione più importanti che possono essere ottenuti dagli elementi dello stato di multi-ossidazione e che si verificano nelle acque sotterranee sono elencati nella Tabella 3.8, che contiene anche alcune regole che possono essere utilizzate per dedurre lo stato di ossidazione partendo dalla formula di una sostanza. A volte ci sono incertezze nell’assegnazione di perdita o guadagno di elettroni in un particolare atomo, specialmente quando le reazioni coinvolgono legami covalenti. In questo libro i numeri romani sono usati per rappresentare gli stati di ossidazione e i numeri arabi rappresentano la valenza reale.
Nelle reazioni di ossido-riduzione, che saranno chiamate reazioni redox, non ci sono elettroni liberi. Ogni ossidazione è accompagnata da una riduzione e viceversa, in modo tale da mantenere sempre un equilibrio di elettroni. Per definizione, l’ossidazione è la perdita di elettroni e la riduzione è il guadagno degli elettroni. Ecco un esempio, esprimendo la reazione redox per l’ossidazione del ferro:
(3.63)
Per ogni sistema di ossido-riduzione si possono scrivere le semi reazioni nel seguente formato:
stato ossidato + ne = stato ridotto (3.64)
La reazione redox per il ferro può quindi essere espressa in semi reazioni,
(3.65)
(3.66)
Nella semi-reazione di riduzione lo stato di ossidazione dell’ossigeno passa da zero (ossigeno come O2) a –II (ossigeno in H2O). Esiste quindi un rilascio di quattro elettroni perché 2 moli di H2O si formano da 1 mole di O2 e 4 moli di H+. Nella semi-reazione dell’ossidazione, 4 moli di Fe (+ II) vanno a 4 moli di Fe (+ III), con un guadagno di quattro elettroni. La reazione redox completa [Eq. (3.63)] esprime l’effetto netto del trasferimento di elettroni e quindi non contiene elettroni liberi. Quando si scrivono le semi reazioni, bisogna fare attenzione a garantire che gli elettroni su ciascun lato dell’equazione siano bilanciati. Queste reazioni non devono coinvolgere ossigeno o idrogeno, sebbene la maggior parte delle reazioni redox che si verificano nelle acque sotterranee comporti uno o entrambi questi elementi. Il concetto di ossidazione e riduzione in termini di cambiamenti negli stati di ossidazione è illustrato in Figura 3.9.
Un elenco di semi reazioni che rappresentano la maggior parte dei processi redox che si verificano nelle acque sotterranee è presentato nella Tabella 3.9.
(1) | ![]() |
(18) | ![]() |
(2) | ![]() |
(19) | ![]() |
(3) | ![]() |
(20) | ![]() |
(4) | ![]() |
(21) | ![]() |
(5) | ![]() |
(22) | ![]() |
(6) | ![]() |
(23) | ![]() |
(7) | ![]() |
(24) | ![]() |
(8) | ![]() |
(25) | ![]() |
(9) | ![]() |
(26) | ![]() |
(10) | ![]() |
(27) | ![]() |
(11) | ![]() |
(28) | ![]() |
(12) | ![]() |
(29) | ![]() |
(13) | ![]() |
(30) | ![]() |
(14) | ![]() |
(31) | ![]() |
(15) | ![]() |
(32) | ![]() |
(16) | ![]() |
(33) | ![]() |
(17) | ![]() |
Consumo di ossigeno e materia organica
Fiumi e laghi non inquinati hanno generalmente condizioni di ossidazione a causa del mescolamento con l’ossigeno proveniente dall’atmosfera terrestre. La tendenza nei sistemi di acque sotterranee, tuttavia, è verso l’esaurimento di ossigeno e verso condizioni di riduzione. Dal momento che l’acqua che circola attraverso la zona sotterranea è generalmente isolata dall’atmosfera terrestre, l’ossigeno che viene consumato dalle reazioni idrochimiche e biochimiche non viene ripristinato. Al fine di ridurre i costituenti inorganici, alcuni altri costituenti devono essere ossidati. Il composto ossidato è generalmente la materia organica. Le reazioni sono catalizzate da batteri o enzimi isolati che ottengono energia facilitando il processo di trasferimento di elettroni. Nella presente discussione si assume che le reazioni procedano in una direzione termodinamica appropriata, senza chiarificazione dei processi biochimici associati. Per illustrare il processo di ossidazione della materia organica, un semplice carboidrato, CH2O, viene utilizzato come donatore di elettroni, anche se numerosi altri composti organici, come polisaccaridi, saccaridi, acidi grassi, amminoacidi e fenoli, possono essere il vero composto organico coinvolto nel processo redox
(3.67)
Per ottenere reazioni complete per i processi redox, la semi-reazione per l’ossidazione delle sostanze organiche, rappresentata dall’Eq. (3.67), può essere combinata con molte delle semi reazioni per la riduzione dei composti inorganici di cui alla Tabella 3.9. La combinazione dell’Eq. (3.67) e la reazione (1) nella Tabella 3.9 produce la relazione redox
(3.68)
che rappresenta il processo di ossidazione della materia organica in presenza di batteri e ossigeno molecolare libero. Questo processo redox è la principale fonte di CO2. La CO2 disciolta che si combina con l’H2O per produrre H2CO3 [Eq. (3.15)], che è un acido di notevole forza se visto in un contesto geochimico.
Poiché la solubilità dell’O2 in acqua è bassa (9 mg/ℓ a 25 °C e 11 mg/ℓ a 5 °C) e poiché il rifornimento di O2 in ambienti sub-superficiali è limitato, l’ossidazione di solo una piccola quantità di materia organica può risultare nel consumo di tutto l’O2 dissolto. Ad esempio, dalle relazioni di conservazione di massa intrinseche nell’Eq. (3.68), l’ossidazione di soli 8,4 mg/ℓ (0,28 mmol/ℓ ) di CH2O consumerebbe 9 mg/ℓ (0,28 mmol/ℓ) di O2. Ciò comporterebbe un’acqua senza O2 disciolto. L’acqua che si infiltra nella zona del suolo è normalmente in contatto con la sostanza organica del suolo. Il consumo di O2 e la produzione di CO2 sono quindi un processo comune nella parte molto superficiale del sottosuolo.
La Tabella 3.10 elenca alcune reazioni redox in cui viene consumato l’ossigeno disciolto. In tutte queste reazioni, vengono prodotti ioni H+. In molti sistemi di acque sotterranee gli ioni H+ sono consumati da reazioni che coinvolgono minerali. Il pH quindi non diminuisce sensibilmente. In alcuni sistemi, tuttavia, i minerali che reagiscono in questo modo non sono presenti, nel qual caso i processi di ossidazione tendono a far diminuire il pH dell’acqua.
Processo | Reazione* | |
Ossidazione dei solfuri | ![]() |
(1) |
Ossidazione del ferro | ![]() |
(2) |
Nitrificazione | ![]() |
(3) |
Ossidazione del manganese | ![]() |
(4) |
Ossidazione di solfuri di ferro† | ![]() |
(5) |
†Espressa come una reazione combinata.
Quando tutti gli O2 disciolti nelle acque sotterranee sono consumati, l’ossidazione della materia organica può ancora verificarsi, ma gli agenti ossidanti (cioè i costituenti che subiscono una riduzione) sono , MnO2, Fe(OH)3, SO42– e altri, come indicato nella Tabella 3.11. Man mano che questi agenti ossidanti vengono consumati, l’ambiente delle acque sotterranee diventa sempre più ridotto. Qualora i processi di ossidazione siano molto avanzati, l’ambiente potrebbe diventare così fortemente riducente che i composti organici possono subire degradazione anaerobica. Un’equazione per questo processo, che rappresenta la conversione di materia organica in metano e anidride carbonica, è mostrata dalla reazione (5) nella Tabella 3.11. La sequenza dei processi redox rappresentati dalle reazioni da (1) a (5) nella Tabella 3.11 procede dall’ossidazione aerobica fino alla fermentazione del metano a condizione che (1) la materia organica in una forma consumabile continui a essere disponibile nell’acqua, (2) i batteri che mediano le reazioni hanno nutrienti sufficienti per sostenere la loro esistenza, e (3) le variazioni di temperatura non sono abbastanza grandi da disturbare i processi biochimici. In molti sistemi di acque sotterranee uno o più di questi fattori è limitante, quindi l’acqua di falda non procede attraverso tutte le fasi redox. L’evoluzione delle acque sotterranee attraverso varie fasi di ossidazione e riduzione è descritta più dettagliatamente nel Capitolo 7.
Processo | Equazione* | |
Denitrificazione† | ![]() |
(1) |
Riduzione del Manganese (IV) | ![]() |
(2) |
Riduzione del Ferro (III) | ![]() |
(3) |
Riduzione del solfaton‡ | ![]() |
(4) |
Fermentazione del metano | ![]() |
(5) |
†CH2O rappresneta la materia organica; altri composti organici possono essere ossidati.
‡H2S esiste in acqua come specie disciolta: HS- + H+ = H2S. H2S è una specie dominante a pH < 7.
Condizioni di equilibrio Redox
Le soluzioni acquose non contengono elettroni liberi, ma è comunque utile esprimere i processi redox come semi reazioni e quindi gestirli come se si trattasse di processi separati. All’interno di questo quadro viene utilizzato un parametro noto come pE per descrivere l’attività relativa dell’elettrone. Per definizione,
(3.69)
La pE, che è una quantità adimensionale, è analoga all’espressione del pH per l’attività del protone (ione idrogeno). Il pE di una soluzione è una misura della tendenza ossidante o riducente della soluzione. In parallelo alla convenzione di assegnazione arbitraria di ΔG° = 0 per l’idratazione di H+ (cioè, KH+ = 0 per la reazione H+ + H2O = H3O+) il cambiamento di energia libera per la riduzione di H+ a H2 (g) [H + + e = H2(g)] è zero. pE e pH sono funzioni dell’energia libera implicata nel trasferimento di 1 mole di protoni o di elettroni, rispettivamente.
Per la semi reazione generale
(3.70)
la legge dell’azione di massa può essere scritta come
(3.71)
Ad esempio, considerandol’ossidazione di Fe (II) a Fe (III) mediante ossigeno libero:
(3.72)
(3.73)
(3.74)
In questo libro le costanti di equilibrio per le semi reazioni sono sempre espresse nella forma di riduzione. Le forme e gli elettroni ossidati sono scritti sulla sinistra e i prodotti ridotti sulla destra. Questa è conosciuta come la convenzione di Stoccolma o IUPAC (International Union of Physical and Analytical Chemistry). Esprimendo le semi reazioni [Eq. (3.72) e (3.73)] in termini di costanti di equilibrio [Eq. (3.71)] per condizioni a 25 °C e di 1 bar
(3.75)
(3.76)
I valori numerici per le costanti di equilibrio sono stati calcolati dall’Eq. (3.12) utilizzando i dati dell’energia libera di Gibbs per 25 °C e 1 bar. Per ottenere espressioni per le condizioni redox espresse in pE, le Eq. (3.75) e (3.76) possono essere così riorganizzate
(3.77)
(3.78)
Se la reazione redox [Eq. (3.74)] è all’equilibrio e se le concentrazioni di ferro, PO2 e pH sono note, la pE ottenuta da entrambe queste relazioni è la stessa. Anche se ci possono essere molte specie disciolte nella soluzione coinvolta nelle reazioni con trasferimento di elettroni e di ioni idrogeno, all’equilibrio c’è solo una condizione di pE, proprio come esiste una sola condizione di pH. Nei sistemi di acque sotterranee, esiste un’interdipendenza tra pH e pE. Quasi tutte le reazioni elencate nella Tabella 3.9 coinvolgono sia il trasferimento di elettroni che di protoni. Se si assume l’equilibrio, le reazioni che includono il pH possono essere scritte come espressioni di pE. Le rappresentazioni grafiche delle relazioni pH–pE sono descritte di seguito.
Sebbene la discussione precedente fosse basata interamente sul presupposto che i processi redox siano all’equilibrio, in situazioni di campo le concentrazioni di specie ossidabili e riducenti potrebbero essere lontane da quelle previste usando modelli di equilibrio. Molte reazioni redox procedono a ritmo lento e molte sono irreversibili. È quindi possibile avere diversi livelli redox esistenti nella stessa matrice. Esiste anche la possibilità che i batteri necessari per catalizzare molte delle reazioni di ossido-riduzione esistano in microambienti nei mezzi porosi che non sono rappresentativi del macroambiente globale in cui si verifica il flusso delle acque sotterranee. Tuttavia, considerazioni sull’equilibrio possono essere di grande aiuto negli sforzi per comprendere in modo generale le condizioni redox osservate nelle acque sotterranee. Stumm & Morgan (1970), nel loro testo completo sulla chimica acquatica, affermano: “In tutti i casi i calcoli di equilibrio forniscono condizioni al contorno verso cui i sistemi devono procedere. Inoltre, gli equilibri parziali (quelli che coinvolgono alcune ma non tutte le coppie redox) sono frequentemente approssimati, anche se non si raggiunge l’equilibrio totale. . . . Una visione preziosa si ottiene anche quando si denotano differenze tra calcoli e osservazioni. La mancanza di equilibrio e la necessità di informazioni aggiuntive o di una teoria più sofisticata vengono quindi chiariti” (p. 300).
La condizione redox per i processi di equilibrio può essere espressa in termini di pE (adimensionale), Eh (volt) o ΔG (joule o calorie). Anche se negli ultimi anni la pE è diventata un parametro comunemente usato negli studi redox, l’Eh è stato utilizzato in molte indagini, in particolare prima degli anni 1970. L’Eh è comunemente indicato come il potenziale redox ed è definito come l’energia guadagnata nel trasferimento di 1 mole di elettroni da un ossidante a H2. L’h in Eh indica che il potenziale è sulla scala dell’idrogeno e E simboleggia la forza elettromotrice. pE ed Eh sono correlati da
(3.79)
dove F è la costante di Faraday (9,65 × 104 C • mol–1), R la costante dei gas, T la temperatura assoluta e n il numero di elettroni nella semi-reazione. Per reazioni a 25 °C in cui le semi reazioni sono espresse in termini di trasferimento di un singolo elettrone, Eq. (3.79) diventa
(3.80)
L’Eh è definito da una relazione conosciuta come l’equazione di Nernst,
(3.81)
dove Eh° è una condizione standard o di riferimento in cui tutte le sostanze coinvolte sono all’unità di attività e n è il numero di elettroni trasferiti. Questa è un’assunzione termodinamica. Le attività unitarie possono esistere solo in soluzioni di diluizione infinita; questa condizione è quindi solo ipotetica. L’equazione che lega Eh° direttamente alla costante di equilibrio è
(3.82)
Nello studio dei sistemi acquosi, gli stessi obiettivi possono essere soddisfatti utilizzando pE o Eh per rappresentare le condizioni redox. pE è spesso il parametro preferito perché la sua formulazione segue semplicemente le rappresentazioni a metà-cella di reazioni redox in combinazione con la legge dell’azione di massa. La facilità di eseguire calcoli in modo intercambiabile tra pE ed Eh è auspicabile perché le tabelle di dati termodinamici per reazioni redox sono comunemente espresse come valori Eh° e poiché in alcuni sistemi acquosi un metodo conveniente per ottenere un’indicazione delle condizioni redox implica la misurazione dei potenziali dell’elettrodo come tensione.
Fattori microbiologici
I microrganismi catalizzano quasi tutte le importanti reazioni redox che si verificano nelle acque sotterranee. Ciò significa che sebbene le reazioni siano termodinamicamente spontanee, esse richiedono l’effetto catalizzante dei microrganismi per procedere ad un ritmo significativo. Sebbene non sia consuetudine considerare i microrganismi come componenti importanti dell’ambiente sotterraneo, la loro influenza non può essere ignorata se desideriamo comprendere le cause e gli effetti dei processi redox.
I microrganismi più importanti nei processi redox nella zona sotterranea sono i batteri. Altri tipi di microrganismi, come alghe, funghi, lieviti e protozoi, possono essere importanti in altri ambienti. I batteri hanno generalmente dimensioni comprese tra circa 0,5 e 3 μm. Sono piccoli rispetto alla dimensione dei pori nella maggior parte dei materiali geologici non consolidati e sono grandi in relazione alla dimensione degli ioni e molecole inorganici idratati. La capacità catalitica dei batteri è prodotta dall’attività enzimatica che normalmente svolgono. Gli enzimi sono sostanze proteiche formate da organismi viventi che hanno il potere di aumentare il tasso di reazioni redox diminuendo le energie di attivazione delle reazioni. Lo fanno interagendo fortemente con molecole complesse che rappresentano strutture molecolari a metà strada tra il reagente e il prodotto (Pauling e Pauling, 1975). L’ambiente molecolare locale di molte reazioni enzimatiche è molto diverso dall’ambiente globale dei sistemi acquosi.
I batteri ed i loro enzimi sono coinvolti nei processi redox al fine di acquisire energia per la sintesi di nuove cellule e il mantenimento di quelle vecchie. Un passo importante nel processo di crescita delle cellule batteriche è la costruzione di molecole che formano una sostanza di accumulo di energia chiamata adenosina trifosfato (ATP). Dopo la sua formazione, le molecole di questo materiale ad alta energia possono essere idrolizzate attraverso una sequenza di reazioni di rilascio di energia che forniscono la sintesi di nuovo materiale cellulare. La crescita dei batteri è quindi direttamente correlata al numero di moli di ATP formato dai nutrienti disponibili. Parte dell’energia ottenuta dalle reazioni redox è l’energia di mantenimento richiesta dalle cellule batteriche per attività come la mobilità, per impedire il flusso indesiderato di soluti all’interno o all’esterno della cellula o per la sintesi di nuove proteine che sono costantemente degradate (McCarty, 1965).
Affinché i batteri possano sfruttare il rendimento energetico di una reazione redox, è necessaria una variazione minima di energia libera di circa 60 kJ/mol tra i reagenti e i prodotti (Delwiche, 1967). La principale fonte di energia per i batteri nella nel sottosuolo è l’ossidazione della materia organica.
I batteri che possono prosperare solo in presenza di ossigeno disciolto sono noti come batteri aerobi. I batteri anaerobi richiedono l’assenza di ossigeno disciolto. I batteri facoltativi possono prosperare con o senza ossigeno. Il limite inferiore di O2 disciolto per l’esistenza della maggior parte dei batteri aerobi è considerato di circa 0,05 mg/ℓ, ma alcune specie aerobie possono persistere a livelli più bassi. Poiché la maggior parte dei metodi comunemente usati per misurare O2 disciolto hanno un limite di rilevabilità inferiore di circa 0,1 mg/ℓ, è possibile che i batteri aerobi possano mediare reazioni redox in situazioni che potrebbero sembrare anaerobiche basate sulla mancanza di ossigeno rilevabile.
I batteri di diverse varietà possono sopportare pressioni di fluidi di molte centinaia di bar, condizioni di pH da 1 a 10, temperature da 0 a oltre 75 °C e salinità molto più elevate di quelle dell’acqua di mare. Possono migrare attraverso materiali geologici porosi e in ambienti sfavorevoli possono evolversi in corpi resistenti che possono essere attivati in un secondo momento (Oppenheimer, 1963). Nonostante queste apparenti caratteristiche di resistenza, esistono tuttavia molti ambienti sotterranei in cui la materia organica non viene ossidata ad un tasso significativo. Di conseguenza, le condizioni di ossido-riduzione non si sono ridotte a livelli bassi nonostante le centinaia o migliaia di anni o più perché le reazioni procedessero. Se le reazioni redox che richiedono la catalisi batterica non si verificano a tassi significativi, la causa è probabilmente la mancanza di uno o più nutrienti essenziali per la crescita batterica. Esistono vari tipi di nutrienti. Alcuni sono necessari per l’incorporazione nella massa cellulare dei batteri. Composti del carbonio, azoto, zolfo, e fosforo e molti metalli sono in questa categoria. Altre sostanze nutritive sono sostanze che funzionano come donatori di elettroni o fonti di energia, come acqua, ammoniaca, glucosio e H2S e sostanze che funzionano come accettori di elettroni, come ossigeno, nitrato e solfato. I macronutrienti sono quelle sostanze che sono richieste in grandi quantità come elementi costitutivi nella costruzione della cellula. I micronutrienti sono richiesti in quantità così piccole da essere difficili da rilevare. I macronutrienti richiesti da molti batteri sono simili o identici. I micronutrienti richiesti hanno maggiori probabilità di differire da specie a specie (Brock, 1966).
Sebbene i batteri svolgano un ruolo importante nell’ambiente geochimico delle acque sotterranee, lo studio dei batteri a profondità al di sotto della zona del suolo è ai suoi inizi. Il prossimo decennio o due dovrebbe produrre interessanti sviluppi in quest’area di ricerca.
Diagrammi pE–pH
I grafici che mostrano la presenza di equilibrio di ioni o minerali come domini relativi a pE (o Eh) e pH sono noti come diagrammi pE–pH o Eh–pH. Durante gli anni ’50, diagrammi di questo tipo furono sviluppati da M. J. N. Pourbaix e colleghi del Centro belga per lo studio della corrosione come strumento pratico nella chimica applicata. I risultati di questo lavoro sono riassunti da Pourbaix et al. (1963). Seguendo i metodi sviluppati dal gruppo belga, R. M. Garrels e colleghi hanno aperto la strada alle applicazioni nell’analisi dei sistemi geologici. L’uso dei diagrammi pE–pH è diventato molto diffuso in geologia, limnologia, oceanografia e pedologia. Nelle indagini sulla qualità delle acque sotterranee, viene ora posto un notevole accento sullo sviluppo di una comprensione dei processi che controllano l’insorgere e la mobilità di elementi minori e in tracce. I diagrammi pE–pH sono un aiuto importante in questo campo. La seguente discussione di questi diagrammi è solo una breve introduzione. La condizione redox sarà rappresentata da pE piuttosto che Eh, ma questa è solo una semplicità di discussione. Trattamenti completi sull’argomento sono presentati nei testi di Garrels & Christ (1965), Stumm & Morgan (1970) e Guenther (1975). Cloke (1966) fornisce una breve descrizione dei metodi per la costruzione di diagrammi Eh–pH.
Poiché è di interesse lo stato di equilibrio (cioè stabilità) per specie e minerali disciolti in ambienti acquosi, un primo passo appropriato nella considerazione delle relazioni pE–pH consiste nel determinare le condizioni in cui l’H2O è stabile. Dalle semi reazioni redox
(3.83)
(3.84)
otteniamo per condizioni a 25 °C,
(3.85)
(3.86)
Queste relazioni si tracciano come linee rette (1 e 2) sul diagramma pE–pH mostrato in Figura 3.10 (a).
Come esempio di spiegazione dei domini di stabilità di ioni e minerali, verrà preso in considerazione il sistema Fe–H2O rappresentato nella Figura 3.10. Nelle acque sotterranee, il ferro in soluzione è normalmente presente principalmente come Fe2+ e Fe3+. Queste sono le uniche specie che sono state considerate nella presente analisi. In un trattamento più dettagliato, sarebbero inclusi complessi come Fe(OH)2+, e
. I composti solidi che possono verificarsi nel sistema Fe-H2O sono elencati nella Tabella 3.12. Una serie di reazioni di riduzione che coinvolgono un materiale solido (composto del ferro) e H+ ed e come reagenti e un composto solido più ridotto e acqua come prodotti possono essere scritti per i composti in questa Tabella. Per esempio,
(3.87)
Esprimere questa reazione in forma di azione di massa, con attività di acqua e le fasi solide considerate come unitarie (per le ragioni indicate nella Sezione 3.2)
(3.88)
Fe–H2O
Stato di ossidazione | Sostanze solide |
0 | Fe |
II | FeO, Fe(OH)2 |
II and III | Fe3O4 |
III | Fe2O3, Fe(OH)3, FeOOH |
E nella forma logaritmica,
log K – pH – pE = 0 (3.89)
La costante di equilibrio in questa equazione può essere ottenuta usando l’Eq. (3.12) e tabelle di valori dell’energia libera di formazione di Gibbs (), come indicato nella Sezione 3.2. L’equazione (3.89) è rappresentata come una linea su un diagramma pE–pH come mostrato nella Figura 3.10 (b) (linea 3). Nel dominio pE–pH sopra questa linea, Fe(OH)3 è stabile; sotto la linea si riduce a Fe(OH)2. Questi sono noti come i campi di stabilità per questi due composti solidi del ferro. Linee che rappresentano le molte altre equazioni di riduzione ottenute facendo reagire i solidi della Tabella 3.12 con H+ ed e per formare composti più ridotti e le H2O possono essere costruite sul diagramma pE–pH. Tuttavia, queste linee si trovano al di fuori del campo di stabilità per l’H2O [cioè, sopra e sotto le linee (1) e (2)], di conseguenza non interessano gli studi sulle acque sotterranee.
Nella maggior parte degli studi sulle acque naturali, l’interesse si concentra sulle specie disciolte e sulle fasi minerali. Pertanto, le informazioni sulle concentrazioni di equilibrio delle specie disciolte sono comunemente incluse nei diagrammi di pE–pH. A titolo illustrativo, il sistema Fe-H2O sarà ripreso successivamente. Lo stato di ossidazione del il ferro in Fe(OH)3 a è +III. La dissociazione dell’ Fe(OH)3 moderatamente cristallino in acqua è
(3.90)
Si ricava così la legge di azione di massa,
(3.91)
Dall’eq. (3.12), si ottiene un valore di +0.32 per il log K. La relazione azione-massa può essere espressa come
(3.92)
che traccia quasi come una linea verticale sul diagramma pE–pH. Se viene specificato il pH, la linea ottenuta da questa espressione rappresenta l’attività di equilibrio del Fe3+ che esisterà in una soluzione acquosa a contatto con la fase solida, Fe(OH)3. L’equazione (3.92) indica che l’attività del Fe3+ aumenta a valori di pH più bassi. Nella costruzione dei diagrammi di pE–pH, una procedura comune è quella di scegliere una condizione di pH alla quale l’attività delle specie disciolte sia ad un livello considerato trascurabile. La scelta di questo livello dipende dalla natura del problema. A scopo illustrativo, due linee sono mostrate nella Figura 3.10 (b) [linee (4) e (5), che rappresentano le attività Fe3+ di 10–5 e 10–6]. Sebbene in teoria queste linee rappresentino attività e quindi siano prive di dimensione, possono essere valide come rappresentative della molalità, perché nelle soluzioni a bassa salinità i coefficienti di attività sono quasi uguali all’unità.
In condizioni di bassa pE, il Fe2+ è la specie dominante di ferro disciolto.
La reazione di interesse è
(3.93)
Dalla relazione di azione di massa, viene derivata la seguente espressione:
(3.94)
Per i valori [Fe2+] di 10–5 e 10–6, questa equazione è rappresentata nella Figura 3.10 rispettivamente con le linee (6) e (7). Le linee sono state sovrapposte solo sulla parte del diagramma in cui Fe(OH)2 è la fase solida stabile. Ma Fe2+ esiste anche in alcune attività di equilibrio nella parte del diagramma in cui Fe(OH)3 è la fase solida stabile. Fe2+ e Fe (OH)3 sono correlati dalla semi reazione redox
(3.95)
Dalla relazione di azione di massa,
(3.96)
dove log KFe(OH)3 = 13,30. Nella Figura 3.10 (b) questa espressione è rappresentata nelle linee (8) e (9) per i valori [Fe2+] di 10–5 e 10–6, rispettivamente.
La Figura 3.10 (c) è una versione “ripulita” del diagramma pE–pH. Illustra la forma generale in cui i diagrammi pE–pH sono normalmente presentati in letteratura. È importante ricordare che le linee di confine tra fasi solide e specie disciolte si basano su specifici valori di attività e che la validità di tutte le linee come condizioni di equilibrio termodinamicamente definite, dipende dall’affidabilità dei dati di energia libera utilizzati nella costruzione del diagramma. Nell’esempio sopra, c’è una notevole incertezza nella posizione di alcuni dei limiti perché la fase solida, Fe(OH)3, è una sostanza di cristallinità variabile che ha diversi valori a seconda della sua cristallinità.
Nel Capitolo 9, i diagrammi di pE–pH sono usati nella considerazione di altri costituenti disciolti nelle acque sotterranee. Sebbene alcuni diagrammi di pE–pH appaiano complessi, la loro costruzione può essere realizzata con procedure non molto più elaborate di quelle descritte sopra.
3.7 Scambio ionico e adsorbimento
Meccanismi
I materiali geologici porosi che sono composti da una percentuale apprezzabile di particelle di dimensioni colloidali hanno la capacità di scambiare i costituenti ionici adsorbiti sulle superfici delle particelle. Le particelle colloidali hanno diametri nell’intervallo 10–3–10–6 mm. Sono grandi rispetto alle dimensioni di piccole molecole ma sono sufficientemente piccoli in modo che le forze interfacciali siano significative nel controllare il loro comportamento. La maggior parte dei minerali argillosi ha dimensioni colloidali. I prodotti di agenti atmosferici geochimici delle rocce sono spesso colloidi inorganici, amorfi (non cristallizzati o scarsamente cristallizzati) in uno stato metastabile persistente. Questi prodotti di agenti atmosferici colloidalipossono verificarsi come rivestimenti sulle superfici di particelle molto più grandi. Anche un deposito che sembra essere composto da sabbia pulita o ghiaia può avere un contenuto colloidale significativo.
I processi di scambio ionico sono quasi esclusivamente limitati alle particelle colloidali perché queste hanno una grande carica elettrica rispetto alle loro aree superficiali. La carica superficiale è il risultato di (1) imperfezioni o sostituzioni ioniche all’interno del reticolo cristallino o (2) reazioni di dissociazione chimica sulla superficie della particella. Sostituzioni ioniche causano una carica netta positiva o negativa sul reticolo cristallino. Questo squilibrio di carica è compensato da un accumulo superficiale di ioni di carica opposta, noti come controioni. I controioni comprendono uno strato assorbito di composizione mutevole. Gli ioni di questo strato possono essere scambiati con altri ioni, a condizione che lo squilibrio di carica elettrica nel reticolo cristallino continui ad essere bilanciato.
Nei materiali geologici, i colloidi che presentano in modo caratteristico una carica superficiale causata principalmente dalla sostituzione ionica sono i minerali argillosi. I minerali argillosi comuni possono essere suddivisi in cinque gruppi: il gruppo caolinite, il gruppo montmorillonite (spesso chiamato gruppo smectite), il gruppo illite, il gruppo clorite e il gruppo vermiculite. Ogni gruppo può includere alcune o molte varietà composizionali e strutturali con nomi minerali separati. I cinque gruppi, tuttavia, sono tutti alluminosilicati stratificati. La struttura e la composizione di questi gruppi sono descritte in dettaglio nelle monografie sulla mineralogia dell’argilla di Grim (1968) e sullo scambio ionico di van Olphen (1963).
La silice, che è l’ossido più comune nella crosta terrestre e uno degli ossidi più semplici, è caratterizzata da superfici elettricamente cariche. Le superfici contengono ioni che non sono completamente coordinati e quindi hanno una carica sbilanciata. Nel vuoto, la carica netta è estremamente piccola. In caso di esposizione all’acqua, i siti carichi vengono convertiti in gruppi idrossido superficiali che controllano la carica sulla superficie minerale. La carica superficiale è sviluppata a causa della dissociazione dei gruppi OH– adsorbiti sulla superficie specifica. Per neutralizzare questa carica, si forma uno strato adsorbito di cationi e anioni in una zona adiacente allo strato idrossilato. Parks (1967) afferma che ci si dovrebbe aspettare condizioni di superficie idrossilate su tutti gli ossidi che hanno avuto la possibilità di giungere all’equilibrio con l’ambiente acquoso. A seconda che la dissociazione del gruppo idrossile sia prevalentemente acido o basico, la carica netta sullo strato idrossilato può essere negativa o positiva. La carica superficiale può anche essere prodotta dall’adsorbimento di complessi ionici carichi.
La natura della carica superficiale è una funzione del pH. A pH basso prevale una superficie caricata positivamente; a pH elevato si sviluppa una superficie caricata negativamente. Ad un certo pH intermedio, la carica sarà zero, una condizione nota come punto zero di carica (pHzpc). La tendenza all’adsorbimento di cationi o anioni dipende quindi dal pH della soluzione.
Capacità di scambio cationico
La capacità di scambio cationico (CSC) di un materiale colloidale è definita da van Olphen (1963) come l’eccesso di ioni contrapposti nella zona adiacente alla superficie o allo strato caricato che può essere scambiato con altri cationi. La capacità di scambio cationico di materiali geologici è normalmente espressa come il numero di milliequivalenti di cationi che possono essere scambiati in un campione con una massa secca di 100 g. Il test standard per determinare la CSC di questi materiali comporta (1) la saturazione dei siti di scambio con l’ miscelando il campione di terreno con una soluzione di acetato di ammonio, (2) la regolazione del pH dell’acqua interstiziale fino a 7.0, (3) la rimozione dell’
adsorbito mediante lisciviazione con una soluzione forte di NaCl (il Na+ sostituisce il
sui siti di scambio) e (4) la determinazione del contenuto di
della soluzione di lisciviazione dopo che è stato raggiunto l’equilibrio. I valori di CSC ottenuti dai test di laboratorio standard sono una misura della capacità di scambio nelle condizioni specificate nel test. Per i minerali che devono la loro capacità di scambio a reazioni di dissociazione chimica sulle loro superfici, la capacità di scambio effettiva può essere fortemente dipendente dal pH.
Il concetto di capacità di scambio cationico e la sua relazione con i minerali argillosi e la sostituzione isomorfa sono illustrati dal seguente esempio adattato da van Olphen (1963). Si consideri un’argilla montmorillonitica in cui 0,67 moli di Mg si verificano in sostituzione isomorfa di Al nell’ottaedro di allumina del reticolo cristallino. La formula unitaria per il reticolo cristallino della montmorillonite può essere espressa come
dove Ex indica cationi scambiabili. Si supporrà che i cationi scambiabili siano interamente Na+. Dai pesi atomici degli elementi, il peso della formula di questa montmorillonite è 734. Quindi, dal numero di Avogadro, 734 g di questa argilla contiene 6,02 × 10–23 celle unitarie. La cella unitaria è la più piccola unità strutturale da cui vengono assemblate le particelle di argilla. Le dimensioni unitarie tipiche della cella per la montmorillonite determinata dalle analisi di diffrazione dei raggi X sono 5,15 Å e 8,9 Å(angstrom) nel piano dei fogli ottaedrici-tetraedrici. La spaziatura tra i fogli varia da 9 a 15 Å a seconda della natura dei cationi adsorbiti e delle molecole d’acqua. La superficie totale di 1 g di argilla è
Per bilanciare la carica negativa causata dalla sostituzione del Mg, sono necessari 0,67 moli di cationi monovalenti, in questo caso di Na+, per 734 g di argilla. Espresso nelle unità normalmente utilizzate, la capacità di scambio cationico è quindi
che è equivalente a 0,915 × 6,02 × 1020 cationi monovalenti per grammo.
Poiché il numero di cationi necessari per equilibrare la carica superficiale per unità di massa di argilla e l’area superficiale per unità di massa di argilla sono ora noti, è possibile calcolare l’area di superficie disponibile per ciascun catione intercambiabile monovalente:
Il raggio idratato di Na+ è stimato nell’intervallo 5,6–7,9 Å, che corrisponde alle aree di 98,5–196,1 Å2. Il confronto di queste aree con l’area di superficie disponibile per catione monovalente indica che è necessario poco più di un monostrato di cationi adsorbiti per equilibrare la carica superficiale causata dalla sostituzione isomorfa.
Un calcolo simile per la caolinite indica che per questa argilla la superficie è di 1075 m2/g (Wayman, 1967). La capacità di scambio cationico per caolinite è tipicamente nell’intervallo 1–10 meq/100 g, e quindi un monostrato di cationi adsorbiti soddisferebbe i requisiti di bilanciamento della carica.
Equazioni di azione di massa
Seguendo la metodologia utilizzata in merito a molti altri argomenti trattati nel capitolo, si sviluppano di seguito relazioni quantitative per i processi di scambio cationico applicando la legge dell’azione di massa. Per procedere, si presume che il sistema di scambio sia costituito da due fasi distinte, la fase di soluzione e la fase di scambio. La fase di scambio consiste in tutto o in parte del mezzo poroso. Il processo di scambio ionico viene quindi rappresentato semplicemente come uno scambio di ioni tra queste due fasi,
(>3.9
dove A e B sono gli ioni intercambiabili, a e b sono il numero di moli e il suffisso (ad) rappresenta uno ione adsorbito. L’assenza di questo suffisso denota uno ione in soluzione. Dalla legge dell’azione di massa,
(3.98)
dove le quantità tra parentesi rappresentano le attività. Per lo scambio tra Na+ e Ca2+, che è molto importante in molti sistemi di acque sotterranee naturali, l’equazione di scambio è
2Na^+ + Ca(ad) = Ca^+ + 2Na(ad) (3.99)
(3.100)
Il rapporto di attività degli ioni nella soluzione può essere espresso in termini di molalità e i coefficienti di attività come
(3.101)
dove i valori dei coefficienti di attività (γA, γB) possono essere ottenuti nel modo usuale (Sezione 3.2). L’ Eq. (3.98) per essere utile è necessario ottenere valori per delle attività degli ioni adsorbiti nella fase di scambio. Vanselow (1932) propose che le attività degli ioni adsorbiti fossero impostate come uguali alle loro frazioni di mole (la Sezione 3.2 include una definizione di questa quantità). Le frazioni molari di A e B sono
dove (A) e (B), espressi in moli, sono costituenti adsorbiti. L’espressione di equilibrio diventa
(3.102)
Vanselow e altri hanno provato sperimentalmente che per alcuni sistemi di scambio che coinvolgono elettroliti e argille, è una costante. Di conseguenza,
è diventata nota come coefficiente di selettività. Nei casi in cui non è una costante, è più appropriatamente chiamata una funzione di selettività (Babcock, 1963). In molte ricerche i termini del coefficiente di attività nell’Eq. (3.101) non sono inclusi. Babcock e Schulz (1963) hanno dimostrato, tuttavia, che l’effetto del coefficiente di attività può essere particolarmente importante nel caso dello scambio di cationi-bivalenti monovalenti.
Argersinger et al. (1950) estese la teoria di Vanselow al fine di considerare maggiormente gli effetti degli ioni adsorbiti. I coefficienti di attività per gli ioni adsorbiti sono stati introdotti in una forma analoga ai coefficienti di attività del soluto.
(3.103)
La costante di equilibrio dell’azione di massa, KA–B è quindi correlata alla funzione di selettività tramite,
(3.104)
Sebbene in teoria questa equazione dovrebbe fornire un metodo valido per predire gli effetti dello scambio ionico sulle concentrazioni di cationi nelle acque sotterranee, con le notevoli eccezioni delle indagini di Jensen e Babcock (1973) e El Prince and Babcock (1975), gli studi di scambio cationico generalmente non includono la determinazione dei valori di K and γ(ad). Le informazioni sui coefficienti di selettività sono molto più comuni in letteratura. Per la coppia di scambio Mg2+–Ca2+, Jensen e Babcock e altri hanno osservato che il coefficiente di selettività è costante su ampi intervalli di rapporto (Mg2+)(ad)/(Ca2+)(ad) e forza ionica. I valori di sono in genere nell’intervallo 0,6–0,9. Questo indica che il Ca2+ è adsorbito preferenzialmente al Mg2+.
L’interesse nei processi di scambio cationico nelle acque sotterranee si concentra solitamente sulla questione di cosa accadrà alle concentrazioni di cationi in soluzione mentre l’acqua si sposta in una zona in cui vi è una significativa capacità di scambio cationico. Gli strati che possono alterare la chimica delle acque sotterranee mediante scambio cationico possono possedere altre importanti proprietà geochimiche. Per semplicità, questi ultimi sono esclusi da questa discussione. Quando le acque sotterranee con una determinata composizione si spostano in una zona di scambio cationico, le concentrazioni dei cationi si adattano a una condizione di equilibrio di scambio. Le concentrazioni di cationi di equilibrio dipendono dalle condizioni iniziali, quali: (1) le concentrazioni di cationi dell’acqua che entra nei pori in cui avviene lo scambio e (2) le frazioni molari dei cationi adsorbiti sulle superfici dei pori immediatamente prima dell’ingresso di nuova acqua interstiziale. Quando ogni nuovo volume d’acqua si muove attraverso lo spazio dei pori, viene stabilito un nuovo equilibrio in risposta al nuovo insieme di condizioni iniziali. Il movimento continuo delle acque sotterranee attraverso la zona di scambio cationico può essere accompagnato da una chimica dei pori che cambia gradualmente, anche se l’equilibrio di scambio nell’acqua interstiziale è mantenuto in ogni momento. Questa condizione di cambiamento dell’equilibrio è particolarmente caratteristica dei processi di scambio cationico nella falda acquifera ed è anche associata ad altri processi idrochimici in cui il flusso idrodinamico causa la sostituzione continua dell’acqua interstiziale con il verificarsi di rapide interazioni acqua-minerale.
Il seguente esempio illustra come le reazioni di scambio possono influenzare la chimica delle acque sotterranee. Si considera la reazione
(3.105)
che porta a
(3.106)
dove è il coefficiente di selettività, γ indica il coefficiente di attività, (Ca2+) e (Mg2+) sono le molalità, e NMg e NCa sono le frazioni molari di Mg2+ e Ca2+ adsorbite. Per forze ioniche basse e moderate, i coefficienti di attività di Mg2+ e Ca2+ sono simili (Figura 3.3) ed l’Eq. (3.106) può essere semplificata a
(3.107)
In questo esempio, lo scambio avviene quando le acque sotterranee a bassa forza ionica con Mg2+ e Ca2+ di 1 × 10–3 attraversano uno strato argilloso con una capacità di scambio cationico di 100 meq/100 g. Le concentrazioni di altri cationi nell’acqua possono essere considerate trascurabili. Si presume che prima dell’interazione delle acque sotterranee con lo strato argilloso, i siti di scambio sull’argilla siano condivisi in parti uguali da Mg2+ e Ca2+. La condizione di adsorbimento iniziale è quindi NMg = NCa. Per calcolare le concentrazioni di cationi all’equilibrio, sono richieste informazioni sulla porosità o densità della massa secca. Si presume che la porosità sia 0,33 e che la densità di massa sia 2,65 g/cm3. Una stima ragionevole per la massa secca è quindi di 1,75/cm3. In questo contesto è conveniente esprimere le concentrazioni dei cationi in soluzione come moli per litro, che a basse concentrazioni è uguale alla molalità. Poiché la porosità è 0,33, espressa come frazione, ogni litro di acqua nello strato argilloso è a contatto con 2 × 103 cm3 di solidi con massa 5,3 × 103 g. Poiché la CSC è 1 meq/g e poiché 1 mol di Ca2+ o Mg2+ = 2 equivalenti, 5,3 × 103 g di argilla avrà un totale di 5,3 equivalenti, che equivale a 1,33 moli di Mg2+ adsorbito e 1,33 moli di Ca2+. Si presume che l’acqua freatica fluisca nell’argilla satura d’acqua e sostituisca totalmente acqua interstiziale originaria. Le concentrazioni di Ca2+ e di Mg2+ nelle acque sotterranee che entrano nello strato argilloso possono ora essere calcolate. Verrà utilizzato un valore pari a 0,6 supponendo che lo spostamento dell’acqua interstiziale avvenga istantaneamente con dispersione idrodinamica trascurabile. Poiché le condizioni iniziali sono specificate come NMg = NCa, un litro di acqua è a contatto con l’argilla che ha 1,33 mol di Mg2+ e 1,33 mol di Ca2+ sui siti di scambio. Rispetto alle concentrazioni di Mg2+ e Ca2+ nelle acque sotterranee, lo strato adsorbito sulle particelle di argilla è un grande serbatoio di cationi scambiabili.
La sostituzione dei valori iniziali nella parte destra nei campi dell’Eq. (3.107) fornisce un valore per il quoziente della reazione [Eq. (3.60)]:
Affinché la reazione proceda all’equilibrio rispetto alla nuova acqua interstiziale, deve diminuire ad un valore di 0,6 per raggiungere la condizione di Q = K. Ciò avviene per adsorbimento di Ca2+ e rilascio di Mg2+ nella soluzione. L’equilibrio si ottiene quando (Ca2+) = 0,743 × 10–3, (Mg2+) = 1,257 × 10–3, NCa = 0,500743, e NMg = 0,499257. Il rapporto dei cationi adsorbiti non è cambiato in modo significativo, ma il rapporto (Mg2+)/(Ca2+) per le specie disciolte è aumentato da 1 a 1,7. Se l’acqua sotterranea continua a fluire attraverso lo strato argilloso, le concentrazioni di cationi all’ equilibrio rimarranno come sopra indicato fino a quando sarà passato un numero sufficiente di volumi di acqua corrispondente al volume dei pori per far sì che il rapporto dei cationi adsorbiti cambi gradualmente. Alla fine, il rapporto NMg/NCa diminuisce fino a un valore di 0,6, momento in cui l’argilla non sarà più in grado di modificare le concentrazioni di Mg2+ e Ca2+ nell’acqua di falda in ingresso. Se il chimismo dell’acqua in ingresso cambia, l’equilibrio di stato stazionario non sarà raggiunto.
Questo esempio illustra la natura dinamica degli equilibri di scambio cationico. Poiché le reazioni di scambio tra cationi e argille sono normalmente veloci, ci si può aspettare che le concentrazioni di catione nelle acque sotterranee siano all’equilibrio di scambio, tuttavia molte migliaia o milioni di volumi di acqua corrispondente al volume dei pori potrebbero dover passare attraverso il mezzo poroso prima che il rapporto dei cationi adsorbiti si adatti completamente all’acqua di ingresso. A seconda delle condizioni geochimiche e idrologiche, potrebbero essere necessarie finestre temporali di milioni di anni.
Lo scambio che coinvolge i cationi della stessa valenza è caratterizzato dalla preferenza per uno degli ioni se il coefficiente di selettività è maggiore o minore dell’unità. Il normale ordine di preferenza per alcuni cationi monovalenti e bivalenti per la maggior parte delle argille è
Affinità per l’adsorbimento
Cs+ > Rb+ > K+ > Na+ > Li+
Più forte più debole
Ba2+ > Sr2+ > Ca2+ > Mg2+
Gli ioni bivalenti hanno normalmente un’affinità di adsorbimento più forte rispetto a quelli monovalenti, sebbene ciò dipenda in una certa misura dalla natura dello scambiatore e dalla concentrazione delle soluzioni (Wiklander, 1964). Entrambe le sequenze di affinità procedono nella direzione dell’aumentare dei raggi ionici idratati, con assorbimento forte per quegli ioni idratati più piccoli e assorbimento debole per gli ioni più grandi. Va tenuto presente, tuttavia, che la direzione in cui procede una reazione di scambio cationico dipende anche dal rapporto delle frazioni di moli adsorbite nella condizione iniziale e dal rapporto di concentrazione dei due ioni in soluzione. Ad esempio, se consideriamo la condizione di scambio di Mg–Ca utilizzata nei calcoli di equilibrio presentati sopra ma alteriamo la condizione iniziale di ioni adsorbiti a NMg 0,375 e NCa = 0,625, non ci sarebbe alcun cambiamento nelle concentrazioni di Mg2+ e Ca2+ al contatto delle acque con le argille. Se le condizioni iniziali di ioni adsorbiti erano tali che il rapporto NMg/NCa era inferiore a 0,6, la reazione di scambio procedeva nella direzione opposta [a destra nell’Eq. (3.105)], facendo in modo che il rapporto (Mg2+)/(Ca2+) diminuisca. Ciò indica che per determinare la direzione in cui procede una reazione di scambio ionico, sono richieste maggiori informazioni rispetto alla semplice serie di affinità di adsorbimento presentata sopra.
Le più importanti reazioni di scambio cationico nei sistemi di acque sotterranee sono quelle che coinvolgono cationi monovalenti e bivalenti come Na+–Ca2+, Na+–Mg2+, K+–Ca2+ e K+–Mg2+. Per queste reazioni,
2A+ + B(ad) = B2+ + 2A(ad) (3.108)
(3.109)
La reazione di scambio Na+–Ca2+ è di particolare importanza quando si verifica nelle argille montmorillonitiche (smectite) perché può causare grandi cambiamenti di permeabilità del substrato. Le argille del gruppo montmorillonite possono espandersi e contrarsi in risposta ai cambiamenti nella composizione del catione adsorbito tra gli strati cristallini. I raggi idratati di Na+ e Ca2+s ono tali che due Na+ idratati richiedono più spazio di un Ca2+. Quindi, la sostituzione di Ca2+ con Na+ sui siti di scambio provoca un aumento della dimensione del reticolo cristallino. Ciò si traduce in una diminuzione della permeabilità. Ciò può causare un degrado nella produttività agricola dei terreni.
3.8 Isotopi ambientali
Fin dagli inizi degli anni ’50 gli isotopi naturali presenti nell’acqua nel ciclo idrologico sono stati utilizzati nelle indagini sui sistemi idrici sotterranei e superficiali. Di primaria importanza in questi studi sono il trizio (3H) e il carbonio 14 (14C), che sono radioattivi, l’ossigeno 18 (18O) e il deuterio (2H), che non sono radioattivi (Tabella 3.1). Questi ultimi sono noti come isotopi stabili. Il trizio e il deuterio sono spesso rappresentati come T e D, rispettivamente. 3H e 14C sono usati come guida per l’età delle acque sotterranee. 18O e 2H servono principalmente come indicatori delle arre di ricarica delle acque sotterranee e come indicatori di evaporazione nei corpi idrici superficiali.
In questo testo questi quattro isotopi sono gli unici isotopi ambientali per cui sono descritte le applicazioni idrogeologiche. Per le discussioni sulla teoria e sull’uso idrologico o idrochimico di altri isotopi presenti in natura, come carbonio 13, azoto 15 e zolfo 34, si rimanda il lettore a Back & Hanshaw (1965), Kreitler & Jones (1975) e Wigley (1975). Esistono molte situazioni in cui i dati isotopici possono fornire preziose informazioni idrologiche che altrimenti non potrebbero essere ottenute. Tecniche sofisticate per la misurazione degli isotopi sopra menzionati in acqua sono disponibili da diversi decenni, durante i quali l’uso di questi isotopi negli studi sulle acque sotterranee è gradualmente aumentato.
Carbonio 14
Prima dell’avvento di grandi test termonucleari non più sotterranei nel 1953, il 14C nell’atmosfera globale derivava interamente dal processo naturale di trasmutazione dell’azoto causato dal bombardamento dei raggi cosmici. Questa produzione di 14C è stata stimata in circa 2,5 atomi/s • cm2 (Lal & Suess, 1968). L’ossidazione a CO2 avviene rapidamente, seguita dalla miscelazione con il serbatoio atmosferico (CO2). La concentrazione allo stato stazionario di 14C nell’atmosfera è di circa un atomo di 14C in 1012 atomi di carbonio ordinario (12C). Studi sul contenuto in 14C degli anelli degli alberi indicano che questa concentrazione di 14C è variata solo leggermente negli ultimi 7000 anni. Altre prove suggeriscono che non ci sono stati grandi cambiamenti nelle concentrazioni atmosferiche di 14C nelle ultime decine di migliaia di anni.
La legge del decadimento radioattivo descrive la velocità con cui l’attività di 14C e tutte le altre sostanze radioattive diminuisce nel tempo. Questa è espressa come
A = A02–t/T (3.110)
dove A0 è il livello di radioattività in un momento iniziale, A il livello di radioattività dopo il tempo t, e T l’emivita dell’isotopo. Questa legge, in combinazione con le misurazioni del contenuto di 14C delle acque sotterranee, può essere utilizzata come guida per la determinazione dell’età delle stesse acque. In questo contesto, il termine età si riferisce al periodo di tempo trascorso da quando l’acqua si è spostata abbastanza in profondità nella zona di falda per essere isolata dall’atmosfera terrestre.
L’uso del 14C per la datazione delle acque sotterranee fu proposto per la prima volta da Mtinnich (1957), in seguito allo sviluppo di tecniche per la datazione del 14C in materiali solidi carboniosi introdotte dal premio Nobel W.F. Libby nel 1950. Quando l’acqua si muove in un aquifero e diventa isolata dal serbatoio di CO2 atmosferica, il decadimento radioattivo fa sì che il contenuto di 14C nel carbonio disciolto si elimini gradualmente. L’espressione per il decadimento radioattivo [Eq. (3.110)] può essere riorganizzata e in seguito alla sostituzione dei campi di T = 5730 anni
(3.111)
dove A0 è l’attività specifica (disintegrazioni per unità di tempo per unità di massa del campione) di carbonio 14 nell’atmosfera terrestre, A l’attività per unità di massa del campione e t l’età di decadimento del carbonio. Nelle indagini sulle acque sotterranee le determinazioni di 14C vengono effettuate su campioni di carbonio inorganico che vengono estratti da campioni di acque sotterranee che generalmente variano in volume da 20 a 200 ℓ. La massa di carbonio necessaria per un’analisi accurata con metodi normali è di circa 3 g. I valori di 14C ottenuti in questo modo sono una misura del contenuto di 14C nella CO2(aq), H2CO3, CO32– e nell’acqua al momento del campionamento. Il 14C può anche essere presente nel carbonio organico disciolto sotto forma gli acidi fulvici e umici, ma questa fonte di 14C è piccola e normalmente non è inclusa negli studi sull’età delle acque sotterranee.
L’attività specifica del 14C nel carbonio che era in equilibrio con l’atmosfera terrestre prima dei test atmosferici di dispositivi termonucleari è di circa 10 disintegrazioni al minuto per grammo (dpm/g). Le moderne attrezzature per la misurazione del 14C possono rilevare livelli di attività a partire da circa 0,02 dpm/g. La sostituzione di queste attività specifiche nei campi dell’eq. (3.111) produce un’età massima di 50.000 anni. Va sottolineato che questa è un’età apparente del carbonio inorganico disciolto. Per ottenere alcune utili informazioni idrologiche da questo tipo di dati, è necessario determinare la fonte del carbonio inorganico. La calcite e la dolomite si rinvengono in molti ambienti sotterranei. Il carbonio che entra nella falda freatica per dissoluzione di questi minerali può causare la diluizione del contenuto di 14C del carbonio inorganico totale nell’acqua. Ciò può accadere perché nella maggior parte dei sistemi di acque sotterranee la calcite e la dolomite sono molto più vecchie di 50.000 anni. Il loro carbonio è quindi privo di quantità significative di 14C e viene spesso definito carbonio “morto”. Per ottenere stime sull’età effettiva delle acque sotterranee dai dati di 14C è necessario determinare in quale misura come questo carbonio morto abbia ridotto il contenuto relativo di 14C delle acque sotterranee. Un’indicazione di come questo può essere fatto è descritto nel Capitolo 7.
Trizio
La presenza di trizio nelle acque del ciclo idrologico deriva da fonti sia naturali che antropogeniche. In modo simile alla produzione del 14C, il 3H è prodotto naturalmente nell’atmosfera terrestre dall’interazione di neutroni prodotti dai raggi cosmici con l’azoto. Lal & Peters (1962) stimarono che il tasso di produzione atmosferica fosse di 0,25 atomi/s • cm2. Nel 1951, Van Grosse e colleghi hanno scoperto che il 3H si rinviene naturalmente nelle precipitazioni. Due anni dopo grandi quantità di trizio artificiale entrarono nel ciclo idrologico come risultato di test atmosferici su larga scala di bombe termonucleari. Sfortunatamente, sono state effettuate poche misurazioni del trizio naturale nelle precipitazioni prima che si verificasse la contaminazione atmosferica. È stato stimato che, prima dell’inizio dei test atmosferici nel 1952, il contenuto naturale di trizio nelle precipitazioni si trovava nell’intervallo di circa 5 unità di trizio (Payne, 1972). Un’unità di trizio è l’equivalente di 1 atomo di trizio in 1018 atomi di idrogeno. Poiché l’emivita del 3H è di 12,3 anni, si prevede che le acque sotterranee ricaricate prima del 1953 abbiano concentrazioni di 3H inferiori a circa 2-4 TU. La prima grande fonte di 3H prodotta dall’uomo entrò nell’atmosfera durante i test iniziali dei grandi dispositivi termonucleari nel 1952. Questi test furono seguiti da ulteriori test nel 1954, 1958, 1961 e 1962 prima della moratoria sulle prove atmosferiche concordata tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Dall’inizio dei test termonucleari, il contenuto in trizio delle precipitazioni è stato monitorato in numerose località dell’emisfero settentrionale e in un numero minore ma significativo di località nell’emisfero meridionale. Considerando i dati indipendentemente dagli emisferi, c’è un forte parallelismo nella concentrazione di 3H nel tempo, sebbene i valori assoluti varino da un posto all’altro (Payne, 1972). Nell’emisfero australe, i valori di 3H sono molto più bassi a causa del rapporto più elevato tra area oceanica e area continentale. La più lunga registrazione continua di concentrazioni di 3H nelle precipitazioni proviene da Ottawa, in Canada, dove il campionamento è iniziato nel 1952. Il record di 3H in funzione del tempo per questa stazione è mostrato nella Figura 3.11. Le tendenze visualizzate in questo grafico sono rappresentative delle tendenze di 3H registrate nell’emisfero settentrionale. I dati sul trizio ottenuti dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) da una rete di campionamento globale consentono di stimare le tendenze di 3H rispetto al tempo per aree in cui non ci sono stazioni di campionamento o solo registrazioni a breve termine. Ad una data latitudine le concentrazioni di trizio nelle precipitazioni presso le stazioni di campionamento vicino alla costa sono inferiori a quelle interne a causa della diluizione da vapore acqueo oceanico, che è a basso contenuto di trizio.
Le misurazioni delle concentrazioni di trizio possono essere un valido aiuto in molti tipi di indagini sulle acque sotterranee. Se un campione di acque sotterranee da una località dell’emisfero settentrionale contiene trizio a livelli di concentrazione di centinaia o migliaia di TU, è evidente che l’acqua, o almeno una grande parte di questa, si sia infiltrata in falda successivamente l’anno 1953. Se l’acqua ha meno di 5–10 TU, deve aver avuto origine antecedente il 1953. Utilizzando metodi di routine per la misurazione del trizio nei campioni di acqua, è possibile rilevare concentrazioni a partire da circa 5–10 TU.
Utilizzo di metodi speciali per la concentrazione di 3H da campioni di acqua, è possibile misurare valori fino a circa 0,1 TU. Se i campioni non contengono 3H rilevabili nelle misurazioni di routine, è di solito ragionevole concludere che quantità significative di acqua post 1953 non sono presenti. L’acqua del post-1953 viene spesso definita acqua moderna o acqua con trizio da esperimenti nucleari.
I dati del trizio provenienti da modelli di campionamento dettagliati possono talvolta essere utilizzati per distinguere le diverse fasce d’età all’interno della parte moderna dell’acqua dei sistemi di flusso delle acque sotterranee. Per questo tipo di utilizzo del trizio, l’impostazione stratigrafica dovrebbe essere semplice in modo che i modelli di flusso complessi non ostacolino l’identificazione delle tendenze del trizio. In situazioni in cui le concentrazioni di 3H di due zone di flusso adiacenti sono ben definite, i dati del trizio possono essere utili per distinguere le zone di miscelazione. L’utilità del trizio negli studi sulle acque sotterranee è rafforzata dal fatto che non è significativamente influenzato da reazioni diverse da quella del decadimento radioattivo.
Ossigeno e deuterio
Con l’avvento dello spettrometro di massa, è stato possibile, all’inizio degli anni ’50, effettuare misure rapide e accurate dei rapporti isotopici. Di particolare interesse per gli idrologi sono i rapporti degli isotopi principali che comprendono la molecola d’acqua, 18O/16O e 2H/1H. I rapporti isotopici sono espressi in unità delta (∂) come per mille (parti per mille ‰) differenze relative a uno standard arbitrario noto come standard mean ocean water (SMOW):
∂‰ = [(R – Rstandard)/Rstandard] × 1000 (3.112)
dove R e Rstandard sono i rapporti isotopici, 2H/1H o 18O/16O, del campione e dello standard, rispettivamente. L’accuratezza della misurazione è generalmente migliore di ± 0,2‰; e ± 2‰ per ∂18O e ∂2H, rispettivamente.
Le varie forme di isotopiche dell’acqua hanno pressioni di vapore e punti di congelamento leggermente diversi. Queste due proprietà danno luogo a differenze nelle concentrazioni di 18O e 2H in acqua nei vari comparti del ciclo idrologico. Il processo mediante il quale il contenuto isotopico di una sostanza cambia a seguito di evaporazione, condensazione, congelamento, fusione, reazioni chimiche o processi biologici è noto come frazionamento isotopico. Quando l’acqua evapora dagli oceani, il vapore acqueo prodotto viene depletato o impoverito in 18O e 2H rispetto all’acqua oceanica, di circa 12–15‰ in 18O e di 80–120‰ in 2H. Quando il vapore acqueo si condensa, la pioggia o la neve che si formano ha più alte concentrazioni di 18O e 2H rispetto al vapore acqueo residuo. Poiché il vapore acqueo si sposta verso l’entroterra come parte dei sistemi di circolazione atmosferica regionali o continentali, e mentre il processo di condensazione e precipitazione viene ripetuto molte volte, la pioggia o la neve si caratterizzano per basse concentrazioni degli isotopi pesanti 18O e 2H. Il contenuto di 18O e 2H di precipitazione in una determinata località ed in un determinato momento dipende in modo generale dalla posizione all’interno della massa continentale, e più specificamente dalla storia di condensazione-precipitazione del vapore acqueo atmosferico. Poiché sia la condensazione che il frazionamento isotopico sono processi temperatura- dipendenti, anche la composizione isotopica della precipitazione dipende dalla temperatura. L’effetto combinato di questi fattori è che (1) vi sono forti tendenze continentali nella composizione isotopica annuale media delle precipitazioni, (2) esiste una forte variazione stagionale nella composizione isotopica mediata nel tempo delle precipitazioni in un dato luogo, e (3) la composizione isotopica della pioggia o della neve durante un evento di precipitazione singolo è molto variabile e imprevedibile. Nelle aree continentali, i valori della pioggia possono variare tra circa 0 e –25‰ per 18O e da 0 a –150‰ per 2H, anche se i valori medi presentano minime variazioni annuali. A causa delle variazioni di temperatura nella zona della condensazione atmosferica o degli effetti di esaurimento isotopico, possono verificarsi grandi variazioni anche durante i singoli eventi piovosi. Le modifiche possono anche verificarsi nella goccia di pioggia durante la sua caduta, specialmente all’inizio di un temporale e in regioni aride o semiaride.
Nelle zone profonde del sottosuolo dove le temperature sono superiori a 50–100 °C, il contenuto di 18O e 2H delle acque sotterranee può essere significativamente alterato a seguito di interazioni chimiche con la roccia ospite. Nei sistemi di acque sotterranee a bassa temperatura con temperature nella norma, le concentrazioni di questi isotopi sono poco o per nulla influenzate dai processi chimici. In questi regimi di flusso, 18O e 2H sono traccianti non reattivi, presenti in natura e che hanno concentrazioni determinate dalla composizione isotopica della precipitazione che cade sulla superficie del terreno e dalla quantità di evaporazione che si verifica prima che l’acqua penetri nel sottosuolo. Successivamente all’infiltrazione, le concentrazioni di 18O e 2H diventano una proprietà caratteristica della massa d’acqua sotterranea, che in molti assetti idrogeologici consente di determinare le aree di origine e i modelli di miscelazione mediante campionamento e analisi di questi isotopi. Le concentrazioni di
2H e 18O ottenute da indagini sulle precipitazioni globali sono correlate in base alla relazione (Dansgaard, 1964)
∂2H‰ = 8∂18O‰ + 10 (3.113)
che è nota come la linea dell’acqua meteorica. Le correlazioni lineari con coefficienti solo leggermente diversi da questo sono ottenute da studi di precipitazioni locali. Quando l’acqua evapora dai corpi idrici superficiali o sub-superficiali in condizioni naturali, si arricchisce in 18O e 2H. Il grado relativo di arricchimento è diverso dall’arricchimento che si verifica durante la condensazione. Il rapporto di ∂18O/∂2H per la precipitazione che è parzialmente evaporata è maggiore del rapporto per le precipitazioni normali ottenuto dall’Eq. (3.113). La partenza delle concentrazioni di 18O e 2H dalla linea di acqua meteorica è una caratteristica degli isotopi che può essere utilizzata in una varietà di indagini idrologiche, compresi studi sull’influenza delle acque sotterranee sul bilancio idrologico dei laghi e dei bacini idrici e gli effetti dell’evaporazione sull’ infiltrazione.
3.9 Misurazione in capo degli indici parametrici
La descrizione delle tecniche di laboratorio utilizzate nell’analisi chimica o isotopica dei campioni d’acqua va oltre lo scopo di questo testo. Per questo tipo di informazioni, si rimanda il lettore a Rainwater & Thatcher (1960) e all’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti (1974b). Lo scopo qui è quello di descrivere brevemente i metodi con cui vengono misurati diversi indici parametrici utili nelle indagini di campo. Questi parametri sono conducibilità elettrica specifica, pH, potenziale redox e ossigeno disciolto. Negli studi sulle acque sotterranee ciascuno di questi parametri può essere misurato in campo immergendo le sonde in campioni d’acqua o abbassando le sonde giù in pozzi o piezometri.
La conducibilità elettrica è la capacità di una sostanza di condurre una corrente elettrica. Ha unità di ohm-metri reciproci, indicati nel sistema SI come siemens per metro (S/m). La conducibilità elettrica è la conducibilità di un corpo o una massa di fluido di lunghezza unitaria e sezione trasversale unitaria a una temperatura specificata. Nella letteratura sulle acque sotterranee, la conducibilità elettrica è stata normalmente segnalata come milliohms o reciproci microohms, noti come millimhms e microhms. Nel sistema SI, 1 millimho è indicato come 1 millisiemen (mS) e 1 microhm come 1 micromisiemen (μS).
L’acqua pura allo stato liquido ha una conducibilità elettrica molto bassa, meno di un decimo di un microsiemes a 25 °C (Hern, 1970). La presenza di specie ioniche cariche in soluzione rende la soluzione conduttiva. Poiché le acque naturali contengono una varietà di specie sia ioniche che non cariche in varie quantità e proporzioni, le determinazioni della conducibilità non possono essere utilizzate per ottenere stime accurate delle concentrazioni di ioni o di solidi totali disciolti. Come indicazione generale dei solidi totali disciolti (TDS), tuttavia, i valori di conducibilità specifici sono spesso utili in modo pratico. Per la conversione tra valori di conducibilità e TDS, viene utilizzata la seguente relazione (Hem, 1970):
TDS = AC(3.114)
dove C è la conduttanza in microsiemens o micromhos, TDS è espresso in g/m3 o mg/ℓ, e A è un fattore di conversione. Per la maggior parte delle acque sotterranee, A è compreso tra 0,55 e 0,75, a seconda della composizione ionica della soluzione.
Le misurazioni della conducibilità elettrica possono essere effettuate sul campo semplicemente immergendo una cella di conduttanza in campioni di acqua o calandole nei pozzi e quindi registrando la conducibilità su un galvanometro. Le apparecchiature robuste e adatte per il loro uso in campo sono largamente diffuse in commercio. Negli studi sulle acque sotterranee, le misure di conducibilità vengono comunemente effettuate sul campo in modo che le variazioni dei solidi disciolti possano essere determinate senza il ritardo associato al trasporto dei campioni in laboratorio. Nel caso in cui le distribuzioni dei valori di conduttanza delle acque sotterranee siano mappate sul campo, i programmi di campionamento possono essere regolati per tenere conto di anomalie o tendenze che possono essere identificate e gestite al procedere delle attività di campagna.
Per evitare cambiamenti causati dalla fuga di CO2 dall’acqua, le misurazioni del pH delle acque sotterranee vengono normalmente effettuate sul campo immediatamente dopo la raccolta del campione. L’anidride carbonica nelle acque sotterranee normalmente si rinviene ad una pressione parziale molto più alta rispetto quella relativa all’atmosfera terrestre. Quando l’acqua di falda viene esposta all’atmosfera, la CO2 sfuggirà e il pH aumenterà di conseguenza. L’incremento nella variazione di pH per una data diminuzione in PCO2 può essere calcolato usando i metodi descritti nella Sezione 3.3. Per le misurazioni sul campo del pH, sono generalmente utilizzati dei pHmetri portatili e degli elettrodi. Solitamente i campioni vengono prelevati mediante pompaggio o campionatori in foro o piuttosto immergendo gli stessi elettrodi nei pozzi. Una descrizione dettagliata della teoria e dei metodi di misurazione del pH in acqua sono presentati da Langmuir (1970).
L’ossigeno disciolto è un altro importante parametro idrochimico che viene comunemente misurato sul campo immergendo una piccola sonda in campioni d’acqua o in pozzi. In una sonda per ossigeno disciolto, le molecole di gas ossigeno diffondono attraverso una membrana in una cella di misura ad una velocità proporzionale alla pressione parziale di ossigeno nell’acqua. All’interno del sensore, l’ossigeno reagisce con un elettrolita e viene ridotto da una tensione applicata. La corrente generata è direttamente proporzionale alla pressione parziale di ossigeno nell’acqua esterna al sensore (Back and Hanshaw, 1965). Sono disponibili in commercio robuste sonde di ossigeno disciolto collegate a misuratori portatili. Queste possono essere immerse in pozzi o piezometri per ottenere misure rappresentative delle condizioni in situ. L’ossigeno disciolto può anche essere misurato sul campo con una tecnica di titolazione nota come metodo Winkler (US Environmental Protection Agency, 1974b).
Le sonde di ossigeno disciolto generalmente utilizzate hanno un limite di rilevabilità di circa 0,1 mg/ℓ. Sonde ad alta precisione sono in grado di misurare l’ossigeno disciolto fino a 0,01 mg/ℓ. Anche a contenuto di ossigeno disciolto vicino a questi limiti di rilevazione, l’acqua di falda può avere abbastanza ossigeno per fornire la capacità considerevole per l’ossidazione di molti tipi di costituenti ridotti. I valori Eh o pE possono essere calcolati dai valori misurati dell’ossigeno disciolto per mezzo di (3.77). La concentrazione di ossigeno disciolto viene convertita in PO2 usando la legge di Henry (PO2 = O2 disciolto/KO2), dove KO2 a 25 °C è 1,28 × 10–3moli/bar). A pH 7, i valori di pE ottenuti in questo modo utilizzando valori di ossigeno disciolto ai limiti di rilevabilità sopra indicati sono 13.1 e 12.9, o espressi come Eh, 0,78 e 0,76 V, rispettivamente. La Figura 3.10 indica che questi valori si avvicinano al limite superiore del dominio pE-pH per l’acqua. Se l’acqua è satura di ossigeno disciolto (cioè, in equilibrio con l’ossigeno nell’atmosfera terrestre), la pE calcolata è 13.6. Per i valori di pE calcolati dalle concentrazioni di ossigeno disciolto e per servire da vera indicazione della condizione redox dell’acqua, l’ossigeno disciolto deve essere la specie ossidante di controllo nell’acqua con condizioni redox prossime all’equilibrio. I valori misurati di altri costituenti multivalenti disciolti possono anche essere utilizzati per ottenere stime delle condizioni redox delle acque sotterranee. Ulteriori discussioni su questo argomento sono incluse nel Capitolo 7.
Un altro approccio per ottenere stime della condizione redox per le acque sotterranee è misurare il potenziale elettrico dell’acqua usando un sistema di elettrodi che include un elettrodo metallico inerte (il platino è quello maggiormente diffuso). Difatti sono disponibili in commercio sistemi di elettrodi noti come sonde Eh. Per registrare il potenziale elettrico, questi elettrodi possono essere collegati agli stessi misuratori utilizzati per misurare il pH. Affinché queste letture abbiano un significato, le sonde devono essere immerse in pozzetti o piezometri, o collocate in contenitori che limitino il contatto del campione con l’atmosfera. Per alcune zone di acque sotterranee i potenziali misurati in questo modo sono un’indicazione delle condizioni di ossidoriduzione, ma in molti casi non lo sono. Discussioni dettagliate sulla teoria e sul significato dell’approccio dell’elettrodo alle misurazioni redox sono fornite da Stumm & Morgan (1970) e Whitfield (1974).
Letture consigliate
BLACKBURN, T. R. 1969. Equilibrium, A Chemistry of Solutions. Holt, Rinehart and Winston, New York, pp. 93–111.
GARRELS, R. M., and C. L. CHRIST. 1965. Solutions, Minerals, and Equilibria. Harper & Row, New York, pp. 1–18, 50–71.
KRAUSKOPF, K. 1967. Introduction to Geochemistry. McGraw-Hill, New York, pp. 3–23, 29–54, 206–226, 237–255.
STUMM, W., and J. J. MORGAN. 1970. Aquatic Chemistry. Wiley-Interscience, New York, pp. 300–377.
Problemi
Nei problemi elencati di seguito per i quali sono richiesti i calcoli, trascurare il verificarsi di associazioni o complessi ionici quali ,
,
,
e
. Le informazioni ottenibili da alcune delle figure di questo testo dovrebbero servire da guida per molti dei problemi.
- Un’analisi di laboratorio indica che il carbonio inorganico totale disciolto in un campione di acqua di falda è 100 mg/ℓ (espresso come C). La temperatura nella falda acquifera è di 15 °C, il pH è 7,5 e la forza ionica è 0,05. Quali sono le concentrazioni di H2CO3, CO32- e
e la pressione parziale di CO2? La PCO2 è compresa nell’intervallo che è comune per le acque sotterranee?
- Viene iniettata dell’acqua salina in una falda acquifera che è confinata al di sotto da una roccia impervia e al di sopra da uno strato di argilla densa non fratturata di 10 m di spessore. Un acquifero si rinviene al di sopra di questo aquitardo. Il contenuto di Cl– dell’acqua iniettata è 100.000 mg/ℓ. Stimare il tempo che sarebbe necessario per il Cl– per muoversi per diffusione molecolare attraverso dall’aquitardo argilloso alla falda acquifera. Esprimi la tua risposta in termini di un range di tempo che sarebbe ragionevole alla luce delle informazioni disponibili. Supponiamo che la velocità del flusso idraulico attraverso l’argilla sia insignificante rispetto alla velocità di diffusione.
- Due strati orizzontali e permeabili di arenaria in un profondo bacino sedimentario sono separati da un letto di 100 m di scisto montmorillontico non fratturato. Uno degli strati di arenaria ha un totale di solidi dissolti di 10.000 mg/ℓ; l’altro ne ha 100.000 mg/ℓ. Stimare la più grande differenza di potenziale che potrebbe svilupparsi, date le condizioni idrodinamiche favorevoli, attraverso lo scisto come risultato dell’effetto dell’osmosi (per l’attività dell’acqua nelle soluzioni saline, vedi Robinson & Stokes, 1965). Il sistema ha una temperatura di 25 °C. Quali fattori regolerebbero l’effettiva differenza di potenziale che si svilupperebbe?
- L’acqua piovana si infiltra in un deposito di sabbia composto da quarzo e feldspato. A livello del suolo, l’acqua è a contatto con l’aria che ha una pressione parziale di 10–1.5 Il sistema ha una temperatura di 10°C. Stima il pH dell’acqua del suolo. Supponiamo che le reazioni tra l’acqua e la sabbia siano così lente da non influenzare in modo significativo la composizione chimica dell’acqua.
- I risultati di un’analisi chimica delle acque sotterranee sono i seguenti (espressi in mg/ℓ): K+ = 5,0, Na+ = 19, Ca2+ = 94, Mg2+ = 23,
= 334, Cl– = 9 e SO42- = 85; pH 7,21; temperatura 25 °C. Determina gli indici di saturazione rispetto a calcite, dolomite e gesso. Il campione d’acqua proviene da una falda acquifera composta da calcite e dolomite. L’acqua è in grado di dissolvere la falda?
- Ci sono prove che indicano che l’analisi chimica elencata nel Problema 5 presenta errori che renderebbero inaccettabile l’analisi per quanto riguarda l’accuratezza dell’analisi?
- Dell’acqua di falda ad una temperatura di 25 °C e una PCO2 di 10–2 bar attraversa uno strato ricco di gesso, diventandone satura. L’acqua quindi si sposta in una falda acquifera calcarea e dissolve la calcite fino a saturazione. Stimare la composizione dell’acqua nell’acquifero dopo che la calcite si dissolve fino all’equilibrio. Supponiamo che il gesso non precipiti quando la calcite si dissolve.
- Un campione di acqua da una falda acquifera a una temperatura di 5°C ha la seguente composizione (espressa in mg/ℓ): K+ = 9, Na+ = 56, Ca2+ = 51, Mg2+ = 104,
= 700, Cl– = 26, e SO42- = 104; pH 7,54. Il pH è stato ottenuto da una misurazione effettuata sul campo immediatamente dopo il campionamento. Se si consente al campione di equilibrarsi con l’atmosfera, stimare quale sarà il pH. (Suggerimento: il PCO2 dell’atmosfera terrestre è 10–3.5 bar, supponiamo che calcite e altri minerali non precipitano ad un tasso significativo in quanto l’equilibrio si verifica rispetto all’atmosfera terrestre.)
- Le misurazioni sul campo indicano che l’acqua in una falda acquifera non confinata ha un pH di 7,0 ed una concentrazione di ossigeno disciolto di 4 mg/ℓ. Stima il pE e l’Eh dell’acqua. Supponiamo che il sistema redox sia in equilibrio e che l’acqua sia a 25 °C e 1 bar.
- L’acqua descritta nel Problema 9 ha un contenuto in
di 150 mg/ℓ. Se la concentrazione totale di ferro è regolata da equilibri che coinvolgono FeCO3(s) e Fe(OH)3(s), stimare le concentrazioni di Fe3+ e Fe2+ in soluzione. Quali sono le potenziali fonti di errore nelle tue stime?
- Un campione d’acqua ha una conduttanza specifica di 2000 μS ad una temperatura di 25 °C. Stimare i solidi totali disciolti e la forza ionica dell’acqua. Presenta la tua risposta come un intervallo in cui ti aspetteresti che i valori di TDS e I si verifichino.
- Un’acqua di falda ha la seguente composizione (espressa in mg/ℓ): K+ = 4, Na+ = 460, Ca2+ = 40, Mg2+ = 23,
= 1200, Cl– = 8 e SO42- = 20; pH 6,7. Quanta acqua dovrebbe essere campionata per ottenere carbonio sufficiente per una determinazione di 14C con metodi normali?
- Calcola il PCO2 per l’acqua descritta nel Problema 12. Il PCO2 è molto al di sopra della PCO2 atmosferica ed è al di sopra del range normale per la maggior parte delle acque sotterranee. Suggerisci un motivo per l’elevata PCO2.
- Nel normale intervallo di pH delle acque sotterranee (6–9), quali sono le specie di fosforo disciolte dominanti? Spiega perchè.
- Preparare una percentuale di rinvenimento rispetto a un grafico di pH simile alla forma generale di Figura 3.5 per le specie di solfuro disciolto (HS–, S2-, H2S) in acqua a 25 °C.
- Le misure radiometriche di carbonio inorganico su un campione di acqua di pozzo indicano un’attività di 14C di 12 disintegrazioni al minuto (dpm). L’attività in background è 10 dpm. Qual è l’età apparente del campione?
- Un’acqua di falda a 5 °C ha un pH di 7,1. L’acqua è acida o alcalina?
- La precipitazione della calcite sotto il livello freatico (vale a dire, in condizioni di sistema chiuso) causa un aumento o un abbassamento del pH? Spiegare.